Sempre più tragici i nostri fine-settimana, con un ragazzo che a Hyvinkää, tranquilla cittadina fillandese a 30 chilometri da Helsinki, ha ucciso, sparando alla cieca con due fucili, due persone e ne ha ferite altre sette e più di cento individui, fra cui 32 bambini, ammazzati a Hula, in Siria, massacrati con un ennesimo bombardamento ordinato dal regime di Assad e con molti altri freddati a bruciapelo.
Naturalmente la comunità internazionale esprime il suo sdegno, ma non può null’altro, in una situazione drammatica e fuori controllo, in una terra senza grandi risorse, ma al contempo strategicamente importante, in un’area calda ed estremamente delicata per gli equilibri internazionali.
Alla fine l’Onu, che ha riunito d’urgenza il Consiglio di sicurezza, ha condannato, con tanto di firma della Russia e della Cina, che pure continuano a difendere Assad ed il suo regime, ” nei termini più forti possibili, l’uccisione di decine di uomini, donne e bambini e il ferimento di altre centinaia di persone”, in combattimenti che hanno “comportato bombardamenti da parte dell’artiglieria governativa”.
Il veto russo, minacciato fino all’ultimo istante, è stato alla fine evitato facendo sparire dal testo la parte in cui si addossava l’intera responsabilità del massacro alle forze armate siriane, prendendo atto delle stesse parole del capo della missione Onu in Siria, Robert Mood, che in video-collegamento ha ammesso come “molte circostanze di quanto accaduto vadano ancora chiarite”.
Come, ad esempio, scrive l’ANSA, C i corpi di molte persone uccise sul posto da colpi d’arma da fuoco sparati da vicino e in seguito ad inaudite violenze fisiche.
Per questo ben quindici paesi hanno chiesto al segretario generale dell’Onu Ban ki-Moon, che venga aperta un’indagine per appurare come siano andati realmente i fatti.
Alla fine nella dichiarazione è stato inserito un appello perché cessino “tutte le violenze, in tutte le loro forme e da qualunque parte provengano”. A questo punto – dopo una riunione che i testimoni al Palazzo di Vetro descrivono come molto concitata e a tratti drammatica – anche il rappresentante russo ha dato il suo via libera.
Dopo aver decisamente respinto la bozza franco-britannica che prevedeva la condanna “dell’uso indiscriminato e sproporzionato della forza da parte delle forze armate governative siriane contro i civili”. Intanto, mentre il ministro degli Esteri britannico, William Hague, vola a Mosca per convincere il Cremlino ad appoggiare un’azione internazionale contro Damasco, il New York Times rivela il piano del presidente americano, Barack Obama: risolvere la crisi siriana con una ‘transizione morbida’ che preveda l’esilio per Assad ma lasci parte del suo governo al potere. Insomma, la cosiddetta ‘soluzione yemenita’, che lo stesso Obama illustrerà al presidente russo, Vladimir Putin, nel faccia a faccia previsto per il prossimo mese a margine del summit del G20 che si svolgerà a Los Cabos, in Messico, il 18 e 19 giugno.
In Siria è virtualmente attiva, da un mese, una tregua: parola che suona davvero vuoto e beffarda dopo ogni, successivo massacro.
Alcuni attivisti dell’opposizione parlano, per il massacro di Hula, di bombardamenti sulla città e altri raccontano che gli shabiha, gli sgherri in borghese del regime, avrebbero attaccato e distrutto “intere famiglie”. Invece il governo accusa i terroristi di “massacrare il popolo siriano e di sfruttarlo nel bazar mediatico per bloccare il piano Onu e impedire una soluzione politica alla crisi”.
Il capo dei caschi blu Robert Mood ha implicitamente chiamato in causa l’esercito siriano: a Hula vi sono i segni “dell’uso di artiglieria e di proiettili di carri armati”, ha detto, pur aggiungendo, come visto e per ragioni tattiche, che “le circostanze che hanno portato a queste tragiche morti sono ancora poco chiare”. Al massacro sono seguite proteste in molte città, dai sobborghi di Damasco ad Aleppo — represse, secondo gli attivisti. Nella capitale, lo scrittore Khaled Khalifa, autore dell’Elogio dell’odio (Bompiani) ha detto di essere stato malmenato da agenti di sicurezza, riportando una frattura alla mano sinistra,mentre partecipava al funerale di un amico morto in circostanze poco chiare in città.
Si è creata una situazione “che la comunità internazionale non può più accettare “, ha detto il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi, che con il collega francese Laurent Fabius, ha chiesto “l’immediata applicazione” del piano di pace dell’Onu e ha auspicato un nuovo incontro del gruppo dei Paesi “Amici della Siria “.
Invece il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha condannato “le atrocità” e ha assicurato che gli Stati Uniti lavoreranno con i loro alleati per aumentare la pressione su Assad e i suoi “amici”.
E per completare il funereo dramma di questo fine-settimana, si apprende della morte, per suicidio, di tre altri imprenditori, toltisi la vita fra sabato e domenica per debiti non saldati, tasse da pagare e crediti non incassati.
I tre erano uno di Ancona, uno Umbro e l’altro Sardo, quest’ultimo dapprima salvato dal fratello mentre cercarsi di darsi la morte con il gas e, poi, freddatosi con un colpo di pistola alla testa.
Come scrive Italo Borzi nella premessa di “Vestire gli ignudi” di Pirandello, “Ognuno è un’anima nuda e sente la necessità di rivestirsi di un abito di rispettabilità, di qualità apprezzate dagli altri, per dare un senso alla propria vita e sentirsi concretamente qualcosa”.
Ma ora sembra che neanche questa necessità sia più avvertita. La morte e la disperazione trionfano ovunque e riempiono di cupe ombre i nostri cuori e le nostre giornate in cui, la follia è ordinaria e la paura una dominante comune.
Certo esiste la possibilità di trovare un senso alla morte, ad esempio coltivando la nostra parte spirituale, ritrovando il sacro che è in noi, o aprendo il passo alla riflessione ed alla revisione interiore di molte credenze, per lasciare solo con quelle credenze che ci aprono il futuro.
Ma nullo di tutto questo è possibile di fronte a morti come quelle, disperate, che oggi attraversano, globalmente, il nostro orizzonte.
Carlo Di Stanislao
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