In un mondo globalizzato e in costante mutamento, l’Europa è chiamata ad affrontare sempre nuove e più gravose sfide. La globalizzazione dell’economia, l’evoluzione demografica, i cambiamenti climatici, l’approvvigionamento energetico, per non parlare delle nuove minacce che gravano sulla sicurezza.
Ma mentre prima si riteneva, con il trattato di Lisbona del 2007, che gli Stati membri non erano in grado di affrontare da soli tutte queste nuove problematiche che non conoscono frontiere; oggi sono in molti i cittadini che ritornano all’idea di una sovranità nazionale per rilanciarsi e rispondere a queste sfide.
Fa bene Mario Sechi, sul Tempo di oggi, a parlare di “Fascio-Comunismo” per descrivere la crescita, nelle prove elettorali europee del 6 maggio (in Francia, Grecia, Inghilterra e Bosnia), dei partiti estremi, con crollo di consensi per quelli più moderati e, soprattutto, per le compagini che credono più all’Ue che alle sovranità nazionali.
In Grecia vincono i partiti anti-euro e sono puniti i grandi partiti tradizionali, pro-austerità, con un boom della sinistra radicale e dell’estrema destra xenofoba e filo-nazista.
In Francia, dove il settimo presidente della Quinta repubblica è il socialista Hollande, già chiamato da Angela Merkel, che lo ha invitato a Berlino, da Mario Monti che propone una stretta collaborazione e poi dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama; Marine Le Pen continua ad essere il terzo incomodo e si candidata a rappresentare i conservatori in una Paese in cui i neogollisti sono al minimo storico.
E mentre Angiolino Alfano, piuttosto nuovo alla politica, augura ad Hollande “buon lavoro a beneficio della Francia e dell’Europa” ed è caustico Francesco Storace, secondo cui “Sarkozy ci ha rimesso… Le Pen”; un vecchio volpone smaliziato come Cicchitto vede il pericolo e dichiara: “Merkel e Sarkozy hanno disintegrato il Ppe”, auspicando “una riflessione di fondo nello stesso”, che finora è stato “dominato come l’Unione Europea dalle posizioni tedesche. E’ tempo che il Pdl in quella sede si faccia sentire non soltanto in una chiave diplomatica ma per confronti di merito sugli aspetti programmatici”.
In controtendenza sembra, invece, la Bosnia Erzegovina dove, per ora è in testa un musulmano moderato che avvicina il suo Paese all’Europa, mentre, sempre nell’election day di ieri, nello Schleswig-Holstein, in Germania, il partito della Merkel ha tenuto la maggioranza solo per poco, contendo alquanto i danni.
In generale, vince l’antieuropeismo un po’ dovunque, come era accaduto in Fillandia, il 17 aprile scorso, con l´estrema destra che ha trionfato alle urne presentandosi su una piattaforma xenofoba e anti-europea e i “Veri Finlandesi”, partito dell’euroscettico, antieuropeista e nazional-populista che sono stati i veri trionfatori delle elezioni, appaiandosi allo stesso livello di risultato elettorale (sul 20%) agli altri due partiti tradizionali della scena politica finlandese (i socialdemocratici e i conservatori).
Contemporaneamente il parlamento dell’Ungheria aveva approvato una costituzione che riconosce diritti e cittadinanza su base etnica (la cosiddetta “nazione etnica” tanto tristemente pericolosa e truce come si è sviluppata nella ex Iugoslavia negli anni ’90, a partire dalla Croazia), privilegiando l’etnia magiara su altri cittadini di altra provenienza.
Xenofobia ed antieuropeiasmo si infiltrano e crescono un po’ dovunque: in Belgio, in Svezia, in Olanda, in Danimarca ed Austria ed ora, dopo le elezioni di ieri, anche nel resto d’Europa.
Appare anche evidente, il trionfo dell’antipolitica, ad esempio quello dei “Pirati” in Germania, sono sempre più diffuse e preoccupanti le spinte populiste e quelle nazionalistiche e reazionarie, come risposta spaventata alla paura e di non essere in grado di gestire il fenomeno di una “grande Europa”, autorevole, solidale, rivolta alla pace e allo sviluppo mondiale.
Anche perché, i fatti recenti, hanno mostrato il fallimento di questo disegno.
A questo antieuropeismo nazionalistico le borse rispondono mostrando malanimo ed incertezza, con un avvio decisamente negativo in tutto il continente e, in casa nostra, uno spread che torna a sfiorare i 400 punti.
Anche il risultato del voto inglese ci mostra la rabbia dei cittadini contro i tecnici che si sostituiscono alla politica e contro l’economia che domina su tutto.
Il voto di ieri ha tinteggiato di rosso la mappa politica della Gran Bretagna e solo Londra è andata ai Tory, mentre i Labour hanno vinto tutto il resto, conquistando oltre 800 poltrone, ben più delle stime della vigilia, con i conservatori che ne hanno perso più di 400, segnando: una performance peggiore del previsto e che ha trascinato nel gorgo i LibDem, praticamente spazzati via dal risultato elettorale più catastrofico dalla costituzione del partito, nel 1988.
Apparentemente Cameron, potrebbe rallegrarsi di una Londra che ha confermato il sindaco in carica, il conservatore Boris Johnson, suo compagno di studi, alla guida della city durante e dopo l’esperienza delle Olimpiadi.
Un voto così deciso a favore di Jonhson, un 51,5% che gli ha evitato il ballottaggio con il laburista Livingstone, potrebbe significare però, in un futuro prossimo, la possibile candidatura di questo alla leadership dei Tories, che in un momento di crisi come questo potrebbero aver bisogno di una figura carismatica e popolare che li rappresenti.
Tornando ad aspetti più generali, in Europa vince l’umore antieuropeista, cioè il numero delle persone che è stanca di sacrifici dettati da motivi meramente economici e vuole nuovi investimenti sul lavoro e sul futuro.
Un voto, a destra e a sinistra, contro il rigore e le politiche di ‘Merkozy’, che intende cambiare la strada futura dell’Europa con una nuova forte attenzione alle politiche per la crescita, ma che crea anche nuove forti paure per il caos greco e per le conseguenze che potrebbe avere su tutta l’Europa.
Un voto che potrebbe anche dare un ruolo più forte di mediazione all’Italia di Mario Monti, ma che comunque vuole che ritorni in auge il primato della politica sulla tecnocrazia economica.
La posizione di Hollande non dispiace all’Italia, con il presidente del Consiglio Mario Monti che è uno dei fautori e dei firmatari della lettera dei Dodici a Bruxelles, per una maggiore attenzione alla crescita. Sicchè, In questo clima, speriamo che Roma possa avere un ruolo di mediazione importante fra Parigi e Berlino e l’Italia, finalmente, crescita e speranza dopo tanti sacrifici.
Insomma gli europei, oggi, come il nuovo inquilino dell’Eliseo, pur non volendo rompere con Angela Merkel, né, rinunciare al Fiscal compact, vogliono che l’Europa lavori in maniera più efficace e convinta sul versante della crescita.
Ed è significativo che già poche ore dopo il voto, il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle, abbia detto che è intenzione tedesca mettersi subito al lavoro per aggiungere al fiscal compact un patto per la crescita e per aumentare la competitività.
Carlo Di Stanislao
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