Giornata nera per l’Italia e, una volta tanto, non per la borsa, che continua a viaggiare con segno positivo e con spread stabile sui 460.
In primo luogo l’esclusione per doping di una dei simboli della nazionale olimpica, quell’Alex Schwazer unica medaglia d’oro a Pechino, trovato positivo all’eritropoietina, nel corso di un test a sorpresa effettuato lo scorso 30 luglio a Oberstdorf, dove abita e si allena la sua compagna, la pattinatrice Carolina Kostner.
Sicché si oscura la giornata, nonostante le tre medaglie fra cui un oro (ancora nel tiro col fucile) e anche se il ventisettenne altoatesino ci risparmia il teatrino dello sdegno e si dichiara subito colpevole, prima ancora di essere interrogato dalla procura antidoping (rischia due anni di stop) e prima del procedimento disciplinare dall’Arma dei carabinieri, per i quali è tesserato; lo smacco per i nostri colori è davvero grande.
Era considerato il prototipo del bravo ragazzo e dell’atleta irresprensibile Alex, ma, anche nel suo caso, la scorciatoia della chimica l’ha portato in un vicolo cieco.
E così l’unica nostra vera speranza di medaglia nella disciplina regina dei Giochi è stata spazzata via alle cinque del pomeriggio da una nota del Coni, con la quale viene spazzata via anche la nostra irreprensibilità.
La comunicazione era arrivata due ore prima, un doccia gelata su tutto il movimento. Quindi la decisione di Petrucci: “Esclusione immediata dalla squadra olimpica”.
A Schwazer è stato stracciato l’accredito e annullato il biglietto per Londra, dove era atteso giovedì.
E, a questo punto, anche la decisione di saltare la 20 km per un’influenza, viene riletta tra mille dubbi e un grande sospetto.
E sospetti di “antidemocraticità” sono stati sollevati da politici e stampa tedesca dopo l’intervista rilasciata domenica al Der Spiegel dal premier italiano Mario Monti, nella quale il nostro primo ministro aveva cercato di dire che bisogna credere più nell’Europa che nelle singole nazioni e rivendicato il diritto dei governi a mantenere “un proprio spazio di manovra”, indipendente rispetto alle decisioni dei Parlamenti, altrimenti “una disintegrazione dell’Europa sarebbe più probabile di un’integrazione”.
Dura invece la replica del ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle: “Il controllo parlamentare della politica europea è fuori da ogni discussione», perché c’è «bisogno di un rafforzamento, non di un indebolimento della legittimazione democratica in Europa”. E a seguire quella di altri leader politici dei più diversi schieramenti, piccati come sempre lo sono i tedeschi quando vengono criticati e lo si fa in modo puntuale e preciso.
Mario Monti, dopo le misure impopolari che fanno vacillare continuamente l’appoggio dei partiti, ora, dopo l’attacco tedesco, ha quanto mai bisogno di sostegno.
E questo pare venire dal Wall Street Journal, autorevole quotidiano finanziario americano, che oggi scrive: “”Monti ha una grande credibilità, in Germania e a livello internazionale e questo fa la differenza”, aggiungendo il segretario al Tesoro Usa, Timothy Geithner “la forza” del professore “non è solo la sua capacità di riportare fiducia nella politica economica italiana, ma quella di aiutare a portare l’Europa verso istituzioni più forti e una pi- efficace strategia di crescita”.
Quindi per il Wall Street Journal, Monti ha una indiscussa credibilità, legata al suo passato e alle azioni finora compiute, sia in politica economica interna (non senza momenti di tensione come nel caso della riforma del lavoro) sia nella gestione della crisi dell’eurozona a livello internazionale.
