Apertosi all’insegna della polemica nei confronti del classico, l’ottocento vede l’affermazione del fenomeno romantico volto a rivalutare un passato musicale che affonda le sue radici nel lontano medioevo e a conferire una nuova enfasi al valore trascendente, religioso e sovrarazionale dell’espressione artistica. Con la rivoluzione industriale, poi, il mondo si organizza in senso moderno e la gestione della cultura passa dalle mani del ceto aristocratico a quelle del ceto imprenditoriale e borghese. In questo passaggio le attività artistiche si trasformano: viene introdotto il meccanismo del mercato musicale (nascita del concerto pubblico a pagamento e del fenomeno dell’editoria musicale), i modelli di riferimento si moltiplicano e gli schemi compositivi tradizionali tendono a dissolversi.
Il melodramma, innovatore prudente e accorto, il pesarese Gioacchino Rossini vivifica con elementi nuovi i mezzi espressivi della formula teatrale operistica italiana, riducendo la tradizionale dicotomia che opponeva la scuola napoletana a quella settentrionale.
Egli sottrae all’arbitrio dei virtuosi le fioriture vocali e irrobustisce le parti strumentali in funzione espressiva, ma soprattutto introduce una straordinaria forza comica e un’inedita carica ritmica nel rapporto fra musica e parola. Dopo Rossini, in Italia si accentua il monopolio del melodramma a scapito della produzione strumentale, mentre il gusto musicale si unifica grazie all’opera di compositori quali Gaetano Donizetti (1797-1848) e Vincenzo Bellini (1801-1835).
Rossini, in definitiva, realizza una coerenza drammatica sconosciuta all’opera seria settecentesca, e conferisce anche al recitativo funzione espressiva ed elevatezza lirica. Per quando riguarda l’opera seria, esemplare in questo senso è la Lucia di Lammermoor.
E anche in ambito buffo i personaggi sono caratterizzati da un calore sentimentale che li sottrae al mero ridicolo della farsa.
Da domani e sino al 23 agosto, di scena a Pesaro, la XXXIII edizione del “Rossini Opera Festival”, istituito nel 1980 ad opera del Comune, con l’intento di affiancare e proseguire in campo teatrale l’attività scientifica della fondazione Rossini.
Il Festival, che è un originale laboratorio interattivo di musicologia applicata, finalizzato al recupero musicologico, teatrale ed editoriale di tutto il sommerso rossiniano, è sostenuto anche dall’Amministrazione provinciale, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, dalla Banca dell’Adriatico e dalla Fondazione Scavolini ed ha grandemente contribuito, nel corso della sua attività, ad una sostanziale rilettura filologica di molte delle opere di Rossini, alcune delle quali poco rappresentate in tempi moderni e che ora sono tornate a far parte in piante stabile – nel quadro della cosiddetta Rossini renaissance – del repertorio delle maggiori opere liriche italiane.
Il Festival non sarebbe quello che è senza questo rapporto strutturale con la ricerca scientifica. Ne è nato un singolare metodo di lavoro, basato sulla presenza fianco a fianco di musicologi, musicisti e operatori teatrali, in uno scambio reciproco di contributi e di condizionamenti. Il successo internazionale della formula ha prodotto in più di un trentennio, con la progressiva restituzione del Catalogo rossiniano in edizione critica, anche un forte riverbero di nuova cultura teatrale, fondato sul rifiuto non solo dell’inautentico, ma anche di tutto ciò che è approssimativo, generico o inesatto. Un fenomeno sempre più vasto, che riguarda oggi anche altri teatri e altri musicisti. Accade infatti sempre più spesso di registrare teatri che evitano di mandare in scena partiture, anche di autori minori, che non siano state prima sottoposte a qualche forma di revisione sull’autografo o sulle fonti. Insomma: un metodo elitario è ormai diventato senso comune. La ricerca sul linguaggio visivo.
Com’è noto, la linea del Festival prevede, accanto al rispetto religioso della partitura autentica, la massima libertà nei criteri della messinscena (sebbene con il rifiuto degli abusi e delle dissacrazioni gratuite) nel senso di una pacifica rivisitazione della drammaturgia secondo un linguaggio più vicino alla sensibilità dello spettatore contemporaneo. Ciò non significa necessariamente la trasposizione della vicenda ai tempi attuali, anche se operazioni del genere si sono fatte in ogni epoca e in contesti diversi (si pensi alla Vocazione di S. Matteo di Caravaggio…), ma significa solo il ricorso a categorie espressive comprensibili e familiari allo spettatore moderno, indipendentemente dalla collocazione temporale della messinscena.
