Era naturale, per me, che vi giungesse ed ora Lars Von Trier, arriva al porno esplicito, con “The Nymphomaniac”, storia di una donna alle prese con un vero e proprio viaggio erotico che la conduce al passaggio verso la vita adulta, con protagonista Charlotte Gainsbourg che, nonostante abbia già avuto a che fare con Von Trier in “Antichrist”, si è detta piuttosto preoccupata e contorno di Stellan Skarsgard, Nicole Kidman e, ultima entry, Shia LaBeouf , che dopo il razzie “Trasformers”, si è già messo a nudo nel videoclip del gruppo islandese degli Sigur Ros.
Le riprese partiranno a settembre e Von Tier ha già dichiarato che, sebbene erotico, il film non sarà pornografico.
Naturalmente dipende dai punti di vista, poiché anche opere precedenti di Von Trier, come “Antichrist” o “Gli idioti”, pur non potevano certo essere definite pornografiche, erano zeppe di sesso non simulato (almeno in apparenza).
Odio Von Tier dal 1996, dai tempi di “Le onde del destino” – “Breaking the Waves”, con una impareggiabile Emily Watson, storia di una ragazza scozzese che abita in un piccolo paese delle Highlands la cui vita sociale è minuziosamente tenuta d’occhio e controllata dal consiglio degli anziani della chiesa calvinista, gretti, ritualisti e sessuofobi.
Bess, giovane, spensierata e un po’ infantile, si innamora e sposa Jan, un operaio che lavora su una piattaforma petrolifera al largo della costa e che gli anziani della chiesa guardano con sospetto: per loro è uno “straniero”. I due si amano con trasporto, anche sessuale. Quando Jan deve rientrare sulla piattaforma per lavorare, Bess soffre moltissimo la sua lontananza.
In strani, immaginari colloqui con Dio, prega ardentemente perché torni presto da lei. Ma Jan è vittima di un grave incidente, e rimane paralizzato. Impotente e immobile nel lettino d’ospedale, suggerisce a Bess di fare l’amore con un altro uomo e di venire poi a raccontargli i particolari: è come se facessero l’amore loro due, le dice. Bess dapprima inorridisce, poi si persuade che obbedendo al desiderio di Jan potrà aiutarlo a vivere, e magari a guarire. Così comincia a frequentare uomini, i primi che incontra. E, curiosamente, ogni volta che lei fa sesso Jan ha miglioramenti o addirittura scampa alla morte. I medici avvertono Bess che il marito è in preda a una mente ormai malata e ossessionata, ma lei non vuole dare loro retta. In un finale (melo)drammatico, Bess viene violentata e maltrattata dagli uomini cui si è offerta, fino a morire.
Ma ecco che il miracolo si realizza e Jan ha uno spettacolare miglioramento, riacquistando l’uso del corpo, fino a poter lasciare l’ospedale. Resta profondamente e sinceramente addolorato dalla morte dell’amata Bess.
Ed odio Von Trier non solo per la sua crudezza (spesso del tutto gratuita e fuori luogo), ma perché nessuno ha il diritto di precludere ad altri le vie della speranza, mentre il suo è sempre stato un cinema disperato.
In principio era il “Dogma” (1995), quel manifesto del nuovo (allora) cinema danese che promulgava di fare almeno 5 film (ne hanno fatti 107) con regole radicali: niente luci, niente scenografia, assenza di colonna sonora, macchina a mano.
E niente trucchi o effetti speciali: o pistole cariche o niente pistole nella storia.
Se c’è sesso si fa, senza finzione. In realtà ogni regista del Dogma si è preso le sue libertà. A partire da Lars von Trier stesso che aveva detto che in Idioti c’era vero sesso hard (e in effetti c’era il classico francobollo di un coito appiccicato come nei vecchi hard poveri) e invece saltò fuori che le attrici avevano insistito per l’uso di controfigure e specialisti del porno.
Ogni volta che von Trier stava per lanciare un film a Cannes, convocava una conferenza stampa per dire che aveva in produzione (pare oltre a porno standard) un film porno per spettatori intelligenti, con veri attori che lo facevano sul serio.
Ogni volta si attendeva lo scandalo. E in Antichrist, il più scandaloso, per raccontare la sua lunga nevrosi von Trier ha messo amplessi con riprese ravvicinatissime ai sessi, escissione del clitoride della Gainsbourg, trapanamento di una gamba di Willem Dafoe a cui veniva applicata una macina, masturbazioni con getti di sangue. Spettatori sconvolti e niente altro davvero.
