Il 70% dei reati commessi da minori si realizza in gruppo. Di questi l’85% viene commesso da ragazzi con cittadinanza italiana. L’età media è 16 anni e in oltre l’85% dei casi gli autori sono di sesso maschile. Si tratta nel 55% dei casi di reati contro il patrimonio, per il 20% di delitti contro la persona (percosse, lesioni, omicidio e violenza sessuale); contro persona e patrimonio nel 20% dei casi e di reati di spaccio di sostanze stupefacenti e altro (5%). Sono i risultati dello studio condotto, tra il 2000 e il 2010 da Cristina Cabras, Professore Associato di Psicologia Sociale presso l’Università degli Studi di Cagliari e Specialista in Criminologia Clinica, che è stato presentanto ieri al Seminario di Studio “Accogliere per prevenire il disagio psichico dei giovani: modelli e pratiche d’inclusione socio-lavorativa” organizzato dall’Isfol nell’ambito del “Programma per il sostegno e lo sviluppo dei percorsi integrati di inserimento socio lavorativo dei soggetti con disturbo psichico” promosso dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale.
“La condizione deviante non è quasi mai riconducibile alla malattia mentale”, ha detto Cabras che ha sottolineato come essa sia legata al “desiderio del rischio fine a se stesso”, atteggiamento tipico dell’età adolescenziale che si ritrova sviluppato più frequentemente “nei ragazzi che appartengono a classi più agiate, per le loro maggiori possibilità economiche”. Secondo lo studio di Cabras “il comportamento delinquenziale aumenta fino all’età di 17 anni per poi regredire”. “Mediamente la carriera criminale inizia a 17 anni, dura circa 6 anni e, nella maggioranza dei casi analizzati si conclude a 25 anni”, ha sottolineato la docente. I dati raccolti dalla ricerca affermano che: tre quarti degli individui condannati in giovane età vengono ricondannati tra i 17 e i 24 anni, mentre solo la metà di questi riceve condanne tra i 25 e i 32 anni. La crimiloga ha ricordato che “chi prosegue nell’attività criminale, lo fa in gruppo”, sottolineando che “gli atti realizzati in gruppo non corrispondono a quelli che i singoli realizzerebbero”. Per questo, per prevenire la devianza “i ragazzi tra i 14 e i 18 anni vanno aiutati ad usare reazioni differenti e comportamenti di indipendenza per poter far fronte alla pressione del gruppo” afferma Cabras. Ciò “perchè la paura della solitudine è uno degli eelementi più significativi dei disagi provati dai giovani”. In questo senso, “è importante avere più gruppi di riferimento”.
Per evitare comportamenti devianti recidivi secondo lo studio è importante considerare che “gli elementi che concorrono al ripetersi di condotte antigiuridiche dipendono anche da aspetti che produce la carcerazione”. Si tratta di un dato fondamentale perchè “non vi sono fondi a sufficienza per fare prevenzione nè trattamento”, sottolinea Cabras. Di conseguenza “Gli effetti della carcerazione sono sempre negativi, in ogni circostanza, perchè non ci sono nè competenze sufficienti nè programmi specifici, per trattare la devianza”. La criminologa afferma che, se vi fossero fondi per portare avanti programmi specifici “i soggetti in carcere sarebbero in consizione ottimali per essere trattati” proprio per la loro lunga permanenza nello stato di reclusione”. A livello europeo sono stati infatti sperimentati programmi specifici con caratterizzazioni diverse per i diversi reati: violenza, violenza sessuale , furti o rapine. Mentre i programmi mirati a coloro che hanno commesso furti o rapine tendono a veicolare le capacità dimostrate in altri canali. I trattamenti nei casi di omicidio e violenza si concentrano sulla gestione dell’aggressività. Tra le metologie usate per il trattamento vi sono anche gli sport estremi.
Ludovica Jona
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