Otto Olimpiadi (l’unica donna che ha raggiunto questo traguardo) e 27 medaglie, fra Giochi e Mondiali. Un metro e 76 di muscoli che non cancellano la sua grazia e un temperamento teutonico addolcito quanto basta dal matrimonio italiano.
Josepha Idem, a 47 anni, ha lottato anche a Londra per una medaglia e, per un attimo, ha potuto pensare al bronzo, anche se poi è scivolata al quinto posto, dopo una gara combattuta con l’entusiasmo, la grinta e l’emozione di sempre.
E’ partita piano (come le era capitato a Pechino), ma ha poi recuperato con una splendida progressione fino agli ultimi trenta metri: qui la sudafricana Hartley e la svedese Paldanius sono riuscite a mettere la punta davanti e l’oro è stato vinto dall’ungherese Kozak, con l’argento andato all’ucraina Osypenko-Radomska.
Poco male, perché quella di Josepha resta un’impresa straordinaria: essere la quinta al mondo a 47 anni suonati e con avversarie che hanno poco più dell’età dei suoi figli.
Anche se testa e cuore non sono bastati, Josepha resta un esempio limpido ed infinito e se i muscoli l’hanno tradita, non è stato così per lo spirito, lanciato con impeto verso l’ennesima impresa.
Un’impresa che resta comunque eccelsa, grazie anche alla tecnologia di casa nostra.
La sua canoa, infatti, si è mostrata attrezzo perfetto, grazie alle verifiche nelle vasche dell’ Istituto nazionale studi ed esperienze di architettura navale (Insean) del Cnr, in quei bacini rettilinei (il più grande è lungo ben 500 metri), che sono veri e propri laboratori, dove si mettono a punto le cosiddette curve di resistenza e dove fu provata anche “Luna rossa”, protagonista delle due scorse edizioni dell’America’s Cup.
Tornando a Josepha, anche se non è andato sul podio, era lì a giocarsi una finale, reduce dagli argenti di Atene e Pechino, dopo l’oro di Sydney e il bronzo di Atlanta.
Questa elegante signora tedesca, azzurra dal 1990 per amore e matrimonio con Guglielmo Guerrini, due volte mamma, resta un esempio per lo sport e la vita.
Nella Grecia antica gli atleti migliori erano cantati da Simonide, Tucidite e Pindaro ed i più grandi, come Milone, mantenuti a spese dello stato.
Ora non vi sono più poeti cantori di atleti e lo stato è poco incline a sostenere sportivi, ma questo meriterebbe Josepha: una corona di alloro e versi che ne descrivano per sempre le gesta immortali.
Tornando alle Olimpiadi londinesi, splendida, per noi, l’intera giornata di ieri, che ci ha portato a tre semifinali, con uno spettacolare Vincenzo Mangiacapre che ci regala la terza medaglia sicura nel pugilato, dopo quelle di Russo e Cammarelle e semifinale anche per il settebello azzurro in acqua e per la squadra di volley.
Mangiacarpe affronterà il cubano Iglesias Sotolongo ed ha detto che punta all’oro, ma, comunque vadano le cose, una medaglia la prenderà sicuramente, poiché il regolamento della boxe premia entrambi i perdenti delle semifinali con la medaglia di bronzo.
Quanto alla Nazionale azzurra di pallanuoto, si è qualificata battendo l’Ungheria 11-9, al termine di una sfida emozionante, condotta con grande autorevolezza. Il successo dell’Italia ha un peso enorme, se si considera che gli avversari ungheresi erano reduci da tre ori olimpici consecutivi a Sidney 2000, Atene 2004 e Pechino 2008.
In semifinale, il team allenato da Campagna, affronterà la Serbia e, se vincesse (cosa alla portata), tornerebbe sul podio olimpico a distanza di sedici anni dall’ultima volta: ad Atlanta 1996, con il bronzo, mentre quattro anni prima a Barcellona, si arrivò addirittura all’oro, dopo una memorabile finale contro i padroni di casa.
Quanto alla pallavolo, battendo gli Stati Uniti 3-0, gli Azzurri si sono qualificati per le semifinali del torneo maschile. Grande impresa, quella degli uomini allenati da Mauro Berruto, che hanno avuto la meglio sulla Nazionale americana, campione olimpica in carica e data per favorita alla vigilia.
In semifinale l’Italia affronterà il Brasile, medaglia d’argento a Pechino 2008.
Nella storia dei Giochi il miglior risultato ottenuto dalla Nazionale maschile è l’argento ad Atlanta 1996: in quell’occasione gli azzurri allenati da Julio Velasco si arresero all’Olanda in finale.
I Greci per designare le loro attività sportive usavano i termini gymnastique (da gymnos, nudo) perché gli atleti si confrontavano nudi, oppure agon (concorso, lotta, emulazione) o athlon (sforzo, lotta) o ancora athlos (combattimento, exploit) da cui gli aggettivi “agonistico” e “atletico”.
Perché per i Greci il momento sportivo non era del tipo ludico, ma si associava alla formazione del carattere dei giovani, futuri cittadini cui spettava il dovere di condurre bene gli affari delle loro città e difenderle in caso di pericolo.
Ad Olimpia, nel periodo di massimo splendore, tra le opere dei più grandi artisti del tempo, rifulgeva la statua di Zeus in avorio e oro, scolpita da Fidia, alta oltre 12 metri , una delle sette meraviglie del mondo e dai piedi della statua Lisia pronunciò il suo celebre discorso, in cui ricordava, il senso di unità ed amicizia dei Giochi.
Ora, in questa olimpiade con molte ombre, abbiamo assistito a qualche gesto meritevole di riunirsi alle fulgide imprese del passato (di Filippo di Macedonia e suo figlio Alessandro, dello stesso Pitagora, che vinse una Olimpiade nel pugilato e fu medico della squadra di Crotone), ma per lo più ad episodi riprovevoli che ci riportano ad un mondo privo di slanci e di autentica vitalità, in cui tutti gli sforzi (leciti o meno), sono effettuati per essere riconosciuti migliori di tutti e in cui conta solo la vittoria e non esiste né il secondo né il terzo posto e neanche lontanamente lo spirito di squadra.
Carlo Di Stanislao
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