Poche ore fa, in un attentato dinamitardo rivendicato dal “Libero esercito siriano” (la milizia dei ribelli anti-Assad), con un ordigno lasciato, probabilmente, da un infiltrato, nel quartier generale della sicurezza a Damasco, è morto il ministro della Difesa Dawoud Rajiha, mentre era in corso un vertice tra il governo e i capi dell’intelligence.
La tv di regime ha parlato di un attacco “terroristico” compiuto mentre nell’edificio era in corso una riunione fra alcuni ministri e i vertici delle agenzie di sicurezza e a la Guardia repubblicana ha circondato l’ospedale Shami, dove sono stati trasportati i numerosi feriti dell’attentato
L’esplosione, affermano i residenti, e’ avvenuto intorno alle 7.30 di mattina (le 5.30 in Italia) e secondo l’AGI, da Damasco si levano spesse colonne di fumo, mentre le Commissioni Locali di Coordinamento riferiscono di combattimenti in diverse aree.
Secondo gli attivisti, il quartiere settentrionale di Qaboon e’ stato bombardato nella notte e stretto d’assedio di nuovo nelle prime ore del mattino, cosi’ come la vicina zona di Barzeh.
Qui hanno preso posizione i carri armati e l’artiglieria contraerea del regime.
“Tra 40 e 50 soldati dell’esercito regolare siriano sono stati uccisi lunedì negli scontri a fuoco a Damasco, e almeno 20 sono morti ieri”, ha detto il direttore dell’Osservatorio siriano sui diritti umani, Rami Abdel Rahman. Secondo quanto riferito, Assad ha disposto il dispiegamento delle guardie presidenziali attorno alla capitale “ma queste non sono coinvolte nei combattimenti”. Rahman ha infine spiegato che alcuni elicotteri hanno bombardato i distretti di Barzeh e Qaboon.
Si apprende anche che numerosi sono i feriti causati dall’attentato di stamani, mentre vi sarebbero morti anche il cognato del presidente siriano, Assef Shawkat (vice ministro della Difesa) e il ministro dell’Interno, Mohamed Ibrahim Al Shaar.
L’edificio dove è avvenuto l’attentato si trova sulla Piazza Rauda, nel quartiere di Abu Roummaneh, zona vicina alle ambasciate italiana e americana ed è sottoposta normalmente a strette misure di sicurezza.
A Damasco è in corso, ormai da quattro giorni, la battaglia che pare decisiva tra forze governative e ribelli e che oggi pare si stia avvicinata al palazzo presidenziale.
Intanto, nel distretto di Dummar, una caserma dell’esercito – che si trova a poche centinaia di metri dal ‘palazzo del popolo – è finita sotto il fuoco dell’opposizione.
Si hanno anche notizie di continue diserzioni diserzioni tra le file delle forze armate siriane, con due generali di brigata che avrebbero attraversato, nella notte, il confine con la Turchia, portando così a 20 il numero di ufficiali che hanno abbandonato l’esercito del presidente, Bashar al-Assad.
Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, affermando che Mosca è contraria a una risoluzione in favore di un “movimento rivoluzionario”, ha dichiarato, senza ulteriori commenti, che in Siria “sono in corso combattimenti decisivi”.
Oggi è arrivato a Mosca il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, giuntovi su invito del presidente russo Vladimir Putin, ufficialmente “per una visita di lavoro” e “uno scambio di vedute sulle relazioni bilaterali e un confronto sulle principali questioni internazionali e regionali, compresa la situazione in Siria”; ma, si ritiene, per mediare sulle posizioni russe in favore di Assad.
Va ricordato che senza il consenso di Russia e di Cina, paesi che possono esercitare il diritto di veto al Consiglio di Sicurezza, la comunità internazionale non può de facto, intervenire, come invece è successo un anno fa in Libia.
La Russia è inoltre presente con un massiccio numero di mezzi aerei, uomini, postazioni missilistiche e navi a Tartus, fra le quali la “Admiral Chabanenko”, giunta in porto pochi giorni fa: la situazione è estremamente delicata, in quanto Mosca non intende perdere l’unica zona di influenza rimastale nell’area, dopo che quasi tutti i paesi mediorientali hanno accolto sui loro territori basi statunitensi.
A destare viva preoccupazione in questo momento sono due fattori: il rischio che il conflitto possa allargarsi al Libano (qualche giorno fa un’unità operativa è entrata nell’est del Paese dei cedri per colpire alcuni rivoltosi siriani) e soprattutto il fatto che, come ha spiegato l’ex capo della rappresentanza diplomatica in Iraq, Nawaf Fareh, al-Assad si possa servire di armi chimiche: nell’edizione del 13 luglio scorso, il Wall Street Journal aveva comunicato che il governo siriano aveva cominciato a spostare il suo vasto arsenale di armi chimiche, uno dei principali al mondo, anche se non è dato a sapere se per proteggerlo da eventuali attacchi o se per impiegarlo nella repressione.
E viene in mente la “kill list” di Obama, una lista segreta ed orrenda, che ogni presidente degli Stati Uniti compila settimanalmente e ci si chiede se Assad sia fra i cento nomi e, anche, se sia giusto non che vi sia, ma che la lista esista.
Sappiamo tutti che e non lo ha mai negato la Casa Bianca, che ogni settimana, più di 100 membri del sempre più elefantiaco apparato di sicurezza nazionale si riuniscono in videoconferenza segreta, per esaminare le biografie dei sospetti terroristi e raccomandare al presidente quale dovrà essere il prossimo a morire.
I burocrati raccomandano, ma l’ultima parola spetta a Obama che firma di sua mano la condanna a morte di questi “sospetti terroristi”, che essi siano cittadini americani o stranieri.
L’idea che Assad sia su quella lista potrebbe farci felici se, il ricordo della fine di Bin Laden, non ci ricordasse che essa, la lista, è l’emblema s della “crudeltà umanitaria”, della “ferocia buonista” in cui siamo scivolando e da cui vogliamo invece arretrare.
Scriveva Massimo Donadi sul “Fatto quotidiano” circa un mese fa: “Cui prodest l’acquisto di 131 caccia bombardieri quando, secondo uno studio di Ania-consumatori in collaborazione con l’Università di Milano, le condizioni di vita dei bambini e dei minori sono notevolmente peggiorate e pagano il prezzo più alto della crisi?”
Il Lockheed Martin F-35 Lightning II è uno degli aerei più ambiti e discussi del futuro prossimo venturo. Invisibile ai radar, sofisticatissimo, pieno di problemi e dai costi in costante ascesa.
Ed ora il ministro della difesa, generale di Paola, si arrabbia per i continui attacchi ad una operazione dal valore di 15 miliardi e dice che da 131 di aerei se ne compreranno solo 90, ma me, ancora, paiono ingiustificati e troppi.
Carlo Di Stanislao
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