Von Tier fa notizia per le sue posizioni da nazista e perché maltratta le attrici: Bjork, dopo il boom di “Dancer in the Dark”, non fece più cinema, così come Nicole Kidman si ‘rifiutò’ di girare il sequel di “Dogville”, 8 anni fa, ovvero Manderlay. Ma ora torna con Von Tier.
Insomma, come al solito, sento anche in questo caso un forte odore di trovata pubblicitaria, anche perché al danese piace sempre far parlare di sé tra una bevuta di troppo, una scemenza su Hitler e una tirata antisemita.
Primo ciak a settembre (si era detto a luglio, poi rinviato) dalle parti della Westfalia, e vedrete che qualche festival, puntando sullo scandalo annunciato, lo prenderà in concorso.
S’intende nella versione hard, sennò che gusto c’è.
Vorrei comunque ricordare a chi non è della mia generazione e non ha letto la teoria di Tullio Kezich sulla “ingoppata artistica” (cioè quella fondata sul bisogno creativo di infrangere un certo velo di ipocrisia), che ben altri precedenti il cinema ci ha dato in tal senso.
Esempi di quello che Michele Anselmi chiama gustosamente “Pussy Power” ce li offrono Corinne Cléry in “Kleinhoff Hotel” di Carlo Lizzani; Marusckha Détmers in “Il diavolo in corpo” di Marco Bellocchio; Chloë Sevigny in “Brown Bunny” di Vincent Gallo; Caroline Ducey in “Romance” di Catherine Breillat; Kerry Fox in “Intimacy” di Patrice Chéreau,; Séverine Caneele in “L’Humanité” di Bruno Dumont; Amira Casar in “Pornocrazia” sempre della Breillat; le nostre Elisabetta Cavallotti e Loredana Cannata rispettivamente in “Guardami” di Davide Ferrario e “La donna lupo” di Aurelio Grimaldi; in parte la giovane Francesca Neri in “Le età di Lulù” di Bigas Luna.
Solo per dirne alcune, restando alla voce fellatio e dintorni, tra depilazioni totali e primi piani alla Courbet., Tinto Brass, che lanciò Claudia Koll, Serena Grandi, Debora Caprioglio e rilanciò Stefania Sandrelli con “La chiave”, ha creato più tensione di Von Trier, anche se, alla fine, l’elemento voyeuristico/porcellone del suo cinema ha finito col divorarne ogni ambizione d’autore, con la scusa risibile del sesso “mozartiano”.
E, per essere più elevati e sinceri, si ricordi al regista danese, che d’autore era certamente“Lussuria” di Ang Lee del 2007, Leone d’oro a Venezia, famoso per le tre insistite scene hot costruite sui corpi nudi di Tang Wei e Tony Leung, con la storia (o leggenda) che vuole che i due l’abbiano fatto davvero.
Consigliere poi, ai cultori di cinema, di rivedere La mano di Wong Kar Wai dal film collettivo Eros, con la prostituta Gong Li, che sconvolge l’esistenza dell’apprendista sarto Chang Chen con uno “scherzo di mano”, replicato a distanza di anni nel momento dell’addio senza che nelle more sia successo altro.
O, ancora, “In the mood for love”, sempre di Wai, del 2000, con una passione erotica che diventa amore, ma con una classe poetica e visionaria che non ha bisogno di scene di sesso, facendo intuire tutto dagli sguardi e dai movimenti dei due protagonisti.
E, infine, “Ecco l’impero dei sensi”, del 1976, scritto e diretto da Nagisa Oshima, basato su un celebre episodio di cronaca avvenuto nel Giappone degli anni trenta, dove l’obiettivo della macchina da presa mette a fuoco ogni dettaglio della nudità dei corpi impegnati in rapporti in cui non c’è finzione, ma dove il racconto è incentrato sull’enorme potere che i sensi possono esercitare sulla vita di due persone, sino a prenderne il sopravvento, con una rappresentazione lirica delle idee di Georges Bataille, secondo cui la passione fisica, il piacere sessuale, il gusto della trasgressione e la morte sono indissolubilmente legati.
E circa il viaggio erotico verso la vita adulta, meglio rivedersi “In compagnia dei lupi”, del grande Neil Jordan, la favola di Cappuccetto Rosso in chiave orrorifica e psicoanalitica, per uno dei più stravaganti e bei film britannici degli anni ’80, per adulti intelligenti e non pornografi camuffati.
Carlo Di Stanislao
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