Il bisogno di identità culturale agisce sulla memoria collettiva anche con forme di oblio e di lenimento, che sono un tutt’uno con il processo di estetizzazione del paesaggio. Questo perché la mente è condizionata da quello che ha appreso e, fra tutti i segnali esterni, seleziona quelli che meglio si adattano alla sua concezione del mondo. Nei periodi di declino ambientale “la memoria viene ricoperta di strati di frantumi di immagini come un deposito di spazzatura dove è sempre più difficile che una figura tra le tante riesca ad acquisire rilievo”; le differenze tra città bella e città brutta, città densa e città dispersa si affievoliscono, pesantemente condizionate dal consolidarsi nell’immaginario collettivo di un archetipo di paesaggio urbano fatto da un disgregato contesto ammucchiato. Tuttavia, nello svolgimento dei fenomeni urbani, sussiste un processo di circolarità, in cui il declino e il rigoglio compaiono come figure in continuo rovesciamento all’interno di trasformazioni silenziose, dove il declino stesso declina, e nell’ombra del negativo sbucano iniziative mai viste e altre forze si ricompongono. Nuovi rigogli appaiono come spiragli improvvisi e fanno transitare gli ancestrali bisogni di identità verso svolgimenti orientati al “nutrimento del paesaggio”, con lo sguardo puntato sulle “città intelligenti”, che coniuga le prospettive della smart economy, della smart people e della smart governance, con quelle della smart mobility, della smart environment e della smart living. Così anche a l’Aquila, queste visioni si affacciano come figure di rovesciamento dell’ ostinato declino e si associano a nuove opportunità. Tra queste, quella derivante dall’accordo che a breve verrà stipulato con l’ Enel per l’immissione di 500 litri di acqua al secondo, nell’alveo dell’Aterno. Il prelievo, fatto dal lago di Campotosto, è un avvenimento di grande rilievo, poichè rilancia il ruolo dell’asta fluviale all’interno della città-territorio e ne fa la principale “infrastruttura verde plurifunzionale”. A livello internazionale oggi, i fiumi sono assunti come oggetto di ricerca e approfondimento nel loro potenziale utilizzo, quale spazio pubblico aperto a tutti. L’obiettivo ufficialmente perseguito è quello di sviluppare una nuova partnership tra città dove l’acqua, le comunità, l’arte e la cultura si possono incontrare, nel quadro di un dialogo interculturale internazionale. Il rapporto tra l’Aquila e l’acqua è ancestrale e risale alla sua fondazione, quando gli abitanti dei due contadi scelsero come sede edificatoria il colle affacciato sulla strettoia dell’Aterno, posto alla confluenza di corsi d’acqua e alla presenza di abbondanti sorgenti. Nel riconsegnare alla città un contesto ambientale nel quale affondano le radici della sua identità culturale, la realizzazione del Central Park Lungaterno la doterebbe di uno spazio pubblico che ricondurrebbe ad una visione unitaria un paesaggio urbano altrimenti dissociato. Nel contempo aprirebbe ampie prospettive per una città creativa. Il Parco Fluviale si pone infatti, come luogo su cui ri-attestare i tradizionali orti periurbani e realizzare i parchi agricoli, una prospettiva aperta ad un’economia verde, che darebbe luogo a nuove opportunità di occupazione. Si pone anche come luogo in grado di sviluppare attività eco-terapiche per il trattamento di patologie, partendo proprio dalla bellezza dell’ambiente e dal contatto con la natura; una struttura di utilità pubblica, particolarmente adatta a soddisfare le esigenze di una collettività provata dagli effetti catastrofici del sisma. E’ scientificamente dimostrato infatti il valore terapeutico che la natura e il paesaggio svolgono su alcune malattie, quali il morbo di Alzheimer, l’autismo, la sindrome di Down e i traumi o le disabilità psichiatriche conseguenti agli eventi catastrofici. Sono universalmente riconosciuti i positivi risultati esercitati su molti pazienti dalla giardino-terapia e dall’orto-terapia. Il “Central Park” conferirebbe valore aggiunto alle risorse naturalistiche, culturali e storiche dislocate lungo la fascia fluviale, ampliandone la gamma di possibili fruizioni. Non solo quindi attività ludiche e sportive, didattiche e turistiche legate ad un turismo sostenibile, non solo l’affermarsi di una mobilità sostenibile lungo il fiume, ma anche percorsi specifici rivolti ai pazienti, ai loro accompagnatori e a quanti sono in cerca del proprio benessere a diretto contatto con la natura. L’idea è di realizzare, nelle strutture situate lungo il paesaggio fluviale e recuperate all’occorrenza, attività terapeutiche legate agli orti, ai giardini, alla musica, al teatro, ma anche attività didattiche, laboratori, mostre e attività ricettive. Il progetto del Central Park è rivolto ad utenze diverse, che vanno dai disabili, alle persone disagiate, agli anziani, ai bambini, a chi è in fase riabilitativa, ma anche a chi vuole semplicemente accostarsi a discipline terapeutiche non convenzionali. Il Central Park potrebbe divenire una componente strategica sulla quale fondare il Progetto di l’Aquila, città policentrica. Un servizio pubblico di cui tutta la collettività sente l’urgente bisogno. Pensiamo ad esempio ad un ossessivo, afflitto dalla coazione a ripetere pensieri e schemi di azione. Proiettato in una dimensione estetico-sensoriale può trovare notevole sollievo. E un bambino autistico – che al contrario di quanto spesso si crede non è affatto distaccato dal mondo ma estremamente sensibile – incoraggiato dal contatto con le piante i sentieri-natura e la vista dell’acqua può rilassarsi e allargare il proprio orizzonte. Lo stesso vale per i malati di Alzheimer. In alcuni progetti pilota, grazie alle attività di giardinaggio, si sono avuti miglioramenti dell’umore e della memoria. Altri esperimenti hanno evidenziato che i pazienti con problemi di schizofrenia che hanno praticato l’ippoterapia hanno potuto fare a meno dei ricoveri nelle case di cura a cui si erano sottoposti nel periodo precedente. Esistono vari studi pubblicati sugli effetti terapeutici prodotti dalla vista del verde. In alcune ricerche ospedaliere è stata esaminata la velocità di recupero post operatorio di un gruppo di pazienti dalle cui finestre si vedevano alberi. In una città come l’Aquila, in cui per decenni il governo locale, spesso ostaggio della speculazione fondiaria ed edilizia, ha consentito la pratica dell’abusivismo e ha incoronato sovrana l’urbanistica contrattata, (i risultati sono sotto gli occhi di tutti), è pensabile che queste tendenze si siano radicate al punto da diventare parte del diritto acquisito e del costume locale, fino a trasformarsi in declino culturale della polis, della società civile e del suo immaginario paesaggistico. Ma la città che il cittadino aquilano ha visto fino ad oggi è l’espressione di un’identità culturale che non si identifica con una città intelligente, ma solo con ciò che gli ha fatto vedere la mente. La città intelligente, la smart city, deve ancora fare ingresso nell’immaginario collettivo. E’ una città che fa prediligere l’interesse pubblico alla sommatoria dei particolarismi e degli interessi privati. E il confine che fa riconoscere l’interesse pubblico dalla sommatoria di tali particolarismi e interessi privati è quello che fa comprendere dove finisce la legalità e incomincia l’illegalità.
Giancarlo De Amicis
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