La magistratura mette i sigilli agli impianti più inquinanti dell’Ilva. A Taranto, secondo i periti della magistratura, muoiono 2 persone ogni mese per inquinamento industriale. Otto persone, tra dirigenti ed ex dirigenti del Gruppo Riva e dello stabilimento tarantino, agli arresti domiciliari. Sono le misure pesantissime disposte dal gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco nell’ambito dell’inchiesta sull’inquinamento ambientale prodotto dall’azienda siderurgica piu’ grande d’Europa.Tutto ciò ha scatenato la protesta dei lavoratori in diversi stabilimenti. Sono circa cinquemila i lavoratori degli impianti sequestrati, su un totale di 11.500 circa dipendenti diretti dello stabilimento, ai quali vanno aggiunti circa 4.000 lavoratori dell’indotto.
Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, in un’intervista a Il Manifesto, ha detto: “Non ha senso chiudere l’Ilva, perchè negli ultimi tre anni l’azienda ha cominciato ad adeguarsi alle normative nazionali e regionali, e alle direttive europee seguendo le procedure per l’Autorizzazione integrata ambientale, avviando un processo di risanamento del ciclo produttivo anche se ci sono ancora parti critiche che però sono oggetto di ulteriori prescrizioni già impartite”.
“Capisco le ragioni dei cittadini – ha aggiunto- esposti ai rischi dell’inquinamento. Oggi però l’Ilva ha adeguato la maggior parte della produzione ai limiti di legge, cosa che ovviamente va assolutamente verificata nel tempo. L’unica strada per uscire da questa situazione è pressare l’azienda per continuare l’opera di risanamento”, ha spiegato Clini.
“La prima cosa da fare subito – prosegue il Ministro – è garantire che il sito industriale non sia più sorgente di inquinamento. Anche se non si riuscirà a bonificare il suolo, utilizzato per decenni, che ormai difficilmente potrebbe diventare un campo di grano, si può però mettere in sicurezza il sito per evitare la contaminazione delle falde acquifere e la dipsersione di inquinanti. Bisogna continuare con l’abbattimento delle emissioni, in partioclare quelle solforose, e occorrono interventi tecnoologici sugli impianti più inquinanti. E’ un investimento economico per l’Ilva ma ciò le permetterebbero di acquistare competitività e ridurre il contenzioso ambientale”.
Un’intera città non ne può più però dell’inquinamento che condiziona pesantemente la vita ed il futuro di Taranto dove siamo in presenza di una situazione di emergenza ambientale ed economica di una gravità inaudita rispetto alla quale da anni istituzioni e governo sono rimaste in silenzio.
Nella vicenda dell’ILVA non si ricada però nell’errore di separare la questione ambientale dalla questione occupazionale, pensando che le soluzioni possano essere disgiunte, ricorda il WWF Italia e si stringa un patto di ferro che da una parte diminuisca l’inquinamento e parallelamente porti avanti la riconversione industriale. La “condanna” dell’ILVA si chiama morte perché a questo sono destinati quelli che sono continuamente esposti a carichi inquinanti verso i quali ci sono stati interventi tardivi e non ancora sufficientemente efficaci. La magistratura, venti anni dopo l’inizio del caso, ha attuato un atto dovuto dopo lunghissime indagini e perizie. Certamente tutto ciò doveva arrivare ben prima, visto che l’area industriale dell’ILVA è stata dichiarata prima sito a alto rischio ambientale e poi sito di bonifica di interesse nazionale senza che, prima di tutto la proprietà, avviasse un processo di risanamento e riconversione industriale. Il ricatto occupazionale per troppi anni ha avuto la meglio sull’impatto ambientale che è ricaduto sulla città. Come richiesto dal WWF in precedenza, meglio sarebbe stato se l’autorizzazione unica ambientale rilasciata congiuntamente da molti enti, tra cui il Ministero dell’Ambiente e la Regione Puglia, fosse stata data chiedendo in via preventiva interventi di riduzione degli impatti. Oggi la strada si fa più difficile e inevitabilmente occorre oggi garantire l’aspetto sociale e quindi l’occupazione purchè si abbia l’assoluta certezza che sin da subito si pongano in essere procedure e misure per diminuire emissioni e carichi inquinanti, purchè si riprenda con forza il tema della riconversione dello stabilimento che in assenza di alternative ha purtroppo il destino segnato nell’ambito di un mercato globale. Su queste vicende sempre alta è stata l’attenzione del WWF, che aveva depositato un ricorso avverso l’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata dal Ministero dell’Ambiente a favore dello stabilimento tarantino, ritenendolo carente degli strumenti burocratici, tecnici e tecnologici idonei a garantire l’ambiente e quindi la salute dei cittadini. Nel pieno rispetto dei principi di precauzione, integrazione ambientale e dell’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, anche il WWF ha sempre richiesto un concreto abbattimento delle emissioni prodotte dalle cokerie tarantine, un campionamento continuo e “a monte” della produzione di diossina, nonché ulteriori, più incisive, prescrizioni a tutela della salubrità ambientale della città di Taranto e della regione tutta.
