La prima tornata delle elezioni presidenziali in Francia ha riservato non poche sorprese. In primo luogo la più alta affluenza degli ultimi anno, con più dell’80% degli aventi diritto che ha votato. Poi la vittoria più “di misura” del previsto, ma significativa comunque, di Hollande su Sarkozy, che comunque ancora spera di farcela il 6 maggio, durante la seconda tornata.
Infine (e soprattutto), l’alta percentuale (fra il 18 ed il 20%) raccolta da Marine La Pen che ha ricevuto molto più di quel 16,8% che nel 2002 valse al padre Jean Marie, il grande successo al secondo turno contro Chirac e ai danni del socialista Lionel Jospin.
Quanto al candidato dell’estrema sinistra Jean-Luc Melenchon, ha preso solo l’11% , setto-otto punti in meno rispetto alle aspettative ed ha subito chiesto al suo elettorato di votare compatto contro Sarkozy.
Invece il centrista Francois Bayrou, che ha raccolto fra l’8,5% e il 9%, non ha dato, per ora, consegne di voto per il ballottaggio, ma potrebbe farlo nei prossimi giorni; mentre la verde Eva Joly, data dai primi risultati intorno al 2% dei consensi, ha invitato i suoi sostenitori “e tutte quelle e quelli che sono attaccati ai valori della Repubblica, a fare di tutto perchè il nostro Paese esca infine dal sarkozismo raccogliendosi intorno alla candidatura di Francois Hollande, che deve ormai portare tutti i colori della sinistra e degli ecologisti”.
Situazione quindi complicata per il secondo turno, con Sarkozy che può sperare, sulla carta, almeno, su una percentuale consistente di voti del Fronte Nazionale, ma dovrà, per questo, orientare a destra la sua campagna.
Al tempo stesso, il risultato deludente di Melenchon spingerà molti centristi – in attesa di consegne di voto da parte del delusissimo Francois Bayrou, 8-9 per cento – a votare più tranquillamente per un Hollande, che non sarà costretto a cavalcare i temi della gauche più estrema.
Hollande sarà pure un candidato “fade”, insipido, come la poco originale corte dei media lo va chiamando da quando, precipitato dalla scena Dominique Strauss-Kahn, è cominciata la sua corsa. Egli è certamente un uomo tranquillo che rivendica come merito di essere un vecchio servitore della politica oggi tanto vituperata, anche in Francia; ma, come scrivono tutti i giornali di sinistra d’Europa, il suo programma non è per niente fade; anzi è molto saporito.
Prevede, per dire, la regolazione dei mercati finanziari che finora hanno fatto il bello e il cattivo tempo, la revisione del patto di bilancio imposto dalla Germania, la difesa della pensione a 60 anni per gli operai che hanno cominciato a lavorare prima dei 20, lo sblocco del turn-over nella pubblica amministrazione, calmieri sulle tariffe, massicci investimenti pubblici.
Prevede anche una patrimoniale speciale del 75% sui redditi al di sopra del milione di euro, cosa che in Italia, come si ricorderà, non è stata neanche proposta.
Il Guardian ed El Pais sostengono che ormai i giochi sono fatti ed in favore del “rinnovatore” Hollande, mentre i nostri giornali, Corriere in testa, sono ancora molto cauti sui pronostici.
Come scrive oggi l’Unità, se l’elettorato del secondo Paese del continente sceglierà una politica che è chiaramente diversa e clamorosamente opposta a quella che fino a ieri è stata spacciata da molti come l’unica possibile in un periodo di crisi, cambieranno certamente anche molti equilibri a livello europeo. Secondo Hollande, infatti, non hanno ragione Sarkozy e la Merckel (ed anche il nostro Monti): la crisi dell’euro può essere combattuta in un altro modo che con le durezze della disciplina di bilancio e le conquiste del welfare non sono scorie di tempi remoti da rimuovere senza pietà ma garanzie per le persone e per la stessa identità delle loro comunità, a cominciare dall’Unione europea.
Non esistono solo le lacrime e il sangue, ma anche le ragioni della speranza. Dal 6 maggio il pensiero economico della destra potrebbe non avere più il monopolio, neppure nei Palazzi dell’Europa che conta. Il successo di Hollande è figlio anche dei dubbi che la strategia anti-crisi à la Merkel ha cominciato a diffondere, da qualche tempo, anche nel campo conservatore e liberale e che hanno trovato recentemente clamorose manifestazioni pubbliche sulla stampa e negli ambienti accademici. S
arà interessante verificare, quando si disporrà dell’analisi del voto, su quali spostamenti diretti dal campo degli elettori che cinque anni fa votarono Sarkozy abbia potuto contare il candidato socialista.
Ma, come dicono sia Le Monde che Repubblica, poiché, in Francia, per ora la cosa più sorprendente e da tenere bene in vista è l’exploit di Marine Le Pen, che porta a casa, di fatto, il miglior risultato storico del Fronte Nazionale, dando ragione al padre che, nel 2002, l’aveva imposta come successore, non è del tutto scontato che Hollande ce la faccia e senza ritocchi al suo programma.
Da ieri sera è iniziata una nuova partita che si concluderà il prossimo 6 maggio, con i due sfidanti che dovranno riunificare le forze disperse e raggiungere il 50 più uno per cento dei voti.
E, nonostante tutto, è la destra, matematicamente parlando, ad essere avanti. Infatti, sommando i voti di Sarkozy e Le Pen si arriva a quota 44 per cento; mentre unendo i voti di Hollande a quelli del Front de gauche di Jean-Luc Mélenchon e dei verdi di Eva Joly si arriva a poco più del 42. Ma, come ben sappiamo e da tempo, in politica, soprattutto, la matematica spesso si rivela solo un’opinione.
Per una volta sono d’accordo con Domenico Ferrara che sul Giornale, annota che bisognerà vedere da quali sensazioni si farà attrarre l’elettorato centrista, mentre quello della Le Pen, resta un elettorato imprevedibile, proprio per il suo essere antisistema.
Le cose possono andare meglio per Hollande. Infatti sia Mélenchon sia Joly lo appoggiano di già e poiché lui conosce il suo punto di partenza in termini di voti, può solo andare avanti, crescere e battere Sarkò, il cui destino politico pòare essere irremediabilmente segnato.
Carlo Di Stanislao
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