Altro che fiore all’occhiello del Bel Paese: la nostra sanità può già definirsi allo sfascio. Ce lo dice la foto scattata dalla ricerca Rbm Salute-Censis, che afferma che la sanità in Italia è negata a 9 milioni di cittadini, mentre frena sempre più la spesa pubblica ed esplode quella privata e chi non può pagare di tasca propria, rinuncia sovente alle prestazioni.
La flessione si registra soprattutto nelle regioni con piano di rientro, dove si è passati dal +6,2% all’anno nel periodo 2000-2007, a meno dell’1% di crescita media nel periodo 2008-2010.
Mentre la spesa privata è aumentata più che nel periodo pre-crisi: +2,2% medio annuo nel periodo 2000-2007 e +2,3% negli anni 2008-2010, con un incremento complessivo nel decennio 2000-2010 del 25,5%.
Insomma, i tagli alla sanità pubblica abbassano la qualità delle prestazioni e generano iniquità, con 2,4 milioni di anziani, 5 milioni di persone che vivono in coppia con figli e 4 milioni che risiedono nel Mezzogiorno, che dichiarano di non aver potuto accedere alle prestazioni di cui avevano bisogno per ragioni economiche.
Presentato ieri al Welfare day, il rapporto ci dice anche che il gap tra le esigenze di finanziamento della sanità pubblica e le risorse disponibili è previsto raggiungere i 17 miliardi di euro nel 2015 e che già ora più del 55% dei fondi integrativi, che riguardano bel 11 milioni di italiani, sono andati in prestazioni sostitutive al servizio pubblico, come il ricovero ospedaliero o il day hospital.
E piovono altre brutte notizie dalla Corte dei Conti che, oggi, smantella l’operato del Governo Monti e, per bocca del suo presidente Luigi Giampaolino, sottolinea, nel Rapporto sulla finanza pubblica, che “l’’aumento della pressione fiscale provoca impulsi recessivi sull’economia reale, allontanando gli obiettivi di gettito e provocando un rischio di avvitamento”.
Secondo il presidente va “disinnescato il circolo vizioso”, cercando di conciliare rigore, equità e crescita con un rafforzamento delle ragioni per puntare sull’ampliamento della base imponibile , attraverso la lotta all’evasione, all’elusione e al ridimensionamento dell’erosione.
L’evasione fiscale resta una piaga pesante per il sistema tributario e per l’economia del nostro Paese. Le dimensioni del fenomeno evasivo restano rilevanti e collocano l’Italia ai primissimi posti nella graduatoria internazionale.
Penalizzato dalla mancata ripresa dell’economia, nel 2011 il gettito fiscale è rimasto molto al di sotto delle previsioni.
In particolare, dal 2007 al 2009, tra Iva e Irap, si è registrato un vuoto di gettito di oltre 46 miliardi di euro l’anno, ci dice la Corte dei Conti nel suo dossier, con un tasso di evasione stimato in misura pari al 29,3% nel caso dell’Iva e al 19,4% per l’Irap.
Insomma, i dati forniti dalla magistrata amministrava, ci dicono che recuperando l’evasione di un anno si porterebbe a termine una manovra identica a quella “lacrime e sangue” erogataci dal governo e resterebbero ancoro soldi per i due terremoti de L’Aquila e dell’Emilia.
In definitiva, anche la Corte dei Conti certifica che la ricetta anticrisi del governo Monti “è sbagliata, iniqua, recessiva e inefficace”, affermando che, nonostante i sacrifici, i problemi del Paese sono rimasti in gran parte irrisolti.
Per Silvano Moffa, presidente della commissione Lavoro della camera e capogruppo di Popolo e Territorio, la via indicata da Giampaolino è un ulteriore conferma “che è necessario sostenere la nostra proposta di legge sulle dismissioni del patrimonio pubblico per ridurre il debito e l’impatto della fiscalità su famiglie e imprese”, sfuggendo alla logica di creare altri fondi creditizi che servirebbero a sostenere il sistema bancario e non per arginare gli impulsi recessivi e l’avvitamento dell’economia.
Certamente belle parole ma che restano, per ora, soltanto tali.
Parole che suonano ancora più vuote ed irritanti pensando alla corruzione che serpeggia nelle varie caste nostrane: la politica, quella imprenditoriale, quella dei calciatori e che investe, pare, anche le alte gerarchie della chiesa.
Scrive Alberto Statera su Repubblica che lo scandalo dello Ior è soltanto la schiuma che viene a galla, ma le “cinque piaghe della Santa Chiesa” che il beato Antonio Rosmini enumerò quasi due secoli fa, hanno prolificato ormai nella Curia romana, in una sconfinata “coalizione anticristica di interessi”, come la definiscono i cristiani di base.
