Qualcuno dirà che c’entra Venere passato davanti al Sole ed altri diranno che tutto dipende dalle trivellazioni e dal gas pompato. Resta il fatto che il terremo in Emilia non accenna a placarsi e, stamani, una nuova scossa di magnitudo 4,5 si è registrata in mare, a largo di Ravenna.
Dopo la rarefazione degli eventi nel pomeriggio di ieri, nel corso della notte la sequenza in pianura padana ha debolmente ripreso l’attività , culminando con la scossa avvertita chiaramente anche in Veneto, con epicentro molto più a est, situandosi in prossimità di Cervia.
Mentre non si segnalano vittime per questa nuova scossa, è salito a 26 il numero delle stesse per il sisma principale, con due donne morte nella notte in ospedale, per le ferite riportate durante i crolli degli eventi occorsi fra il 20 ed il 29 maggio.
Una di queste due donne, Liviana Latini, 65 anni, era rimasta sepolta sotto le macerie quando un edificio di cinque piani le era crollato addosso, a Cavezzo, una settimana fa, in occasione del secondo terremoto di magnitudo 5.8
L’altra, Sandra Gherardi, 46 anni, invece, è morta dopo essere stata ferita in testa da alcune macerie cadute, mentre percorreva in bicicletta una strada di Cento, sempre il 29 maggio.
Certo i terremoti né si prevedono né possono essere evitati, mai disastri che causano certamente sì.
Lo si è detto e ripetuto tre anni fa, in occasione del terremoto dell’Aquila, coi suoi 308 morti e lo si era scritto sette anni prima, in occasione del terremoto del Molise, che provocò la morte di 27 bambini e della loro maestra a San Giuliano.
E ancora prima per il sisma dell’Umbria e per quello dell’Irpinia: trentadue anni fa.
Per non parlare di frane, alluvioni, incendi e vari altri cosiddetti “disastri naturali”.
Anni a dire, scrivere e sottolineare che le leggi ci sono ma non si applicano.
A registrare le analisi e gli appelli degli esperti che da sempre ripetono che più che prevedere bisogna prevenire. E che serve un piano nazionale per la messa in sicurezza del Paese.
E che questa è la vera e necessaria “grande opera”, su cui spendere senza risparmi.
Otto giorni or sono la Cassazione ha sentenziato che la scuola di S. Giuliano venne giù perché costruita male, a prescindere dalla sismicità della zona. Colpevoli progettisti e costruttori e anche amministratori e funzionari comunali. Cosa che accade e si ripete puntuale, in ogni analoga circostanza.
Anche da noi, a L’Aquila, in una città in cui si è spesa una enormità di denaro ma è ancora agonizzante dentro le sue macerie, c’è un processo in corso per la responsabilità di un crollo, quello della casa dello studente.
Toccherà ai magistrati stabilire le responsabilità, così come quelle per gli anomali crolli di capannoni in Emilia.
Anomali perché ne sono crollati solo alcuni, mentre altri pur tremando sono rimasti in piedi. Costruiti meglio, capaci di resistere a scosse che, pur violente, non hanno raggiunto i livelli di altri terremoti come quelli dell’Irpinia del 1980 o di Messina del 1908, che avevano una forza più di 30 volte superiore.
Ma oggi, lo vediamo costantemente, sono l’irrazionalità e la cupidigia a dettare ogni condotta.
Quella irrazionalità che è propedeutica alla crescita, in ragione della quale bisogna costruire, crescere a razzo, anche con capannoni costruiti in due settimane, con materiali di scarsa qualità, senza particolari controlli o verifiche, oppure fatti in modo superficiale.
Crescere e guadagnare, sono questi gli unici imperativi, con lavori affidati a persone senza scrupoli e per le quali l’unico obbiettivo è il profitto.
Le immagini dell’Emilia-Romagna distrutta si aggiungono a quelle dell’Aquila, del Friuli, del Belice, dell’Irpinia e le storie si sovrappongono, diventano drammaticamente simili: lo stesso dolore, la stessa rabbia, la stessa attesa, le stesse lacrime versate sulle macerie e sui morti.
E si riflette, lo si fa sempre per qualche tempo in questi casi, fra plastici di Porta a Porta ed esperti nei vari salotti televisivi, sulle altre aree a rischio, in Calabria, in Campania, con studiosi a confronto, tecnici in campo, istituzioni impegnate a dare risposte che, poi, puntualmente, o non arrivano o sono disattese.
L’Italia è area sismica per l’85% ed ancora non ci siamo resi conto che è il costruire dove si deve e con serietà l’unica protezione.
Si pensi solo, per fare un esempio, al Vesuvio, con un piano di evacuazione in caso di eruzione, composto da centinaia di pagine, mentre tutti sanno che sia Napoli che la sua provincia sono assolutamente impreparate.
Come scrive Raffaele Schettino su Metropolis, del rischio sismico in area vesuviana si parla da quasi 30 anni, ma ancora ci sono edifici in pericolo e piani di ricostruzione che spesso hanno provocato più scempi dello stesso sisma.
Dell’allarme idrogeologico si leggono puntualmente dossier e denunce, ma il fenomeno dell’abusivismo e degli sbancamenti non si arresta.
Dopo il terremoto dell’Irpinia, fu delimitata una zona di “Terza categoria” che racchiude tutti i comuni campani sulla dorsale appenninica e quelli al confine con la Basilicata, la Puglia e il Molise.
L’area Vesuviana fu sezionata in “Seconda e Prima categoria”, ma la nuova ridefinizione del rischio (dicembre 2007) ha accorpato tutti i comuni della provincia di Napoli nella lista dei comuni a “sismicità media”, ovvero il secondo livello di allerta.
Anche se, considerando l’elevata densità abitativa, l’area è da ritenersi tra le più esposte d’Italia, con un coinvolgimento diretto di 428.000 persone ed indiretto di ben 5 milioni.
Carlo Di Stanislao
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