Come dimostrato – ricorda il giornale – nella posizione tenuta all’ultimo Consiglio europeo di fine giugno nel quale ha ‘spuntato’ un primo via libera allo scudo anti-spread. Un vertice, quello di un mese e mezzo fa, in cui “ha dato, a sorpresa, un ultimatum alla cancelliera Angela Merkel” mettendo in luce “un conflitto, anche filosofico, che è al centro dell’eurozona”.
Ed anche le parole del Ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle, che ha invitato tutti ad una maggiore moderazione, sembrano non tanto rivolte a Monti, quanto alla Csu bavarese, partito di governo, il cui leader Markus Soeder ha detto ieri al Bild am Sonntag, che Berlino dovrebbe tagliare i cordoni della borsa alla Grecia entro la fine del 2012, prima che sia troppo tardi.
Nella sua intervista Monti ha voluto dire che l’Italia, che ha dato più di quanto ricevuto in Europa, ha bisogno più di sostegno morale che finanziario e ancora, che uno dei problemi più gravi ed inquietanti per l’Europa, e’ la contrapposizione tra i Paesi del Nord e quelli del Sud. “Esiste una contrapposizione frontale con reciproci rimproveri” ha detto allo Spiegel, e questa: “e’ una cosa molto inquietante che dobbiamo combattere”. “Sono convinto che la maggioranza dei tedeschi abbiano una simpatia istintiva per l’Italia”, continua, “mentre gli italiani ammirano i tedeschi per le loro qualità. Ho però l’impressione che la maggior parte dei tedeschi ritenga che l’Italia abbia già ricevuto aiuti finanziari dalla Germania o dall’Ue, ma non e’ vero. Non abbiamo ricevuto nemmeno un euro”.
Ma ciò che ci indica una brutta piega è il fatto, sottolineato su La Stampa da Tonia Mastrobuoni, che, e non da ieri, la discussione politica in Germania è ormai totalmente monopolizzata dai due “Super Mario” italiani.
Ma mentre dal governo tedesco è arrivato un appoggio esplicito e pieno alle ultime decisioni della Bce, Mario Monti ha dovuto far fronte ad una vera e propria levata di scudi bipartisan contro una frase della sua intervista allo Spiegel .
Il fatto è che sia il Csu che la Fdp, il partito dei liberali che dal 2009 ha perso due terzi del suo elettorato, hanno scelto l’euroscetticismo come cifra della campagna elettorale per le politiche del 2013 e lo fanno sentire ad ogni piè sospinto.
Una scelta che non rappresenta certo la Germania intera, né tantomeno il governo di Angela Merkel, ma che tuttavia, desta preoccupazione per l’Italia, certo, ma soprattutto per l’Europa.
Preoccupazione, poi, destano le parole del presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, che ha detto, alla vigilia della sentenza del Tribunale del Riesame, attesa per domani, che “se Taranto chiude” vi saranno “ripercussioni negative” anche per gli altri due stabilimenti di Genova e Novi Ligure.
Come dire, commenta La Repubblica, impensabile che se il primo affonda, gli altri due possano salvarsi. Non sono nemmeno immaginabili le conseguenze che una simile decisione avrebbe per l’economia non solo delle due regioni, Liguria e Piemonte, ma dell’intero Paese.
Perché non è in gioco il destino di 15mila lavoratori, ma quello del grande indotto che l’acciaio genera e di tutte le attività a esso collegate.
Spiace solo che, per rendersene conto, ci si debba trovare di fronte alla decisione di un giudice il cui compito è quello di far rispettare le leggi. Fermare Taranto, infatti, significa fermare la produzione di acciaio e mettere in ginocchio settori-chiave come quelli dell’auto,della cantieristica, dell’hi tech (perché nella fabbrica la componente di alta tecnologia è sempre forte).
Come scrive Massimo Minella, i guasti di Taranto, gravissimi, devastanti, hanno origini antiche, rimandano alla vecchia gestione pubblica e non sono imputabili solo al privato.
Ma è il padrone di oggi che deve rispondere alle contestazioni. E farlo sgombrando il campo da mali vecchi e nuovi resta l’unica soluzione.
