Dagli enti locali alle associazioni di categoria, dagli statali ai farmacisti il grido è uno solo: adesso basta sacrifici.
Cresce e si diffonde il malumore degli italiani nei confronti del governo dei tecnici, mentre i tagli della spending review impediranno alle Regioni di firmare il Patto per la salute e i Comuni temono di non avere risorse per pagare gli stipendi dei dipendenti ad agosto.
In più, a rischio, scrivono Libero, il Foglio e Il Giornale, vi sarebbero le tredicesime degli statali, anche se Palazzo Chigi lo nega recisamente.
Le province ribadiscono che, nonostante le rassicurazioni del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, l’anno scolastico è a rischio ed oggi scioperano i farmacisti, anche se i relatori alla Commissione Bilancio del Senato hanno già depositato un emendamento che elimina l’aumento dello sconto dovuto dalle farmacie a favore del servizio sanitario e l’aumento della quota delle aziende per le regioni.
Ma, dice Annarosa Racca, presidente di Federfarma: “i tagli previsti dal decreto sulla spending review, rappresentano una misura iniqua e insostenibile per le farmacie italiane”. Il punto, ha ribadito Racca, è che “questa manovra è insostenibile e rischia concretamente di portare alla chiusura di moltissimi esercizi. Speriamo – ha concluso – che i cittadini siano con noi”.
Pertanto, nonostante l’ormai annunciato (ed ennesimo) dietrofront sugli aggravi nei confronti di farmacie, i farmacisti, in via cautelare, fanno la voce grossa e scioperano.
Nel frattempo Cgil e Uil confermano la protesta contro la spending review per un’intera giornata nell’ultima settimana di settembre, con un annuncio diramato dopo l’incontro al Dipartimento della Pubblica Amministrazione, al quale non si è presentato il ministro Patroni Griffi.
Contemporaneamente il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani, ha detto che “nel combinato disposto tra spending review e manovra 2013-2014 c’è un taglio così pesante alla sanità da non rendere sostenibile e possibile il patto per la salute”.
In queste stesse ore sulla stampa ed in tv, si fa un gran parlare del rapporto Ania (l’Associazione nazionale imprese assicuratrici) 2012, secondo il quale aumentano i medici che decidono di assicurarsi contro il rischio di essere denunciati per possibili errori commessi in sala operatoria e in corsia, con una spesa annua ormai giunta a 500 milioni.
I numeri snocciolati da Roberto Manzato, direttore “vita e danni non auto” di Ania, mettono meglio a fuoco la tendenza: “Un chirurgo estetico può spendere fino a 15 mila euro l’anno, mentre i medici generici arrivano a sborsare fra i 300 e i 400 euro. I professionisti dipendenti possono pagare tra i 1000 e i 1500 euro all’anno. I prezzi più alti si hanno per le specialità più rischiose, che vanno dalla stessa chirurgia estetica alla ginecologia, fino all’ortopedia, e per i liberi professionisti”.
Alla base di tutto questo, c’è molta litigiosità da parte dei pazienti, ma il cambiamento della giurisprudenza. Se una volta c’erano delle complicazioni, il medico non era civilmente responsabile dell’errore commesso, ma ora mai i giudici hanno deciso di intervenire anche su questo ambito. E non solo. Secondo Manzato, va considerato anche un altro aspetto: “Se il dottore dipendente sbaglia, risponde in prima battuta il luogo di cura. Ma la struttura ha il diritto di rivalsa sullo specialista che ha causato un danno nel paziente solo in caso di colpa grave o dolo. Ecco perché, come succede anche negli altri ambiti, i dottori decidono di rivolgersi alle assicurazioni. Chiunque può causare dei danni ai propri clienti e, in questo caso, ai pazienti. Funziona così: se il medico è civilmente responsabile, la compagnia lo aiuta”.
Naturalmente, sui giornali e nei media, nessuno che dica che, nell’80% dei casi, i medici vengono assolti per non aver commesso il fatto e non possono rivalersi sulle ingiuste accuse, anche se sono stati infamati e messi alla berlina sui giornali.
Sono in molti (ed io fra questi), ad intravedere nella denuncia facile un atteggiamento persecutorio nei confronti di una vessata categoria che, come ogni persecuzione, alla fine va a svantaggio della intera collettività.
