Dopo un rincorrersi di dati per l’intera domenica, alla fine in Grecia, i partiti pro-euro c’è l’hanno fatta e Nea Dimokratia e Pasok hanno la maggioranza assoluta in Parlamento con, secondo i dati diramati dal Ministero degli interni, il 29% ai primi ed il 12,8% ai socialisti, mentre la sinistra radicale di Syriza, con il 6%, dichiara che sarà la nuova opposizione.
Guadagnano 10 seggi, con il 7% (terzo risultato), il partito neonazista di Alba Dorata, mentre il Kke è al 4,5%.
Con questo risultato il Paese “rimarrà ancorato all’euro” ha detto il leader di Nea Dimakratia Antonis Samaras in conferenza stampa. “I greci – ha dichiarato – hanno scelto di rimanere legati all’Europa”.
Dagli Stati Uniti la Casa Bianca esprime l’auspicio della formazione in tempi rapidi di un nuovo governo ellenico.
“Auspichiamo – ha dichiarato il portavoce Jay Carney, in viaggio con il presidente Barack Obama verso il Messico per il summit del G20, dove di gracia Obama palerà con i leader europei, – che queste elezioni portino presto alla formazione di un nuovo governo che potrà realizzare progressi tempestivi sulle sfide economiche che attendono il popolo greco”.
Dunque Nea Dimokratia, alleandosi con i socialisti di Evangelos Venizelos, avrà una maggioranza non del tutto risicata: 162 seggi complessivi su 300: quanto basta per formare un esecutivo pro-salvataggio e farevorevole alla permanenza del Paese nell’euro.
Lascia qualche dubbio comunque, un’affermazione fatta in tv proprio da Venizelos, che ha chiesto una coalizione di governo a quattro, con anche i due partiti di sinistra, che vorrebbero ridiscutere gli accodi con l’Europa.
Quanto al leader di Syriza, Alexis Tsipras, ha commentato che il suo “è un partito che si batte contro il memorandum, l’intesa con i creditori intenzionali.
Comunque, parlando al telefono con Antonis Samaras, gli ho detto che in base ai risultati odierni egli è libero di formare il governo che riterrà più opportuno per il Paese.
Noi saremo presenti come opposizione. E siamo anche sicuri che la validità e la giustizia delle nostre posizioni sarà confermata dai futuri sviluppi. A partire da lunedì ad ogni modo tutto cambierà e per la Grecia sarà un nuovo giorno”.
Ancora più confusa la situazione in Egitto, dove ieri si è votato sino alle 22 e con risultati ufficiali attesi per giovedì, nelle prime elezioni presidenziali dopo la caduta dell’ex dittatore Hosni Mubarak,
Ciò che è certo è che l’affluenza è stata molto bassa, cosa che è stata letta come una vittoria dei movimenti pro-rivoluzionari, che avevano dichiarato un boicottaggio del voto.
Mentre il conteggio è ancora in corso, Mohamed Morsi, candidato degli integralisti islamici, ha tenuto una conferenza stampa durata circa 10 minuti e trasmessa in diretta dalla tv satellitare Al Jazeera.
Ha ringraziato tutti gli egiziani che hanno partecipato alle elezioni ed ha mandato un “saluto di pace anche a quelli che non hanno votato per me”, perché “sono tutti figli dell’Egitto e siamo tutti fratelli egiziani”, oltre che ai martiri della rivoluzione, ai loro padri e alle loro madri, a tutti quelli che “hanno messo in pratica la rivoluzione perché amano l’Egitto, la libertà e la democrazia”. E mentre Morsi parlava da vincitore, lo staff di Shafiq deve aver pensato “bando alla prudenza”.
Così, dopo l’alba è arrivata la presa di posizione: “Al momento siamo in testa col 53% dei voti contro il 47% di Mohamed Morsi”, ha detto a Al Jazeera il capo della campagna elettorale di Shafiq, Ahmed Sarhan.
Comunque, di là da queste dichiarazioni, solo giovedì sapremo chi davvero ha vinto e quale futuro si prospetta per l’Egitto, in cui, in un clima di crescente scontro tra religiosi e militari, lo scioglimento del Parlamento è visto da molti come un “golpe bianco”.
Nel Paese che 16 mesi aveva visto la vittoria della Rivoluzione e l’inizio di una complicata e difficile transizione, i Fratelli musulmani, il cui candidato Mohammed Morsi ha vinto il primo turno delle presidenziali, si trovano ora a sfidare l’ex generale Ahmed Shafiq e si sentono così forti da considerare illegittima la decisione della Corte suprema che due giorni fa aveva dichiarato nulle le elezioni per il Parlamento, decisione vista da loro come una pericolosa premessa al totale ritorno al passato, da concludersi con la nomina d’imperio del “militare” Shafiq.
Intanto Piazza Tahrir resta vuota e i suoi giovani non sono più in grado di controllare i giochi politici: loro stessi ammettono che la Rivoluzione, almeno per il momento, è stata sconfitta, completamente.