Una Vatican Connection, i cui fili uniscono in una trama ferrea le inverecondie politico-affaristiche della prima e della seconda Repubblica.
Da Sindona, all’Ambrosiano, alla P2 o al riciclaggio nel Torrione di Niccolò V della tangente Enimont, madre di tutte le tangenti della prima Repubblica, basta ripercorrere le vicende che hanno segnato i tre lustri del berlusconismo per tracciare un compendio quasi completo degli scandali italici transitati in qualche modo nel Cortile di San Damaso.
E, dalla base della chiesa, si grida alla sconforto e allo scandalo, come fa ad esempio don Paolo Farinella, prete di base, che afferma “ il Vaticano appoggia sempre i corrotti, i corruttori, i ladri e i manipolatori di coscienze” La prova, dice il parroco, è che “si affida a Gianni Letta, coordinatore della rete di corruttela”, quello stesso, che il Segretario di Stato Tarcisio Bertone definisce “il nostro ambasciatore presso lo Stato italiano”, con una corte di disinvolti grand commis, fatta di generali felloni e di spudorati faccendieri.
Non solo il ben noto Luigi Bisignani (che ha da poco patteggiato un anno e sette mesi di reclusione per lo scandalo P4), il quale si occupò del lavaggio della maxitangente Enimont e curava il conto “Omissis” di Giulio Andreotti allo Ior, ma anche l’altra eminenza grigia dell’ultimo decennio: il signore degli appalti truccati Angelo Balducci, il Gentiluomo di Sua Santità versato non solo nella corruttela del denaro e del potere, ma anche in quella indotta dalle sue abitudini sessuali, che ha rivelato persino l’onta di un giro di prostituzione maschile all’interno delle mura leonine.
Due giorni fa il Corriere della Serafacendo riferimento a una lettera che annunciava l’uccisione della ragazza, ha fatto riemergere, nel caso di Emauela Orlandi, la pista dei preti pedofili di Boston. “C’è un filo robusto – si legge nel giornale di via Solferino – che lega la scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori (scomparsa anche lei, il 7 maggio del 1983) allo scandalo dei preti pedofili a Boston. Una vicenda che nel 2002 sconvolse la Chiesa cattolica, lasciò sgomenti milioni di fedeli americani per i sistematici abusi su minori coperti dai vertici ecclesiastici e portò alle dimissioni dell’arcivescovo Bernard Francis Law, poi tornato a Roma nel 2005 in qualità di arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore”.
La madre di Mirella, durante una visita del Papa in una parrocchia romana il 15 dicembre 1985 riconobbe in un uomo della scorta, Raoul Bonarelli, una persona che spesso si intratteneva con la figlia ed una sua amica in un bar vicino casa. Ma la cosa non ebbe seguito alcuno.
Ora il Corriere, ricostruisce che a Maggio 2002, si apre il processo sui preti pedofili e Law ,nella deposizione risponde a monosillabi, si scusa per aver controllato poco i ‘collaboratori’.
Il 7 giugno, fuori dal tribunale, le mamme delle vittime (per lo più maschietti, ma non solo) protestano.
E, dentro, l’interrogatorio è incalzante: ‘È emerso in una precedente deposizione – attacca il rappresentante dell’accusa – che 32 uomini e due ragazzi hanno formato il gruppo Nambla. Per contattarlo si può scrivere presso il Fag Rag, Box 331, Kenmore Station, Boston… Cardinale Law, ha inteso?’. ‘I do’, risponde l’arcivescovo. Sì, è vero. Il Fag Rag , che sta per Giornalaccio omosessuale, faceva quindi proseliti per conto del temutissimo sodalizio pedofilo degli States, proprio dalla stazione da cui partì la lettera su Emanuela”.
Mirella sparì da Roma quando aveva 15 anni e il suo rapimento, a quanto sappiamo, sarebbe avvenuto nel piazzale di Porta Pia il 7 maggio del 1983. Aveva chiesto alla madre di poter incontrare un amico e da allora non è stata più vista.
Come si disse allora, il rapimento non solo sarebbe collegato con quello di Emanuela, anche lei quindicenne, scomparsa il 22 giugno dello stesso anno, dopo una lezione di flauto a Sant’Apollinare, ma, come ora si sospetta, al sordido giro eclesiale di Boston.
Ieri, il Vaticano, ha censurato il libro di una suora statunitense, Margaret A. Farley,”Just Love. A Framework for Christian Sexual Ethics”, perché non in linea con la dottrina cattolica sulla morale sessuale. Un libro su gay e omosessualità, che era stato difeso dalla Leadership Conference of Women Religious (Lcwr), auspicandone non una censura, ma un confronto, in vista di un incontro programmato a giugno.
