In apparenza la vittoria in queste ultime amministrative è andata al Pd che ora, come scrive trionfalmente l’Unità, si presenta come l’unico partito in grado di governare l’Italia.
Io invece credo che le cose siano da guardare diversamente e che, soprattutto, è una mera illusione un’illusione per il Pd pensare di essersela cavata e di poter affrontare le elezioni politiche con l’assetto attuale o presentare agli italiani la “foto di Vasto” (l’alleanza Bersani-Di Pietro-Vendola) come proposta di governo.
Certo il Pd ha vinto, ma spesso lo ha fatto all’interno di alleanze di centrosinistra che hanno comportato affermazioni, come a Bari, Palermo e Genova, non di suoi uomini e, soprattutto, ha perso complessivamente voti: 10.000 solo a Genova, rispetto alla analoga tornata precedente.
Certamente il Pdl e la Lega sono crollati, posti in condizioni da rottamazione e altrettanto certamente il cosiddetto Terzo Polo non ha conseguito risultati da “ago della bilancia”.
Però il dato vero è che è cresciuto l’astensionismo in tutto il Paese ed il partito Cinque Stelle, che ha vinto a Parma e ha dato buone prove ovunque, attestandosi, secondo i sondaggi, ad un 12-16% su scala nazionale, fa credere che presto, con le sue truppe, piomberà in Parlamento, come interlocutore dei vecchi partiti che comunque barcollano.
Pertanto mi trovo a dover condividere quanto scrive Mario Sechi sul Tempo (testata quanto mai lontana dalla mia ideologia generale): quella del Pd è una non vittoria, perché il vero messaggio politico da intercettare e capire è quello della astensione.
A Genova, Rieti, Taranto e Bari ha vinto un candidato del Sel, a Palermo Leoluca Orlando dell’Idv e ovunque, sia nei capoluoghi in cui il partito di Bersani si è riconfermato che in quelli conquistati, ha vinto l’astensione.
L’unico che ha avuto il coraggio dell’onestà è stato Marco Doria, neo-eletto sindaco di Genova, che ha commentato: “Solo un genovese su quattro mi ha votato, La democrazia soffre, inutile nasconderlo”.
I toni trionfalistici di Bersani e Letta sono quindi fuori luogo e dimostrano, ancora una volta, che in certa sinistra la mentalità non cambia e gli avvertimenti non inducono ripensamenti e maturazioni.
In molti casi, per la prima volta nella storia delle elezioni politico-amministrative, si è sfiorato il rischio che la metà dei cittadini non si esprimesse e, alla fine, considerando soli i Comuni capoluogo, si rileva che ha votato solo il 45% dei cittadini, con una diminuzione del 17, rispetto al primo turno.
In Abruzzo, con una sola eccezione, si è registrato un considerevole calo di percentuale, con una riduzione, fra i due turni, del 14% a L’Aquila e Ortona, del 22 ad Avezzano, del 18 a Montesilvano, mentre, come dicevamo, solo a San Salvo la percentuale è cresciuta dell’8%.
Eppure, nei commenti dei politici di professione, questo dato ho è minimizzato o preso sotto gamba.
La vittoria di Grillo e dell’astensione, fossimo in Francia, farebbe rabbrividire chi di politica dovrebbe occuparsi, perché questi “chaiers des doleances”, lì indicherebbero prodromi di tempesta.
Ma siamo in Italia, una terra di non rivoluzionari, i cui cittadini, alla fine, si adattano a tutto.
Ma, forse, i tempi stanno cambiando e certe vittorie, se non di Pirro, appaiono almeno dimezzate.
Continuare a definire populisti quelli di Cinque Stelle e ad ignorare la crescita vertiginosa delle astensini, significa non aver capito che si vuole aria nuova nella politica del Paese, con una chiara presa di posizione circa il finanziamento pubblico dei partiti, la scelta dei candidati, la limitazione del numero di candidature consecutive, la presenza di programmi precisi, con una attenta verifica, strada facendo, di ciò che si promette e di quanto realizzato.
Come scrive Antonella Policastrese sul blog Italians, in Italia non c’è disaffezione per la politica, ma una crescente voglia di nuova politica, con un crescente desiderio di partecipazione attiva alla vita del Paese ed un contrasto sempre più netto alle decisioni contestando decisioni calate dall’alto.
Ma se incapaci di capire questo si dimostrano i partiti, lo sono anche la più parte dei giornali che se si curassero di più di analizzare cosa si agita nella pancia della società, saprebbero che si sta creando una lista civica nazionale dei movimenti, che da tempo lavorano con cognizione di causa nell’affrontare i problemi che ci sovrastano e che si tenta di risolvere.
Ciò di cui non si ha bisogno, occorre dirlo non solo l’ABC politico attuale (Alfano, Bersani, Casini), ma a tutti i “politici di mestiere”, grandi e più piccoli, è di una ideologia vuota e cieca, capace solo di portare a scelte faziose e incapaci di risolvere i problemi.
Se ora, con uno scatto di intelligenza, vincitori e vinti, in tute le amministrazioni, sapranno fare vero governo ed autentica opposizione, ovvero se si trovassero convergenza su idee e temi, magari ascoltando associazioni e gruppi rappresentativi di opinione, è ancora possibile che la vecchia “partitica2 possa avere un futuro, altrimenti, a destra e a sinistra, ha le ore contate.
Affascinato dal tema del “dimidiamento”, Calvino pubblica nel 1952 il racconto Il visconte dimezzato, con il quale apre nello stesso tempo la vena fantastico-allegorica della sua narrativa e narra di un mondo in cui l’antica armonia è perduta, mentre si ispira a una nuova completezza, che restituisca all’uomo la sua integrità. Così il visconte, bendate insieme le due parti, torna ad essere un uomo intero, ma la totalità rimane un miraggio in quanto “non basta un visconte completo perchè diventi completo il mondo”.
Un monito vitale per gli attuali partiti, nelle molte aree critiche italiane, perché altrimenti andranno sempre più avanti i vituperati grillini
Carlo Di Stanislao
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