Dopo i ripetuti tentativi di formare una nuova maggioranza di governo, la Grecia tornerà alle urne a metà giugno nella speranza che il nuovo Parlamento sia meno frammentato di quello attuale. Speranze che però sembrano avere pochi appigli: è molto difficile, per non dire impossibile, che dalle elezioni possa uscire una maggioranza favorevole al proseguimento delle misure di austerità. Senza queste misure, i rubinetti europei stanno per chiudersi: tra un mese Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale dovrebbero erogare 30 miliardi del piano di aiuto da 130 miliardi complessivi, ma per averli Atene deve approvare 11,5 miliardi di nuovi tagli per il biennio 2013-2014. La Grecia ha più che mai necessità di questi aiuti, anche per finanziare le banche alle prese con la fuga dagli sportelli: in pochi giorni sarebbe già stato ritirato l’1% dei depositi complessivi. E il rischio è che il panico si diffonda al resto d’Europa: anche in Spagna, ad esempio, sembra essere già partita la corsa agli sportelli (soprattutto per Bankia, la banca nazionalizzata la scorsa settimana), mentre il differenziale di rendimento tra bonos spagnoli e bund tedeschi non è mai stato così alto dall’introduzione dell’euro. Il costo che Madrid paga per finanziare il proprio debito sta diventando sempre più difficile da sostenere, e potrebbe ulteriormente aggravarsi se Moody dovesse abbassare, come sembra, il giudizio su 21 banche iberiche (lo ha d’altronde già fatto per 26 banche italiane). Qualche tentativo di alleviare la tensione c’è stato, ma è troppo poco: le aperture delle autorità europee verso un piano alternativo per il salvataggio di Atene (che cointribuirebbe ad alleggerire anche la posizione di Madrid) sono per il momento troppo vaghe. Il risultato è che non solo i bond dei Paesi più a rischio, ma tutte le obbligazioni in euro hanno visto i rendimenti crescere, seppur di poco, rispetto a sette giorni fa. L’asta dei BTp italiani si è chiusa senza grandi danni, ma in quel momento si sperava ancora nella formazione di un nuovo governo greco: l’appuntamento cruciale per testare l’umore dei mercati saranno le prossime aste.
In attesa delle urne
Nonostante l’annuncio di elezioni anticipate in Grecia, l’euro rimane sulle posizioni di sette giorni fa.
Il fallimento delle trattative per la formazione di un nuovo governo ad Atene avrebbe potuto appesantire l’euro nel confronto con le altre valute. E invece, il bilancio è quasi in pareggio: un po’ perché l’euro ha già pagato pesantemente nelle settimane precedenti, un po’ perché il dato sul Pil ha fornito qualche incoraggiamento (evitata, seppur a malapena, la recessione nell’eurozona) e un po’ perché i mercati hanno deciso di restare alla finestra in attesa di vedere se l’Europa varerà piani alternativi per salvare Atene. La sterlina britannica è rimasta stabile a 0,80 per un euro, nonostante il dato positivo sul mercato del lavoro. Fermi al palo anche il dollaro canadese e quello australiano, entrambi a 1,29 per un euro. La corona svedese perde addirittura terreno, da 8,99 a 9,14 per un euro. Unica valuta a fare passi avanti è il dollaro Usa, nonostante una settimana caratterizzata da dati economici non particolarmente esaltanti: il biglietto verde passa da 1,29 a 1,27 per un euro.
Mauro Milanesi
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