C’è un ultimo aspetto da segnalare, l’importanza di Cornigliano nelle strategie industriali del Paese.
Non è un caso se, in questi ultimi giorni, personaggi come l’ex sindaco Marta Vincenzi, il presidente della Regione Claudio Burlando, il presidente dell’authority Luigi Merlo, abbiano ribadito, con differenti sfumature, la centralità della fabbrica. Invitando ad andare oltre, consolidando l’attività produttiva e affiancando alla stessa la creazione di un polo logistico per l’acciaio in grado di servire tutta l’Europa.
E preoccupato e il Ministro Passera, che si occupa da vicino di Ilva e Fiat. “Occorre evitare la chiusura, se si chiudono quegli impianti non si riaprono più”, ha detto il ministro dello Sviluppo, sull’Ilva di Taranto ed aggiunto che i fondi per la bonifica e i tempi per raggiungere standard diversi “sono dati che tutti insieme portano a evitare la chiusura, perché l’alternativa pane-veleno “è inaccettabile”.
E per quanto riguarda la Fiat, ha detto che “ci aspettiamo di avere maggiore chiarezza sul ruolo dell’Italia”. Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, intervistato da Uno Mattina e aggiunto, ad Uno Mattina, che con Marchionne il collegamento è continuo e l’attenzione è fortissima, per concludere: “nei prossimi mesi Fiat è chiamata a fare chiarezza e ci aspettiamo che questo venga fatto in tempi brevi”.
Ed i guai in un giorno davvero nero sembrano non finire mai, con ettari di bosco devastati da incendi (dolosi nel 50% dei casi) e danni già stimati (in difetto) per mezzo miliardo di euro
Quarantasei le richieste giunte al Centro Operativo Aereo Unificato (COAU) del Dipartimento della Protezione Civile, 26 dalla sola Sicilia, in cui è stato devastato l’unico parco naturale, quello dello Zingaro.
A seguire 5 domande di concorso aereo sono giunte da Lazio e Campania, 4 dalla Basilicata, 2 da Calabria e Puglia, infine una da Sardegna e Abruzzo, dove brucia ancora, sopra l’Aquila, la collina di Roio, con un fronte molto esteso e, dai primi rilievi, una origine quasi certamente dolosa.
A Roio, proprio in mezzo alla pineta, sorge la Facoltà universitaria di ingegneria, ancora in fase di ristrutturazione dopo il terremoto dell’aprile del 2009.
Da stamani, già dalle prime luci, è entrato in azione il potente elicottero della forestale “Orso Bruno”, un Sykorsky S64 in grado di lavorare con molta efficienza in situazioni simili, coadiuvato da un canadair, attivo fin da ieri.
Nel 2007, a L’Aquila, nell’altro versante verde di “Madonna fore”, divampò un altro terribile incendio che ha lasciato danni visibili ancora oggi.
Anche in questo caso in agosto (il 9), con distruzione di parte della pineta di San Giuliano e con danni causati, Secondo la Procura, dai lavori in corso sul viadotto dell’ A-24 tra San Sisto e Pettino, causati tagliando delle vecchie barriere metalliche di sicurezza sul viadotto con una saldatrice.
Il tutto senza aver predisposto un adeguato sistema antincendio e con danni stimati dal Comune in 2 milioni e 600 mila euro.
La Procura ha chiuso le indagini alcuni mesi fa, contestando agli accusati il reato di incendio boschivo. Davanti al Gup, il 18 ottobre, dovranno comparire il responsabile legale della ditta Toto che aveva avuto in appalto i lavori della sistemazione di quel tratto autostradale, ovvero il 35enne Alfonso Toto (Chieti).
