In un articolo del 14 giugno, il Washingston Post scrive che la Casa Bianca ha intenzione di espandere le basi dei servizi segreti in tutto il continente africano, al fine di combattere il terrorismo nella regione.
E’ da mesi che gli Stati Uniti hanno cominciato a militarizzare la loro presenza in Africa e i loro piani hanno incluso l’impiego di diversi aerei spia, dotati di meccanismi di sorveglianza ad alta tecnologia.
Ora, gli americani, sarebbero pronti ad estendere la propria influenza “dal Sahara fino all’equatore“, allargando un progetto che risale al 2007 e rientra nella decennale guerra che la Casa Bianca sta combattendo contro Al-Qaeda e che, a parte qualche successo, non sta certo vincendo.
E’ certo ormai che sia Al-Qaeda che altre organizzazioni terroristiche, hanno trovato in Africa un territorio e un ambiente ideale per radicarsi e progettare nuovi attacchi contro l’Occidente ed è per questo che gli USA intendono aprire nuove basi di intelligence in tutto il continente.
Ultimamente la penetrazione delle cellule terroristiche di matrice islamica è avvenuta soprattutto nell’Africa sub-sahariana, interessando un paese come la Nigeria, alle prese con la crescente influenza della setta terroristica islamica dei Boko Haram, responsabile di una terribile ondata di attentati contro i cristiani nel Nord del Paese.
Come se non bastasse anche la rivolta di estremisti islamici legati ad Al Qaeda e tuareg nel Nord del Mali ha preoccupato non poco la Casa Bianca, costretta a dirottare diverse unità dei servizi proprio nel Continente Nero.
Inoltre, altri 100 agenti sono attualmente dispiegati in Uganda per dare la caccia all’ormai famoso Joseph Kony, leader del gruppo terroristico dell’Esercito di Resistenza del Signore.
Anche il neopresidente Hollande, subito dopo le sue elezioni, si è detto molto preoccupato per le infiltrazioni terroristiche in Nigeria e Mali e, secondo il suo punto di vista, spetterebbe alla Cedeao (comunità economica degli Stati d’Africa occidentale), che è al tempo stesso strumento giuridico ed eventualmente militare, scongiurare tale minaccia.
Hollande ha anche dichiarato che la Francia è pronta ad appoggiare una risoluzione della Cedeao al consiglio di sicurezza dell’Onu, un modo implicito per ribadire il suo accordo a un sostegno logistico di Parigi.
Da parte sua, il presidente nigeriano Issouffou ha confermato, a metà giugno, le informazioni sulla presenza di terroristi ”jihadisti afghani, pakistani, in ogni caso stranieri” che sono venuti ad addestrare i terroristi nel nord del Mali.
Ed ha commentato che: ”La situazione è preoccupante. Si tratta di una minaccia non solo per la regione ma per il mondo che chiede una ”risposta internazionale”.
La situazione in Mali si aggrava in modo crescente, soprattutto nel settentrione del Paese, un peggioramento che, sotto alcuni punti di vista, poteva essere scontato a causa della presenza di milizie terroriste.
Il terrorismo, infatti, sta prendendo ogni forma di sovranità e rappresentano una seria preoccupazione per la stabilità della regione.
Fonti giornalistiche locali, ci dicono che è stato creato un Consiglio transitorio dello Stato dell’Azawad, un organo istituito dopo la mancata alleanza con gli islamisti di Ansar al Din.
Bilal Ag Cherif ne è il presidente, mentre Mohamed Ag Najim è incaricato di questioni militari oltre allo stesso dipartimento della Difesa.
Certamente questo nuovo organo non ha avuto nessun riconoscimento da parte dell’attuale governo centrale di Bamako e si tratta poco più di una formazione transitoria a carattere locale, infatti, nessuna istituzione internazionale lo ha preso in considerazione.
Il neonato Consiglio Transitorio non ha poteri formali legittimamente attribuiti, si tratta di qualcosa che potrebbe anche contrastare il centralismo di Bamako.
Ciò, ovviamente, non sarà una faccenda semplice, anche perché le strutture del potere maliano gode di numerosi rapporti internazionali e del sostegno delle Nazioni Unite.
