Bene il provvedimento nella spending review che obbliga a indicare il principio attivo in ricetta anziché il farmaco di marca; il risparmio per il pubblico e per i singoli consumatori ci sarà: nel 2011 i cittadini hanno speso 1.32 milioni di euro tra ticket e quota a carico del paziente per aver scelto la specialità di marca invece che il generico, quasi sempre senza un motivo clinico. Un aumento del 13.3% rispetto al 2010.
È un’abitudine che ha stentato ad affermarsi, quella di acquistare il generico o equivalente, sin dall’apertura del mercato italiano ai farmaci generici più di dieci anni fa. Il freno posto alla divulgazione dell’esistenza di alternative altrettanto efficaci alla scelta di marca ha inesorabilmente fatto sentire i proprio effetti, con una crescita costante della spesa farmaceutica territoriale privata (pagata direttamente dai cittadini) anno dopo anno.
Per Altroconsumo sono tre le ragioni principali per appoggiare il provvedimento:
meglio spingere il medico a usare il nome del principio attivo e non il nome di fantasia dei farmaci: questo aiuta il paziente a capire che cosa si sta assumendo, diminuisce il rischio di prendere lo stesso principio attivo attraverso farmaci diversi, rende il cittadino più consapevole;
bisogna incoraggiare l’uso di farmaci equivalenti (o generici) al posto dei farmaci di marca: l’equivalente acquistato in farmacia ha tutte le caratteristiche di sicurezza ed efficacia che hanno i farmaci di marca ed è prodotto e garantito esattamente allo stesso modo;
è così che si incide sulla spesa senza peggiorare la qualità della cura: utilizzare maggiormente i farmaci equivalenti è certamente uno di questi.
Pollice verso alla Federazione dei medici di famiglia (Fimmg), che sostiene l’inutilità del provvedimento, adducendo il motivo che già ora il Servizio sanitario rimborsa soltanto il prezzo del generico, lasciando il resto ai cittadini. Per la Fimmg risparmiare o scaricare i costi sui cittadini è probabilmente la stessa cosa.
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