Il termine politica deriva dal greco pòlis per designare l’insieme delle cose della città, gli affari pubblici, la conoscenza della cosa pubblica e l’arte del loro governo. La politica indica l’esercizio di intelligenza e competenze tra uomini liberi e uguali, si fonda sul consenso della comunità e ha per fine il bene non solo dei governanti, ma anche dei governati. Quanto di questo responsabile potere di azione è presente nell’esercizio della politica nella nostra città? Scelte politiche compiute all’insegna di consensi ristretti, crescita delle liste civiche, assenteismo alle urne, mancanza di una visione globale partecipata di città sono alcuni indicatori che, ben lungi dall’esprimere una forma di antipolitica, manifestano una chiara avversione verso forme obsolete di governance. Il periodo pre-elettorale a l’Aquila è stato vissuto come spettacolo organizzato. Eventi-promozione, eventi-divertimento, eventi-distrazione sono stati allestiti e presentati con l’intento di sorprendere-appassionare-scandalizzare-ricreare-rasserenare l’elettore aquilano. Il pathos, finemente orchestrato e ostentato nell’evento, dopo essersi consumato ha restituito il silenzio. Lo scenario politico aquilano e il paesaggio della città si incontrano nello spazio del deterioramento: clientelismo, apparentamenti, portatori di acqua, cittadini spenti che vanno a votare “scegliendo il meno peggio” e intanto attendono il dopo-elezioni per presentare il conto, incentrato su richieste di favori o condoni di abusi edilizi. Come ri-fondare l’identità della Polis aquilana senza limitarsi a spiare solo tali debolezze, ma riscoprendo piuttosto quelle mutazioni in atto che rendono percepibili le possibili alternative da seguire? […] L’Aquila, una terra saccheggiata da predatori senza cultura né storia!, osserverebbe Alessandro Baricco. Non è il normale duello fra generazioni, in cui i vecchi resistono all’invasione dei più giovani. Sotto i riflessi di queste devianze l’occupazione della campagna da parte della città ha modificato gran parte della mappa del contesto urbano. Una mutazione che, sostituendo un paesaggio ad un altro, viene a fondare lì un nuovo habitat: il paesaggio peri-urbano la cui tela viene maldestramente intessuta combinando l’eredità della cultura agricola con i vecchi e nuovi tentativi di fare città. Spiare la mutazione dell’“animale città” che, dalla compattezza del centro storico si va trasformando verso la liquidità della campagna, non per spiegarne l’origine ma per riuscire, seppure lontanamente, a disegnarne il possibile divenire ispirato ai principi della civitas, visto che, dopo il sisma del 2009, il fenomeno si allarga, con generale disorientamento del volgo, con disappunto dei professori e con noncuranza degli amministratori. Questo paesaggio interstiziale tra città e campagna, che consuma una quantità elevata di terreno e riduce il suolo agricolo ad un’infinità di tasselli monofunzionali, apre le prospettive di un ambito disciplinare intermedio che si colloca tra la cultura paesaggistica e quella urbana. Tuttavia, privo di un’identità forte, esso è attaccabile da qualsiasi interferenza edilizia: escluso dalle politiche di sviluppo e di tutela, questo paesaggio diventa spazio di riserva. Con lo sfumarsi dei caratteri antinomici del territorio agricolo nei confronti della città, si afferma un nuovo ambito interpretativo ed una nuova immagine di paesaggio agricolo che rende inadeguato il codice interpretativo fondato sulla dicotomia città-campagna. L’introduzione della disciplina paesistica produce un allargamento di campo dell’urbanistica, che porta all’apertura verso l’ecologia, ad un differente processo di analisi del contesto. Lo studio dello spazio periurbano si propone quindi come nuova strategia dello sguardo orientato sulla “dispersione”, che riconsidera il fenomeno urbano ed il suo contesto, chiamando a coniugare figure e sfondo, che si evidenziano su una matrice territoriale, senza attribuirle in partenza alla città o alla campagna. Ci si chiede allora in che termini ripensare il rapporto tra città e campagna e che ruolo dare all’agricoltura nella progettazione e riqualificazione di queste aree. La risposta presuppone una totale trasformazione del modo di immaginare e di valutare il territorio, capace di instaurare un nuovo processo di conoscenza che, pur non rinnegando le disarmonie ed i contrasti esistenti, si distacchi dai parametri della tradizione. E’ anacronistico e improduttivo rifiutare una realtà a portata di mano solo perché la nostra mente ci fa ombra, perché “l’animale città” non corrisponde più ai concetti ai quali eravamo abituati. Occorre invece liberare la mente e orientare lo sguardo sull’idea di paesaggio che privilegia la molteplicità, l’eterogeneità, il contrasto e l’accostamento di elementi diversi tra loro. Un processo che deve superare i paradigmi fondati sulla opposizione spazio costruito/spazio aperto e abbracciare una visione che, facendo cadere l’abituale contrapposizione tra città e campagna, sposti l’interesse verso un paesaggio che si estende all’intero territorio: sia ai tessuti urbani che a quelli naturali. Una mutazione di scenario che introduce il concetto di “ecotono”, mutuato dalla ricerca ecologica, che consente di riconoscere e valorizzare gli attributi del territorio agrario e coniugarli con quelli della città. Un “ecotono” è un ambiente di transizione tra due ecosistemi, che contiene specie proprie delle comunità confinanti e specie esclusive dell’area ecotonale stessa; quindi un “animale ibrido” che possiede un’elevata biodiversità e ricchezza. Questa sua peculiarità rende l’ecotono indispensabile poiché proprio attraverso queste strutture avviene la connessione fra ambienti molto diversi tra loro. Il paesaggio periurbano è un ecotono derivante dal connubio della campagna con la città, il cui progetto è teso a indirizzare le pratiche agricole verso lo svolgimento di un nuovo ruolo delle aree rurali, in quanto spazi della produzione, del loisir, dell’educazione, della salvaguardia ambientale e del miglioramento ecologico degli ambiti urbani. Analizzando le dinamiche di trasformazione del paesaggio agricolo in funzione delle tipologie abitative, appaiono in primo piano le urgenze di una nuova società che, pur vivendo la campagna, non intende rinunciare ai servizi offerti dalla città, alla possibilità di spostarsi verso punti d’incontro, verso spazi collettivi di nuova generazione. Nello stabilire un inedito rapporto con lo spazio agricolo e nella capacità di “edificare paesaggi” (non solo edifici o spazi singoli) ispirati a nuovi valori e a nuove forme di abitare la periurbanità, la società civile aquilana potrà individuarne un possibile divenire e disegnare una identità urbana capace di rigenerare impulsi e sentimenti di collettività, oggi offuscati dagli individualismi ad oltranza che soffiano sul fuoco della degenerazione politica.
Giancarlo De Amicis
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