All’indomani del “weekend nero” per i sub, che ha visto la morte di cinque persone, quattro a Palinuro ed uno a Capri, la Guardia Costiera ha rinnovato l’invito a tenere alti i livelli di sicurezza.
Pochi accorgimenti, dicono al Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, sono in grado di salvare la vita dei sub, che in Italia, tra dilettanti e professionisti, sono più di 500 mila.
Ne frattempo continuano le ricerche, da parte della Capitaneria di Porto, del sub che risulta disperso nelle acqua davanti alla scogliera del Romito, a sud di Livorno, che ieri, alle 15,10, ha ricevuto la richiesta di soccorso ed inviato sul posto una squadra di vigili del fuoco ed una di sommozzatori, oltre alla motobarca della sezione porto.
Lo scomparso, professore ordinario in geologia a Bologna, avrebbe 44 anni e l’allarme sarebbe stato dato dalla moglie per telefono, dato che già da qualche ora non riusciva più a mettersi in contatto con il marito.
Domenica sera erano stati ritrovati il pallone di segnalazione con il fucile subacqueo, ancora legato, che il sub avrebbe usato per la pesca in apnea e le sue scarpe da roccia.
Nelle raccomandazione promulgate oggi dalla Guardia Costiera, si legge, fra l’altro, che è auspicabile che i sub siano almeno due, affinché possano farsi reciproca assistenza e sia più probabile la segnalazione di un’improvvisa emergenza.
E’ inoltre, indispensabile – dicono ancora alla Guardia Costiera – che non siano superate, durante le immersioni, le profondità previste, perché potrebbero aversi effetti imprevisti sui gas respiratori.
Ritenuto utile, infine, il cosiddetto “filo di Arianna”: una corda collegata alla superficie, che viene mantenuta in tensione e stesa lungo tutto il tragitto, in modo che possa facilmente ricondurre i subacquei all’entrata in caso di disorientamento.
Proprio il disorientamento sarebbe stata la causa della morte più penosa: quella dei quattro sub, fra cui una donna, davanti a Capo Palinuro, annegati l’altro ieri nella Grotta del Sangue, con le indagine scattate subito a cura della capitaneria di Porto di Salerno, con la collaborazione dei carabinieri della compagnia di Sapri e dal magistrato Renato Martuscelli, della Procura di Vallo della Lucania, che ha già interrogato i quattro superstiti e sequestrato le attrezzature, perché dai computer che i sub avevano al polso, e che registrano molte informazioni dell’immersione, oggetto di una perizia tecnica nei prossimi giorni, potremmo sapere qualcosa di più su una tragedia che conserva ancora molti punti oscuri.
Probabilmente tutto è scaturito dal fatto che si è entrati non per la solita via, ma attraverso un doppio cunicolo più basso ed angusto, detto “Occhi di gatto”: due fessure strettissime ed allungate, che ricordano lo sguardo di un felino.
E quando l’agitarsi delle pinne ha alzato un vero e proprio sipario di fango, il panico ha iniziato a disorientare i sommozzatori meno esperti che hanno iniziato a respirare in modo incontrollato, con mancanza d’aria molto rapida anche con bombola piena.
E Marco, l’istruttore esperto dei luoghi che guidava il gruppo, , ha detto al sostituto procuratore di Vallo di essere uscito miracolosamente, seguendo la luce e portandosi dietro i sub che sono riusciti a seguirlo.
Per gli altri una fine atroce, nel buio, nello spavento e nell’asfissia.
L’istruttore ha spiegato di avere cambiato più volte le bombole per rientrare e portare in salvo i quattro, ma senza riuscirci. Anche Roberto Navarra, titolare del “Pesciolinosub”, il diving che ha organizzato la gita, si è buttato alla ricerca dei quattro; ma senza successo.
Certamente non sembra molto giusto, in questo momento, parlare di responsabilità, ma quello che è certo è che il gruppo non doveva trovarsi in quella grotta simile agli occhi di un gatto, ma in quella del Sangue. E dai perché sia stato fatto un percorso alternativo, si delineeranno le responsabilità e probabilmente anche l’iscrizione di qualche nome nel registro degli indagati.
I superstiti raccontano che non dovevano essere in quel cunicolo maledetto e non si spiegano come ci siano finiti.
Tutti dicono che Douglas Rizzo, la guida, è stato il primo ad agitarsi. Guidava il gruppo e si deve essere reso conto presto della pericolosità della situazione con quello tsunami di fango.
Anche perché Douglas era certamente un sub esperto, ma non uno speleologo e anche questo potrebbe avere contato in quella situazione di pericolo estremo.
Douglas è morto in quella maledetta grotta invasa dalla melma e dal fango, annegato a 41 anni in una mare che ben conosceva assieme al coetaneo Andrea Pedroni di Roma, a Panaiois Telios, di soli 21 anni e a Susy Cavaccini, che di anni ne aveva 36 anni.
Il sindaco di Centola-Palinuro ha annullato la visione della partita Italia-Spazia con megaschermo in piazza e proclamato, per il giorno dei funerali, il lutto cittadino.
Dopo la tragica fine dei quattro sub, l’onorevole Mario Cavallaro, appassionato di immersione, ha detto che occorre non strumentalizzare questa vicenda, ma anche rammentare che anche se non è possibile lottare contro la fatalità, occorre sempre farlo nei confronti di superficialità, distrazione e incuria, tenendo sempre a mente che la prudenza, le regole, l’esperienza devono sempre avere la supremazia, essere rispettate e, se fossero sufficienti, essere rese più severe, più chiare, più intransigenti, perché da esse può dipendere, una volta che siamo nel profondo blu del mare o nel buio di una grotta, la vita e la morte.
Né possiamo consolarci pensando alla retorica di morti avvenuto facendo qualcosa che si ama anche se si sa che è pericoloso, perché non si può e non si deve morire tutte le volte che può essere evitato, tutte le volte in cui non solo il caso, ma le nostre debolezze ed incertezze sono lì a ricordarci il rischio, la difficoltà, l’ostilità degli ambienti che pure si amano tanto.
Carlo Di Stanislao
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