Intanto i militari maliani non hanno ancora iniziato un’offensiva verso il Nord e non lo vogliono fare, almeno fino a quando l’ONU e l’Unione Africana non abbiano espresso il loro parere.
Va anche detto che, secondo molti osservatori, proprio in questa area calda, oggi alle prese con conflitti sociali, carestie ed angustie di ogni genere, nei prossimi anni vi sarà un ricco mercato economico. Anzi: il più ricco del mondo.
Considerato dalla Banca Mondiale l’unico continente a veder aumentare la crescita del PIl entro la fine del 2012, l’Africa sembra infatti incamminarsi verso un futuro di progresso e investimenti.
La parte sub sahariana, inoltre, con una classe media di 60 milioni di persone ed è la regione a poter vantare il record di 6 dei Paesi a sviluppo più rapido degli ultimi 10 anni.
Cifre in grado di competere con l’Asia che, nel frattempo, ha rallentato, in parte, la sua crescita vertiginosa.
Nessuna meraviglia, pertanto, se la capitale del Gabon, Libreville, ha ospitato, a febbraio e per tre giorni, leader mondiali e investitori internazionali all’interno del New York Forum Africa, organizzato da Richard Attias.
Tra qualche anno si tratterà di circa 2 miliardi di nuovi consumatori, ovvero del più grande mercato al mondo.
Un maggior numero di consumatori significa anche miglioramento delle entrate a disposizione cosa che attrarrà compagnie e investitori. In più l’Africa dispone di energia e materie prime, che fanno gola, da sempre, a tanti.
Il Paese che nel primo trimestre di quest’anno ha superato tutti gli altri in termini di crescita. è il Ghana (+ 23% su base annua).
Non si tratta solo dell’avvio della produzione di petrolio: in aumento sono tutti i settori di attività, dalla produzione agricola (cacao). a quella mineraria (oro), al settore dei servizi con particolare riguardo alla gestione di procedure informatiche e call center er multinazionali straniere.
Come rileva un recente studio di Mc Kinsey che aggrega i dati economici dei diverso Paesi del Continente, il motore dello sviluppo africano, non è rappresentato soltanto dallo sfruttamento delle risorse petrolifere e minerarie ma da fattori diversi.
Innanzitutto il fenomeno dell’urbanizzazione: oggi città come Kinshasa, Lagos, il Cairo hanno più di 10 milioni di abitanti.
Cambiano quindi i consumi: crescono l’edilizia, i servizi sanitari, le reti urbane, il commercio e il credito. Entro il 2020 McKinsey prevede che il valore aggregato dei consumi, in Africa, raggiunga i 1.380 miliardi di dollari.
E tutto questo sulla base di uno scenario ‘prudente’ che prevede un aumento anno medio pari al 4%.
Un ‘altro capitolo fondamentale è l’agricoltura. L’Africa oggi ospita il 60% delle terre coltivabili non sfruttate del Pianeta.
Per questo diversi Paesi africani sono oggi impegnati in programmi estremamente impegnativi di numerosi Paesi, di transizione dall’agricoltura di autossussistenza alla produzione di prodotti di largo consumo per i mercati urbani (e l’esportazione) che richiedono infatti un cambiamento radicale: nuove coltivazioni. strade rurali, impianti di lavorazione e trasformazione di prodotti. Sono altrettante opportunità di business per le nostre imprese. in un’ottica di sviluppo sostenibile.
Ciò che mancava in passato era il poter contare su governi più stabili e, naturalmente, USA, Francia e altri governi occidentali, operano perché le cose vadano in un’altra direzione.
L’auspicio, naturalmente, è che l’Africa ce la faccia da sola, costruendo un suo itinerario ed una sua classe dirigente.
Il continente può già contare su una jeunesse dorèe cresciuta ed educata nelle migliori università del mondo.
Ma allo stesso tempo l’Africa necessita di sviluppare un proprio sistema universitario, in modo da allargare le possibilità a una fascia più ampia di giovani e dare modo alla classe media di crescere davvero.
Contro la fame, il terrorismo e, soprattutto, le avide ingerenze.
Carlo Di Stanislao
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