Lunedì nero per l’Europa che brucia 120 miliardi trascinata in basso dal gorgo greco e nerissimo per l’Italia con Moby che taglia ancora, da uno a quattro notch, il rating sul debito di lungo termine di 26 nostre banche, comprese cinque delle maggiori.
Nella nota dell’agenzia di rating si legge che il giudizio per le banche italiane e’ ora tra i più bassi in Europa, a causa della loro suscettibilità al contesto operativo avverso in Italia e nel Vecchio Continente.
In funzione delle diverse banche, il declassamento riflette le crescenti difficoltà operative con il ritorno alla recessione dell’economia e le misure di austerità del governo che stanno riducendo la domanda nel breve termine; le crescenti sfide sul fronte della qualità degli attivi e l’indebolimento dell’utile netto a causa dei prestiti in sofferenza e dei relativi accantonamenti; le restrizioni nell’accesso al mercato del finanziamento, che, se persistente, eserciterà una pressione supplementare sulle banche affinché riducano le attività ponendo così rischi alle reti distributivi e alla generazione degli utili.
Inoltre, i recenti eventi evidenziano i rischi per i creditori provenienti dalla potenziale debolezza della governance, dei controlli, della gestione rischi, in particolare negli istituti più piccoli.
E Alberto Orioli sul Sole 24 Ore commenta che, contrariamente a ciò che si dice o si spera, l’Italia non è affatto fuori pericolo e questo anche per l’aumento della tensione sociale, per la fibrillazione dei partiti della “strana” maggioranza, per la conferma quotidiana della mostruosità del nostro debito e della esiguità delle risorse mobilitabili (il dato sul calo dello 0,5% delle entrate fiscali diffuso ieri dalla Banca d’Italia non fa certo ben sperare).
La relazione annuale del presidente della Consob, Giuseppe Vegas, è illuminante laddove denuncia la difficile saldatura tra economia reale e finanza.
È la stessa che ancora separa il Paese reale e il Paese legale.
Il primo soffre, si impoverisce, aumenta le diseguaglianze; il secondo ha prodotto per decenni regole pleonastiche, burocrazia opprimente, spesa improduttiva e dunque debito pubblico e tasse pesantissime, difficili da smaltire durante la peggiore congiuntura dal Dopoguerra.
Il risultato è tutto concentrato in ciò che vediamo, anche nei sei mesi del nuovo governo: asfissia economica, declino, legalità solo apparente, frustrazione e rabbia reale tra i cittadini.
E, in questo contesto, l’azione di spending review di Enrico Bondi non può che essere solo un avvio di un’azione ben più massiccio che riduca anche l’impatto negativo e anti-competitivo della burocrazia per consentire alle energie del Paese di sprigionarsi più liberamente e senza zavorre.
La più parte delle nostre imprese è piccola e anche poco propensa a cambiare cultura quanto ad assetto proprietario e a trasparenza. Ma, soprattutto, non è incentivata a cambiare orizzonti.
Le nostre piccole imprese, infatti, hanno poco credito dalle banche, devono pagare costi e tasse altissime per la quotazione, subire un iter di listing particolarmente complesso.
Ancora una volta fattori che aumentano la sensazione di sfiducia verso una burocrazia amministrativa inutilmente interdittiva, verso l’incapacità della giustizia di dirimere le eventuali controversie finanziarie in tempi ragionevoli e con equità.
L’Europa è compatta nel voler mantenere la Grecia nell’Eurozona.
Questa l’indicazione fornita ieri dal presidente dell’Eurogruppo, Jean Claude Juncker, al termine della riunione dei ministri delle Finanze dei 17 Paesi che hanno già adottato la moneta unica.
Ma un altro vero problema, che non si avvia a soluzione, riguarda L’Italia.
Oggi i ministri delle Finanze della Ue tornano a incontrarsi nella formazione Ecofin per discutere dell’applicazione di Basilea 3 e della possibilità di negoziare un accordo con la Svizzera per combattere l’evasione fiscale. E vedremo che farà in questo senso il governo Monti che, da tale evasione, potrebbe ricevere, come si è scritto più volte, ben 50 miliardi da immettere subito nella economia reale e lecita per la ripresa del Paese.
Da ieri e per tre sera su La 7, dallo studio allestito nelle ex officine Grandi Riparazioni di Torino, si alternano scrittori, attori, cantanti, perfino gente comune. Ognuno con la sua parola e al Centro Fazio e Saviano. Parole belle, autentiche e di speranza, ma che sembrano svuotare se guardiamo al clima che abbiamo attorno.
Certo le parole non creano posti di lavoro, ma meglio averne per tenere almeno accesa la speranza.
E poi, se Ferrara, con un doppio affondo su Il Foglio e sul web, dice “Basta con Saviano”, ciò è segno certo che questi tre giorni sono importanti in una Nazione che non ha più parole, ma solo nerissimi mugugni.
Carlo Di Stanislao
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