Sta rimbalzando su Twitter, ormai da molti giorni, la nota del lontano 1976, quando il ministro democristiano Forlani cancellò, dopo il terremoto del Friuli, la parata del 2 giugno.
Soprattutto perché oggi, invece, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha deciso, di concerto con il governo, di confermare la cerimonia, anche se senza enfasi ed in tona dimesso.
Tormentata vicenda quella della “festa della Repubblica” in una Nazione che, forse, non si è mai davvero sentita tale, con un altro storico stop ‘ ai tempi di Oscar Luigi Scalfaro: sette anni “soppressione” per motivi economici e perché, spiegava il Presidente di allora, “questa e’ la festa degli italiani, della gente comune”. Quindi era meglio aprire a tutti i cittadini i giardini del Colle e stringere cordoni della borsa, piuttosto che far marciare i soldati e tenere il costosissimo ricevimento per il Corpo Diplomatico.
Eppure Scalfari non è stato né amato né particolarmente celebrato dopo la fine del suo mandato.
Proprio lui, che aveva servito nella Seconda Guerra Mondiale, impose lo stop più lungo , fino alla fine del suo mandato: stop alla sfilata, stop al ricevimento poiché costavano troppo.
E invece, due giorni fa, nel secondo giorno della sua visita in Friuli, Giorgio Napolitano, ex comunista e uomo amato dal popolo, si è limitato a dire che si darà “sobrietà alla festa della Repubblica”, ma che la stessa non può essere cancellata.
E lo appoggia apertamente Stefano Menichini, direttore di Europa, che affrontando il tema politico delle celebrazioni dopo il terremoto in Emilia, dice: “Francia, Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti hanno ‘una grande fortuna’ rispetto all’Italia: un forte senso di sé, un orgoglio collettivo, un patriottismo che scorre nel sangue”. In nessuno di questi paesi, scrive Menichini, ”avrebbe attecchito più di tanto l’idea di cancellare la principale festa nazionale, nelle forme in cui abitualmente si svolge, dopo una terribile catastrofe naturale”. Al contrario, continua, ”sarebbe stato ovvio, spontaneo” ciò che il Presidente Napolitano ”deve fare invece passare a fatica”: la festa nazionale ”e’ esattamente il momento in cui un paese esalta il proprio essere comunità; nella buona, nella cattiva e soprattutto nella tragica sorte”.
Insomma per Menichini la festa ci vuole, sempre e comunque, per far si che al’estero non si dia della’Italia l’idea di un “Paese che non si rispetta e non si ama”.
Il passaparola su Twitter era del resto iniziato poco dopo la notizia del nuovo sisma in Emilia, con convinzione che fondi previsti dovevano essere destinati alle popolazioni colpite dal terremoto.
L’iniziativa aveva subito raccolto numerose adesioni, da Nichi Vendola a Cecilia Strada, presidente di Emergency.
E in un soprassalto di rigore molti italiani – probabilmente non tutti fedeli – avevano chiesto a Benedetto XVI di rinunciare alla contemporanea visita a Milano che comincerà venerdì, secondo il principio, forse bislacco, nessuno si muova, neppure il Papa, se a tremare è la terra.
Antonio Di Pietro, leader dell’Idv, ha spaccato il fronte degli incerti nel mondo politico, con una nota di indubbia chiarezza: ”C’è un modo nobile e c’è un modo furbo per dedicare il 2 giugno alle vittime del terremoto. Il primo è quello di rinunciare ai soldi della parata militare per destinarli ai territori colpiti dal tragico sisma. Il secondo è fare ugualmente la parata dedicandola ai terremotati. Come dire che con un brindisi e una preghiera si risolve tutto. Questa è una trovata di pessimo gusto”. E subito sono accorsi i pompieri istituzionali: Enrico Letta, Annamaria Cancellieri ed anche Roberto Formigoni, che si schiera dalla parte di Napolitano, anche se, invece, Famiglia Cristiana aderisce all’appello di molte organizzazioni cattoliche, tra cui Pax Christi, che chiedono di cancellare del tutto la parata.