Con lui rischiano il processo anche Italo Paolo Giuseppe Trinchini (San Benedetto dei Marsi), Francesco Mongiardini (Roma) e Alessandro Trudu (Pianella) in qualità di committenti dalla Strada dei Parchi, rispettivamente nelle vesti di coordinatore della sicurezza, responsabile del procedimento dei lavori e coordinatore della progettazione.
Tornando a quelli di ieri, gli incendi più gravi, oltre che in Sicilia, dove trenta giovani scout sono rimasti intrappolati nell’area dell’Etna e tratti in salvo dai carabinieri, anche, dalle 17, sulla A1, nel tratto tra l’allacciamento con la A24 Roma-L’Aquila e l’allacciamento con la Diramazione Roma Nord, in entrambe le direzioni, con forte presenza di fumo in carreggiata.
Per lo stesso motivo è stato necessario chiudere, sulla diramazione Roma Nord, l’allacciamento con la A1 in direzione di Firenze.
Al lavoro nove squadre di vigili del fuoco, che, in serata, hanno permesso alla viabilità di essere ripristinata.
Tornando alla Sicilia, cinquanta interventi dei vigili del fuoco in poche ore a Palermo e in provincia per gli incendi divampati in diverse zone, sia per il vento caldo che per i cumuli di immondizia dati alle fiamme dai cittadini stanchi della presenza di tonnellate di rifiuti per strada a causa della chiusura della discarica di Bellolampo che brucia da nove giorni.
Le situazioni più critiche si sono registrate nella notte a Belmonte Mezzagno e all’alba a Montagna Longa e a Carini dove sono intervenute tre squadre di Vigili del fuoco. Nella notte sono arrivate anche squadra da Enna e Caltanissetta per i rinforzi.
Ma la situazione più critica si è registrata nella provincia di Trapani.
Ieri sono andati in fiamme ettari di verde nei pressi della riserva dello Zingaro e, in serata, è stato anche evacuato un residence, vicino San Vito Lo Capo, con centinaia di turisti ospiti del Comune.
E, portando lo sguardo fuori dall’Italia, giorno nero per la Siria, con 302 morti, 98 soldati, 139 civili e 65 ribelli, ad Aleppo e, nelle ultime 48 ore, oltre 30 mila i civili, costretti a rifugiarsi in Libano per sfuggire ai combattimenti tra lealisti e ribelli.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità l’estensione della missione degli osservatori in Siria, in scadenza oggi, di altri 30 giorni.
E, stavolta, anche la Russia e la Cina hanno detto sì, a differenza di quanto accaduto ieri, quando Mosca e Pechino avevano bocciato la risoluzione che prevedeva anche la possibilità di sanzioni contro il regime di Bashar Assad.
E sempre ieri, le agenzia di tutto il mondo hanno dettato la defezione e la fuga del primo ministro Riad Hijab, che accelera grandemente l’implosione e la disgregazione del regime.
La stessa sorte di Bashar sembra ormai in bilico, al punto che nella battaglia mediatica intorno alla guerra civile siriana ieri un falso twitter attribuito al ministro degli Interni russo affermava che fosse rimasto ucciso in un agguato.
Tutto questo mentre si sta preparando l’assalto finale ad Aleppo da parte dei lealisti: 20.000 uomini schierati contro 6.000 ribelli molto mal equipaggiati.
Numerose le defezioni anche tra i generali, che sono la spia della spaccatura sempre più evidente tra la maggioranza sunnita e la minoranza alauita che detiene il potere. Spaccatura che, come è ormai evidente, è la chiave interna di tutta la questione siriana ed anche il pericolo maggiore per il futuro della Siri, a dove insorti e lealisti stanno combattendo per se stessi ma hanno anche ingaggiato una sorta di guerra per procura con l’appoggio di arabi, turchi e occidentali che si contrappongono a Russia e Iran.
Il nome sunniti deriva dall’arabo “sunnah”, che significa “tradizione“. I sunniti sono infatti coloro che seguono la tradizionale religione islamica. Essi seguono le scritture del Corano e utilizzano come punto di riferimento le azioni, le parole e la vita di Maometto, testimoniati appunto dalla tradizione.
