Perchè Renato Minore accetti di scrivere una prefazione, occorre che l’opera sia davvero di pregio, qualcosa di unico, sia come tema che per sviluppo.
E, in effetti, tale è il nuovo saggio di Gianfranco Giustizieri: “All’Abruzzo… con affetto, itinerari di memoria e di speranza nell’opera di Pasquale Scarpitti“, edito da Carabba, che si fregia, anche, della testimonianza di Cosino Savastano.
Patrocinato dall’ Ordine dei giornalisti d’Abruzzo, dai Comuni e dalle Province di Pescara e dell’Aquila, oltre che dal Comune di Castel di Sangro, il libro è più di un commosso omaggio e suona come una solida testimonianza di un lungo rapporto affettivo fra un grande intellettuale e la sua Terra, attraverso un’accorata presa di coscienza sulle condizioni di persone ed ambienti, di un approfondimento culturale da offrire alle forze politiche, economiche e sociali, per una nuova idea di Regione.
Morto a soli 49 anni, Scarpitti, uomo di cultura e grande cronista, ha saputo, nei brevi intensissimi anni della sua vita, dentro e fuori dalla Rai, informarsi e informare, senza pressappochismo, affrontando con tempre indomita, difficili battaglie civili, piene di insidie, sostenuto dalla sua buona fede e dalla forza di volontà, oltre che dalla cultura, naturalmente. Racconti di storie vere e di problemi irrisolti anche attraverso l’inequivocabile testimonianza dell’ “occhio meccanico della macchina fotografica”, come diceva Carlo Levi, scrivendo e fotografando, con clic storici, eventi di straordinario interesse.
Presentato a Pescara sabato scorso, il saggio di Giustizieri fa si che tale patrimonio non sia né dimenticano né disperso e serva da monito alle attuali e future generazioni di giornalisti, troppo spesso a lavoro dietro le loro scrivanie e poco inclini a verificare direttamente le notizie ed i fatti.
Nato a Castel di Sangro (centro al quale era affezionatissimo), Scarpitti fu giornalista (caporedattore della Rai abruzzese fino alla prematura morte), ma anche poeta e scrittore e, soprattutto, ricercatore sociale e culturale, ben dentro alle contraddizioni e ai problemi della Sua Regione.
Maestro di molti, con uno stuolo infinito di allievi, dopo molti anni dalla scomparsa, nessuno lo aveva saputo o voluto ricordare, perché, in Abruzzo come nel resto del Paese, si è sempre preferito dimenticare, tacere, seppellire, insabbiare tutto ciò che dal passato può insegnare qualcosa.
L’incultura di questi anni è soprattutto questo: colpevole smemoratezza, regola che fa comodo ai mediocri che ormai dominano incontrastati la scena.
E poiché di mediocre non ha nulla ed anzi brilla di luce propria, ora Gianfranco Giustizieri lo ricorda con impeto appassionato e lo fa a tutto tondo, dimostrandosi, una volta di più, autentico custode della memoria locale ed autentico uomo di cultura.
E, a leggerlo il libro, si comprende perché Renato Minore abbia voluto introdurlo.
Non solo la stima e l’affetto per il suo Autore, ma un certo modo di vedere la cultura e la poesia, espresso, ad esempio, nel recente (2011) “La promessa della notte”: una antologia con ventuno poeti – i maggiori del secolo scorso –raccontati attraverso le loro stesse parole, frutto di giornate di incontri straordinari, con la strategia interrogativa della “bonne distance”, che evita sia il “vicino” di una fuorviante aneddotica sia il “lontano” di molte ricognizioni critiche e bibliografiche.
E anche qui, nella tela tessuta con garbo e competenza da Giustizieri, Scarpitti, un po’ come un ragno, avviluppato nella tela che egli stesso ha prodotto, è interrogato su critica e poesia, poesia e biografia, poesia e conoscenza, cronaca e storia. Affiorano schegge di vita, ragioni, timori, traumi, sentimenti e risentimenti ed emergono gli elementi centrali della poetica di un grande Autore che si immerge, pienamente, in quella che, con Zanzatto, potremmo definire “la notte della conoscenza” e con Luzi “tempo rovesciato”.
Ma, soprattutto, quello che, nel lavoro di ricostruzione di Giustizieri, ha affascinato Minore ed affascina noi: il puntuale, maieutico, rigoroso, per nulla rituale, schema della conversazione critica, che può così rinnovare l’effetto di consapevolezza e di conoscenza in ogni lettore amante di quella forma della mente rivelata dal linguaggio.
E si scopre che per Scarpitti, al centro è la parola, quella parola che, come dice Caproni, “va proprio giù, come un minatore, e può trovare una zona dell’io che è di tutti”.
Carlo Di Stanislao
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