Nichi Vendola, in un’editoriale che appare oggi sul quotidiano L’Unita’scrive: “In questi giorni la solitudine operaia ha fatto il nido a Taranto. La Taranto della siderurgia, capitale di un Sud dapprima deposito di manodopera per l’economia di tutti i Nord, poi laboratorio e anche un po’ cavia di una modernita’ etero-diretta dalle centrali dell’industria pesante. Una citta’ bellissima e ferita, che ha cumulato nel suo ventre e nei suoi polmoni oltre un secolo di inquinamento di Stato: a cominciare dai veleni sversati nel Mar Piccolo e nel Mar Grande dall’Arsenale Militare, per finire alle aziende pubbliche come l’Italsider, oggi azienda privata del gruppo Riva nota nell’universo mondo come Ilva. Ed è inquietante vedere, nel cuore del dramma sociale che si profila – prosegue il leader di Sel – lo scontro mortale tra due beni, entrambi necessari, indispensabili: l’industria contro l’ambiente, la salute contro il lavoro. Come se questa partita potesse giocarsi solo estremizzando il gioco: o vince l’industrialismo cieco di chi non si accorge del dolore e della morte causati dall’inquinamento industriale, o vince quel fondamentalismo ideologico che nel nome dell’ambiente nutre disprezzo – un disprezzo schiettamente reazionario – per l’industria ed evoca riconversioni retoriche e esodi traumatici dallo sviluppo industriale. Anche la vita operaia e’ un eco-sistema da proteggere. E io penso che la vera moderna questione del lavoro riparta da un’agenda piu’ complessiva di diritti: il diritto ad un contesto urbano e lavorativo pulito, salubre, sostenibile, non puo’ che integrarsi col diritto al reddito e al Welfare. Ma c’e’ un punto che non puo’ essere censurato dalla processione di luoghi comuni e di pregiudizi che assediano il grande mostro tarantino: nel capoluogo ionico sono accaduti in questi anni molti fatti nuovi e l’Ilva non e’ certo all’anno zero dal punto di vista dei processi di ambientalizzazione degli impianti. La Regione Puglia ha imposto normative – sulle diossine e i furani, poi sulbenzoapirene, poi sul PM10 e sulle polveri sottili – che sono considerate all’avanguardia nel contesto europeo. Nonostante il gruppo Riva abbia sempre cercato di rinviare quell’appuntamento necessario e indilazionabile con le domande di salute e ambiente di una comunita’ che oggi rischia di tenersi tutto il cancro partorito dai cumuli di veleni piu’ tutta la poverta’ sbocciata da un nuovo sterminato deserto industriale. E dunque – conclude Vendola – bisogna capire se, tutti insieme ciascuno nel proprio ruolo, e cioe’ tutti gli organi dello Stato, tutta la politica, tutta la cultura del nostro Paese, vorranno giocare la partita della vita o quella della morte. Nello squilibrio violento, nella frattura della relazione tra ambiente e lavoro, difficile dire che vinca qualcuno. Perdiamo tutti” . ( L.S.)
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