Comunque, dal prossimo 13 agosto, i medici saranno costretti, per legge, a possedere una polizza assicurativa personale, in attuazione di quanto previsto dal decreto legge 130 del 2011.
Come detto, per le compagnie assicurative i dottori non sono certo i candidati migliori, anzi sono tutt’altro che clienti vantaggiosi. Vi è troppo spesso il rischio di incorrere in denunce e il tasso di risarcimento danni, da parte del malato, è di 1,56 ogni mille ricoveri. Di media ad un ospedale, ogni singola denuncia costa 4.569 euro.
Negli ultimi mesi molti ospedali si sono infatti trovati costretti ad auto-assicurarsi, perché le cifre richieste dalle assicurazioni sono troppo elevate. Le strutture preferiscono dunque non pagare il premio assicurativo e rispondere direttamente della liquidazione del danno, direttamente quando arriva la sentenza. Molto spesso il risarcimento dovuto, è inferiore al premio preteso dalla compagnia assicurativa. Molte strutture ospedaliere proprio per questo non sono riuscite a rinnovare il contratto con l’assicurazione e questo vale per almeno tre strutture su cinque.
In Lombardia, tra i quasi 15 mila medici – un numero che la fa essere la regione con più personale sanitario – la preoccupazione è alta perché chi cerca di stipulare una polizza deve affrontare una vera e propria impresa. Per questo il Pirellone si è mosso ed ha intenzione di attivare, entro il 2012, un progetto assicurativo a livello regionale. Il sei giugno è stato aperto un bando di gara per trovare una compagnia in grado di assicurare la copertura dei risarcimenti superiori ai 300 mila euro. Ma, dopo quasi due mesi, non vi è alcuna offerta.
La materia della responsabilità professionale medica, costituisce un ambito estremamente delicato e complesso.
L’aumento delle azioni giudiziarie dei pazienti nei confronti dei medici, così come l’aumento delle fattispecie di responsabilità medica di matrice giurisprudenziale, hanno determinato la crescita del rischio professionale e quindi la necessità del ricorso alla copertura assicurativa da parte del medico, l’aumento dei risarcimenti liquidati e la crescita dei premi delle Compagnie di Assicurazione, che progressivamente stanno rinunciando ad operare sul settore sanitario.
Pertanto, molti ospedali italiani sono, ad oggi, in regime di autotutela, praticamente senza assicurazione, costretti a pagare i risarcimenti ai pazienti che vincolo le cause, con i fondi dell’ospedale.
I medici hanno il timore di fare interventi, e non sono rari i casi nei quali persino si rifiutano di operare.
Con il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 le controversie in materia di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, sono state introdotte tra le materie per le quali il procedimento di mediazione civile e commerciale è obbligatorio: prima di poter avviare un vero e proprio giudizio davanti al tribunale, occorre passare per il processo di mediazione.
Ma questo porto, sovente, ad un atteggiamento di erogazione di somme che chiudano rapidamente i contenziosi, senza entrare nel merito specifico della responsabilità medica.
In linea teorica, dal marzo 2011, recependo una direttiva europea del 2008 (la numero 52), viene istituita la figura del mediatore come soggetto imparziale, che non propende inper nessuna delle due parti in lite, agisce per tutta la durata della procedura con lealtà, astenendosi dal compiere atti discriminatori e dall’esercitare influenza nei confronti di una di esse; è neutrale, perché gli è indifferente il raggiungimento di un determinato accordo piuttosto che di un altro; è indipendente, perché non ha alcun tipo di legame oggettivo, né personale né lavorativo, con nessuna delle parti; il suo ruolo non è quello di un giudice, perché non decide la questione, ma spetta alle stesse parti trovare una soluzione che il mediatore aiuta a raggiungere, ripristinando il canale comunicativo interrotto, aiutando a decifrare meglio ragioni e punti di vista, e consentendo una nuova e diversa possibilità di gestione della controversia.
Di fatto, poi, anche in questo caso, si decide per transazioni economiche, senza neanche entrare nel merito della bontà o irregolarità delle procedure mediche.
Ma, credo, che alla fine, in questo strano Paese, a risolvere la questione saranno le continue sottrazioni e, con la spending review, non vi saranno più medici: i giovani perché non assunti ed i vecchi perché, terrorizzati, si limiteranno semplicemente a guadagnare tempo.
Carlo Di Stanislao
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