Sempre ieri, il segretario di Stato vaticano, card. Tarcisio Bertone, in un’intervista al Tg1, ha detto che: “Papa Benedetto XVI non si lascera’ ”intimorire” dallo scandalo Vatileaks , con i suoi ”attacchi mirati’, a volte anche feroci, dilanianti e organizzati”, ma il fatto è che gli scandali nella chiesa sono una verità incontrovertibile, almeno quanto il baratro morale e finanziario della nostra Nazione.
Il 2 giugno, Benedetto XVi ha incontrato, in forma privata il cardinal Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, il quale, poi, a Radio Vaticano, ha commentato: “le occasioni si trovano nei momenti difficili” e concluso: non penso piu’ alla Chiesa di oggi prego soltanto per questa Chiesa”.
Stamani, la procura di Napoli ha disposto la perquisizione dell’abitazione e di due uffici di Ettore Gotti Tedeschi, ex presidente dello Ior (Istituto opere religiose), di recente rimosso dalla carica, con un atto legato all’inchiesta su Finmeccanica e in nessun modo riconducibile alle attivita’ svolte da Gotti Tedeschi per lo Ior. Gotti Tedeschi allo stato non e’ indagato nella indagine su una presunta corruzione internazionale legata a presunte tangenti per appalti aggiudicati da aziende del gruppo Finmeccanica in Europa e Sud America. Il filone probabilmente e’ scaturito da dichiarazioni di Valter Lavitola, riferite ai pm Henry John Woodcock, Vincenzo Piscitelli e Francesco Curcio.
Secondo quanto si e’ appreso la perquisizione e’ legata all’acquisizione di documentazione sui suoi rapporti con l’ad di Finmeccanica Giuseppe Orsi, gia’ indagato a Napoli, ma non è escluso che possa portare a ben altro.
Lo scorso 26 maggio, con un documento dal titolo secco: “Voto e risoluzione di sfiducia”, due cartelle molto fitte, il board dello Ior ha licenziato Ettore Gotti Tedeschi dalla presidenza della banca vaticana, elencando ben nove punti di contestazioni, in cui, i consiglieri, parlavano di “fallimento” nel “portare avanti i doveri che spettano al presidente”.
E poi una serie di altri specifici rilievi: “incapacità di essere informato sulle attività dell’istituto e mantenerne informato di conseguenza il Cda, non aver partecipato ai lavori del board, mancanza di prudenza e precisione nei confronti della politica dell’istituto, incapacità di fornire spiegazioni sulla diffusione dei documenti in possesso del presidente, diffusione di notizie imprecise sull’istituto, incapacità di rappresentare pubblicamente e difendere la banca di fronte a notizie imprecise da parte dei media, eccessivo accentramento, progressivi comportamenti sbagliati ed erratici”.
Subito si è detto, sulla stampa, che la sfiducia non è riconducibile a motivazioni politiche o riferibili a scontri interni, ma esclusivamente riguardanti la governance dell’Istituto, tema sollevato più volte durante la riunione (anche dallo stesso presidente). Ma c’è anche chi nota che un altro motivo per cui la commissione cardinalizia non ha fatto comunicazioni ufficiali potrebbe anche essere il sintomo che non ci sarebbe stata unanimità, come è invece è stata sottolineata per il board dei membri laici. Infatti all’interno della commissione siedono Bertone e il cardinali Nicora – oltre al francese Tauran, il brasiliano Scherer e l’indiano Toppo – che da tempo si stanno confrontando sulla legislazione che deve regolare la trasparenza delle finanze pontificie. Nicora, presidente dell’Autorità di informazione finanziaria, si è visto ridurre il perimetro di competenze assegnategli dal Motu Proprio del 2010 dalla legge dello scorso gennaio e che ha previsto un ampliamento degli organi vigilanti sui “sacri bonifici”.
E, come la storia ci dice, la chiesa ama più “vigilare” che essere “vigilata”.
Nel tentativo di trovare un sintetico finale a questo articolo su bruttissimi, mostruosi “rapporti”, mi viene in mente l’emblematica affermazione di Ben Cohen (fondatore della Ben & Gerry – famosa casa produttrice di gelati del Vermont): “Il mondo degli affari tende a sfruttare le comunità ed i loro lavoratori. Questa non è la via che io intendo seguire. Credo che debba essere l’opposto, che le imprese abbiano una responsabilità verso le comunità che le ospitano e le permettono di prosperare: proprio per questo l’impresa deve dare qualcosa in cambio. E quando un’impresa sostiene la comunità, la comunità, a sua volta, sostiene l’impresa.”
E se questo vale per le imprese, deve valere ancor di più per chi di politica, economia e morale dovrebbe occuparsi.
Carlo Di Stanislao
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