“L’Aquila può e deve diventare un grande laboratorio di idee e partecipazione, di legalità e trasparenza, di solidarietà e inclusione: una città come laboratorio politico e culturale, in cui la partecipazione è una modalità di governo. L’obiettivo è lo sviluppo di una società solidale, in cui i diritti siano esigibili, in cui sia rafforzata quella coesione sociale che rappresenta un alto fattore di sviluppo.” Questi, i principi ispiratori della nuova governance. Ma con quali strategie conseguirli? Innanzi tutto l’Aquila deve riconoscere i propri limiti di città vincolata al pensiero unico che, nell’immaginario collettivo, si traduce nell’obsoleto centralismo della città storica. Una città che vuol farsi laboratorio di partecipazione e inclusione rompe ogni processo ispirato all’”uni-verso”! Occorre aprirsi al “pluri-verso”, perché l’universo ha una struttura pluralistica, perché viviamo dentro le culture delle differenze. Far parte di una comunità inoltre e percepirne il senso di appartenenza, comporta la consapevolezza di un compito da svolgere, e di sentirsi dentro una rete di relazioni, di scambi, di doni. Ma quanti a l’Aquila sentono l’appartenenza comunitaria in questi termini? Una città che vuol farsi laboratorio di idee è una città che sa “osare il futuro”. E quali strategie utilizzare per raggiungere questo obiettivo? Il verbo “osare” ha più significati. Antonio Nanni, docente di Filosofia e Scienze dell’educazione ce ne propone alcuni. Il primo significato di “osare” è quello che ci regala la liturgia: “Osiamo dire: Padre nostro…”. Osare significa dunque prendersi una libertà, essere sfacciati: “non siamo degni, ma osiamo dire”. È un ardire esigente. Un secondo significato di “osare il futuro” è operare una forzatura, affrettare l’opera della storia, accelerarla. La nostra storia porta nel grembo qualcosa che prima o poi dovrà dare alla luce. Osare il futuro significa dunque affrettarsi, fare in modo che il nuovo che deve nascere a l’Aquila nasca adesso. C’è un atteggiamento messianico in colui che osa il futuro: egli vuole che quanto appare come salvifico, acceleri il corso della storia. Un terzo significato è accettare la sfida. Osare il futuro vuol dire: la nostra realtà è difficile, complessa, sembra che voglia anche travolgerci, ma noi accettiamo la prova. È l’atteggiamento di Davide con Golia: Davide osa sfidare Golia. Pur non essendoci i presupposti, pur di fronte ad un esito fatale e scontato, Davide osa sfidare il gigante filisteo. Osare il futuro quindi significa rischiare, sperimentare cose nuove, nuovi modelli sociali e spaziali. Significa resistere, reagire, misurarsi con le nuove sfide a cui è chiamata la città e i suoi abitanti. Un altro significato di osare il futuro è quello di aprire dei varchi, creare alternative, essere portatori di idee, di valori, modelli di sviluppo, improntati alla sostenibilità. Sul piano spaziale una nuova idea di città non può nascere da un modello che descrive l’uomo nei termini di attore sociale egoista, teso alla massimizzazione della propria funzione di utilità, mosso dalla ricerca della soddisfazione di bisogni illimitati. È questa l’antropologia dello sbranamento, perché fa crescere colui che ruba fette di mercato all’altro. E’ questo lo spirito che ha fecondato la periferia aquilana e che insidia il progetto di città come laboratorio politico e culturale. No, l’Aquila ha bisogno di ben altro logos! Ha bisogno di coltivare mentalità nuove, introdurre antidoti cognitivi all’interno dell’opinione pubblica, affinché le persone che sentono parlare solo di certe logiche e dinamiche abbiano la possibilità di sapere che non c’è solo mercato, speculazione. Esistono forme alternative di pensiero che smascherano gli idoli delle scienze sociali contemporanee (economicismo, materialismo, razionalismo). Fra queste quello che fa riferimento alla cultura del dono e della gratuità. A livello internazionale è patrocinato da un nutrito gruppo di economisti, giuristi, sociologi e antropologi riuniti nel Mauss (Movimento degli Antiutilitaristi nelle Scienze Sociali). Si ispira all’idea di ripensare l’azione sociale degli uomini alla luce di ciò che li lega tra loro, che permette loro di fare società, di fare città.
Giancarlo De Amicis
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