E continuano le domeniche di sangue in Nigeria, con 36 i cristiani uccisi, tra cui 4 bambini e un centinaio di feriti (il numero delle persone coinvolte è ancora provvisorio), dopo un ennesimo attacco coordinato contro tre chiese nello Stato settentrionale di Kaduna, a maggioranza musulmana.
Il bilancio peraltro non prende in considerazione gli ultimi attentati contro altre due chiese, sempre nella stessa area, dove due esplosioni a distanza di pochi minuti, hanno causato diverse uccisioni anche fra donne e bambini.
Le bombe sono state piazzate a Zara, nella cattedrale cattolica del Cristo Re e nella chiesa evangelica della Buona Novella.
L’attentato è stato rivendicato dal gruppo dei fondamentalisti islamici dei Boko Haram, il cui obiettivo è la riconquista del potere e la cacciata degli infedeli dalle terre del nord e subito dopo folle di cristiani inferociti si sono lanciate in violenti rappresaglie nei confronti dei musulmani in un quartiere a maggioranza cristiana di Kaduna, con una situazione fuori controllo e testimoni che riferiscono che almeno dieci cadaveri di persone linciate sono stati trasportati all’obitorio.
Episodi di giustizia sommaria avrebbero causato almeno 25 morti e le autorità hanno proclamato il coprifuoco per 24 ore, con effetto immediato.
In una nota ufficiale il Vaticano parla di un “assurdo disegno di odio” e commenta che: “’la sistematicita’ degli attentati contro i luoghi di culto cristiani nel giorno di domenica e’ orribile e inaccettabile”.
Il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha aggiunto: ”Mentre partecipiamo al dolore per le numerose vittime, bisogna augurarsi interventi efficaci che riescano ad arginare ed eliminare il terrorismo per il bene di questo grande Paese”.
Sono almeno tre anni che nella Nigeria del Nord si verificano con frequenza crescente i atti di terrorismo, sia di matrice islamista che separatista.
Attentati hanno avuto luogo anche alla vigilia di Natale a Maiduguri nello Stato di Borno e violenze diffuse, dirette in particolare contro le forze dell’ordine, si sono verificate successivamente anche nello Stato di Bauchi.
Nel luglio 2009, inoltre, si sono registrati scontri tra militanti islamici, appartenenti alla setta Boko Haram e forze dell’ordine negli stati di Borno, Yobe, Kano e Bauchi, con un bilancio di diverse centinaia di vittime.
Violenze e disordini si sono verificati anche a seguito delle elezioni generali svoltesi nell’aprile 2011, le quali hanno causato numerose vittime e migliaia di sfollati.
In Nigeria, le cui prime libere elezioni risalgono al 1999, dal 2000 si sono scatenati conflitti etnici e tribali.
Di particolare importanza quello tra cristiani Ibo e musulmani Haussa, che ha visto un tragico episodio con un strage di 300 persone nella città di Kaduna, nel febbraio 2000.
La carneficina, nonostante il tentativo di accordi di pace, si è ripetuta nel 2002.
Apparentemente il motivo del conflitto sarebbe dovuto alla volontà da parte dei musulmani di introdurre la shari’a, ma il motivo reale è legato alla povertà e alla possibilità di saccheggiare le vittime.
La guerra accresce le difficili condizioni economiche di un paese già fra i più difficili del mondo, dove più del 60% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno.
Scrive Massimo Alberizzi, esperto di fatti africani, che è la povertà, insieme alla corruzione politica, la causa delle continue violenze in Nigeria.
A nord si è scatenata l’aggressività dei gruppi islamici e a sud i ribelli del MEND (Movement for the Emancipation of the Niger Delta) minacciano, con attentati grandi e piccoli, l’estrazione petrolifera di quello che è l’ottavo produttore del mondo.
I commando che operano nell’ex colonia britannica si possono dividere grossomodo in tre gruppi: i criminali comuni che si muovono solo per denaro, i ribelli motivati politicamente, che sostanzialmente vogliono una diversa distribuzione delle ricchezze petrolifere, ora riservate a poche famiglie, e una profonda reale democratizzazione del Paese, e infine gli invasati terroristi islamici legati ad Al Qaeda, per i quali la vita umana (né la propria, né quella degli altri) non conta nulla.
Il fanatismo di questi ultimi, che qui si chiamano Boko Haram (cioè l’educazione occidentale è proibita), si misura con le loro credenze: sono convinti che la Terra sia piatta e che la pioggia sia un dono di Allah e non il risultato della condensa che si accumula nelle nuvole.
La povertà endemica causata dalla corruzione dilagante, un’organizzazione sociale che impedisce ai giovani di avere prospettive per il futuro e li condanna alla miseria e all’abulia, senza la possibilità di trovare un lavoro o un’occupazione decente, fanno si che l’Islam radicale diventi seduzione ipnotica, per i musulmani del nord, come lo è, per altre vie, la ribellione politica per gli studenti del sud.
Carlo Di Stanislao
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