Quest’anno è la volta di “Ciro in Babilonia”, dramma con cori di soggetto biblico, adatto per essere rappresentato durante la Quaresima messo in scena in forma di oratorio, al Teatro Comunale di Ferrara nel 1812, con il ruolo principale affidato a Maria Marcolini, particolarmente esperta in ruoli en travesti.
Il libretto di Francesco Aventi, è basato sul libro biblico di Daniele e si tratta, certamente, di un’opera complessa, perché Rossini, all’epoca completamente immerso nell’esperienza della’opera buffa, di fronte ad un soggetto storico così greve e macchinoso, realizzò una partitura con ardite soluzioni drammatiche, conferendo ampio sviluppo ai pezzi d’insieme, inserendo abbondanti recitativi strumentali e accentuando gli effetti scenico – musicali.
Nella rappresentazione di Pesaro, il regista Davide Livermore, ha ambientato la vicenda negli scenari che hanno accompagnato la nascita della cinematografia, ispirandosi a kolossal storici ed utilizzando spezzoni da pellicole d’epoca.
Nello spettacolo pesarese, con prima all’Auditorium Pedrotti, domani, preceduta da ‘La bottega fantastica’, omaggio d’autore a Rossini che vedrà protagonista l’Orchestra Filarmonica Marchigiana, al debutto al Festival, diretta da Donato Renzetti; protagonista è Ewa Podle, dotata della vocalita’ rarissima dell’autentico contralto rossiniano, ad interpretare il re persiano affiancata da Pratt, Spyres, McPherson, Palazzi, Romeu, Costantini, diretti, insieme al’Orchestra e al Coro del Teatro Comunale di Bologna, dall’americano Will Crutchfield, con costumi di Gianluca Falaschi e luci di Nicolas Bovey, che ha ideato anche la scenografia.
La seconda opera in programma al festival pesarese, è la ‘Matilde di Shabran’ (Teatro Rossini, 11 agosto, ore 20), premio Abbiati per la regia, reduce da un successo trionfale al Covent Garden.
La regia è di Mario Martone (l’autore di “Noi credevamo”, ma soprattutto il fondatore del gruppo Falso Movimento e Teatri Uniti, è un artista cresciuto grazie al teatro) ed il protagonista è Juan Diego Florez, tenore peruviano, figlio di un chitarrista di musica folcloristica e che ha cantato nei principali teatri statunitensi ed europei.
La terza opera, ‘Il signor Bruschino’ (12 agosto, Teatro Rossini, ore 20) e’ interamente collettiva, come nella passata esperienza del ‘Demetrio e Polibio’, dove scene e costumi erano affidate all’Accademia di Belle Arti di Urbino, con l’aggiunta di una regia collettiva, quella del Teatro Sotterraneo: un team di artisti che rappresentano un mito del teatro contemporaneo. Sarà ambientato in una sorta di Disneyland rossiniana, con veri e propri stand fra i quali si muovono i personaggi con un continuo scambio fra il 1813 e il 2012.
Inoltre, in collaborazione con l’Ente Concerti e l’Accademia Nazionale Napoletana, è stata realizzata la quarta sessione dell’esecuzione integrale dei ‘Pe’ches de Vieillesse’ e il concerto di Stefano Bollani, ‘Visita a Rossini’ (il 19 agosto).
Confermata,anche, la tradizionale rappresentazione del ‘Viaggio e Reims’ (Teatro Rossini, 14 e 17 agosto ore 11) a cura degli allievi dell’Accademia Rossiniana e la presentazione di un’opera in forma di concerto, ‘Tancredi‘ (Teatro Rossini, 23 agosto, ore 20.30), diretta da Alberto Zadda, con videoproiezione in diretta in Piazza del Popolo.
Si è anche deciso che, il prossimo anno, sarà rappresentato il ‘Guillaume Tell’, in lingua francese e con balli, per un totale di oltre cinque ore di musica, oltre aLl’esecuzione, in forma di concerto, de ‘La donna del lago’.
Il programma della XXXIII edizione su: http://www.rossinioperafestival.it/
Carlo Di Stanislao
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