Più saggia (o forse solo più furbamente accorta), Flavia Perina, ex direttore del Secolo d’Italia e ora deputata di Fli: “Cancellare la parata del 2 giugno sarebbe sbagliato, visto che si tratta anche di un omaggio alle nostre Forze Armate impegnate su scacchieri difficilissimi, ma è doveroso uno sforzo di sobrietà e di semplicità che unisca il Paese nelle celebrazioni della nascita della nostra Repubblica, anziché dividerlo inutilmente sui costi della sfilata dei Fori Imperiali”.
Ed io, come molti, e non so come mettere la cosa e, domani, me ne resterò perplesso di fronte alla tv, per i milioni di euro spesi mentre si annunciano tagli alla spesa pubblica per altri 100 miliardi e non solo.
Cento miliardi subito e trecento nel medio periodo: sono queste, infatti, le basi dalla quali il governo intende partire per realizzare la spending review, la revisione della spesa pubblica necessaria per impedire – nell’immediato – l’aumento delle aliquote Iva (previsto per l’autunno), e per realizzare – più in là – l’attesa riduzione delle pressione fiscale.
Una riduzione di un terzo rispetto alla spesa totale, il che vuol dire che ogni cittadino dovrà attendersi un terzo di meno di servizi, già discutibili, dello Stato.
I tagli, si faranno in due tappe: prima il governo guarderà ai cento miliardi di spesa pubblica ‘potenzialmente aggredibile nel breve periodo” con ‘aggiustamenti che si possono fare subito, dall’oggi al domani’, poi sempre coinvolgendo gli enti locali, la base sulla quale lavorare per scovare gli sprechi sarà allargata ai trecento miliardi. Ma lì i cambiamenti saranno ‘robusti’ e dovranno passare attraverso ‘modifiche delle regole di vita e delle abitudini’. Lo ha detto il 27 scorso Piero Giarda parlando ai microfoni di Radio Vaticana, che ormai è divenuta portavoce privilegiata del governo. L’intenzione del ministero è di procedere in maniera molto spedita e già a giugno I dovrebbero partire i primi cantieri.
Secondo l’Ance per un miliardo investito ne vengono generati altri tre e con ricadute positive sull’occupazione.
Nel piano città molta attenzione e’ riservata alle scuole: su 45 mila ispezioni in 3596 scuole di tutta Italia, si prevede di spendere 943 milioni per mettere in sicurezza quelle più fatiscenti. Più della metà sono risorse già stanziate dal Cipe e 161 milioni di euro sono già stati erogati per i cantieri in corso (altri 20 milioni arriveranno entro luglio).
Il totale delle risorse a disposizione sarebbe di 2 miliardi, reperiti qua e là tra le pieghe dei bilanci e programmi già finanziati ma non più attivi.
Solo considerando l’housing sociale, 833 milioni di euro investiti generano 72 mila alloggi a canone sociale e 141 mila occupati.
Ma, tornando alla questione della sfilata di domani, anche se in tono dimesso e senza le “Frecce Tricolori” (con grande delusione di grandi e piccini), dovrebbero sfilare 2.584 militari e 738 unità di altre amministrazioni. Inoltre, 10 bande, 93 mezzi e 98 cavalli, per un costo stimato di tre milioni di euro, certamente più basso di 1,7 milioni rispetto allo scorso anno, ma certamente non trascurabile se si considera, ad esempio, quante scuole potrebbero essere messe, in sicurezza o ospedali ammodernati o case e beni di pregio riedificati.
Inoltre, considerando ciò che ha dichiarato Profumo che, ha detto, che alcune spese sono già state affrontate , con primi esborsi di 823.000 euro per l’allestimento delle tribune, cui bisogna aggiungere 119.500 euro per il servizio di vigilanza e manovolanza, lo spostamento delle fermate tram-bus, lo smontaggio di alcuni semafori, l’allaccio delle cabine elettriche e altre attività complementari, a cui bisogna aggiungere altri 628.539 euro di oneri soggetti a ribasso di gara, con un totale che arriva a 1.571.926,79; più, secondo il Pdm (Partito per la tutela dei diritti di militari e forze di polizia), una spesa di 3 milioni e mezzo per l’impiego di uomini e mezzi; siamo ben al di sopra dei tre milioni dichiarati.
E’ vero, tre o quattro milioni non sono tanti, ma, per dirla con la saggezza popolare, “tutto poco fa” e, soprattutto “grano a grano si riempie il granaio” o, forse, sarebbe più coretto dire, non si svuota ulteriormente.
Carlo Di Stanislao
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