All’interno del gruppo dei sunniti rientrano anche gli sciiti, che si distaccano però in merito alla presenza e al ruolo di una gerarchia religiosa.
Gli aluiti, invece, che si fanno chiamare Alawī, anche se storicamente venivano chiamati Nuṣayrī, Nāmiriyya, o Anṣāriyya, per mostrare la loro reverenza ad Alī, il cugino e genero del profeta Maometto e professano una religione basata sullo gnosticismo e sul neoplatonismo, in base alla quale ogni fedele ha nella sua anima una parte della luce del divino creatore, cui si può accedere e che porta alla retta via e alla salvezza e credono che si dovranno trasformare o rinascere sette volte prima di tornare ad avere un posto tra le stelle, dove Alì è il principe. Se meritevoli di biasimo, essi rinascono talvolta come cristiani o giudei, tra i quali rimarranno fino a quando l’espiazione sarà completa. Gli infedeli, invece, rinascono come animali.
In Siria essi sono una minoranza che vive nelle montagne e lungo la costa del mar Mediterraneo, con Latakia e Tartus che sono le loro città principali.
Bashar Al Assad, presidente siriano dal 2000, quando suo padre Hafiz morì, lasciandogli in eredità il potere, appartenente al partito Baath, era laico e abbastanza tollerante all’inizio della sua azione politica, fino a diventare un simulacro del proprio potere e della volontà di mantenerlo,. Bashar ha condotto il paese, mostrando una costante inesperienza e attraverso sostegno della minoranza musulmana aristocratica degli aluiti, sempre visti di cattivo occhio dalla maggioranza sunnita. La Siria è inserita nella lista dei cosiddetti “Rogue States“ dagli Stati Uniti, a causa della sua instabilità politica, ora crollata in una vera e propria guerra civile. Fino all’esplosione delle rivolte, il regime era stato abbastanza tollerante ed è stato sostenuto dall’Iran di Ahmadinejad. Questa pericolosa alleanza preoccupava i paesi dell’Europa occidentale e Israele, ma ha permesso un sostanziale equilibrio fino alla repressione.
La primavera araba si è diffusa nel paese dal confine sud-est con Israele e ha portato diverse città e villaggi a ribellarsi contro il regime, che non ha mai rappresentato la reale composizione sociale e religiosa della popolazione, tenendo conto solo gli interessi di una piccola setta elitaria.
Da allora, ogni focolaio di violenza è stato soffocato dall’esercito regolare, che ha ucciso, fino ad oggi, più di 10.000 persone, e bombardato per mesi intere città, come la sunnita Homs, che è divenuta il simbolo della resistenza della popolazione contro il suo governo fratricida.
E, mentre la cosiddetta “Primavera araba” ha portato, dopo scontri violenti, alla fine dei rispettivi regimi, da 17 mesi, in Siria, si combatte una guerra civile che non sembra avere mai fine.
La Comunità Internazionale durante questo lungo periodo non ha mai trovato una soluzione comune per risolvere questa cris. Le Nazioni Unite sono, infatti, bloccate dal veto della Russia e la Cina in sede di Consiglio di Sicurezza. Le due super-potenze dell’Est sono contro qualsiasi intervento militare in Siria e sostengono solo forme di conciliazione e mediazione politica tra il governo regolare e la popolazione. La Russia ha, infatti, un’alleanza storica con il paese, supportata da decenni di forniture militari. La Cina ha, invece, necessità di costruire una rete sempre più grande di partner energetici e la Siria è, ovviamente, fondamentale in questo tipo di strategia. Durante l’ultimo incontro dell’”Organizzazione di Cooperazione di Shanghai” del 6 giugno, i due paesi hanno ribadito la loro posizione.
Carlo Di Stanislao
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