E’ un periodo costellato di episodi di violenza spicciola che imbratta le strade e le coscienze, lasciando dietro sé tracce evidenti di indifferenza e un po’ di paura, come a dire che queste cose accadono solo ai “fuori di testa”.
Accadimenti che vedono primi protagonisti i più giovani, quelli che davvero sognano di fare le cose per bene, ma spesso si imbucano alla via più breve, che arreca danno e sofferenze.
Nelle vie dello struscio le dita non sono più intrecciate ad altre più minute, non corrono più al viso della propria bella, sono diventate mani strette a pugno, afferrano i bastoni, i caschi, le bottiglie, colpiscono presentando il conto a qualcuno, non soltanto al malcapitato di turno.
I giovani e la violenza, non è uno spettacolo teatrale: quando alla fronte imperlata di sudore della paura s’aggiunge il sapore acre del sangue, non c’è più tempo per disquisire su ulteriori rimandi, diviene l’unico spazio che rimane per trovare la risposta che manca e perpetua il massacro.
Parlando con un ragazzino, uno di quelli che cammina buttando i piedi di lato, che sembra costantemente in procinto di cadere, ho avuto l’impressione di avere di fronte un piccolo terrorista della parola che fa rumore, una tempesta di parole scagliate senza prendere la mira, nel mucchio, per fare breccia in quel muro invisibile eretto intorno, da chissà chi e da chissà cosa. Un muro altissimo che sebbene non c’è, appare insormontabile.
Un ragazzino come ce ne sono tanti, con le tasche vuote di tempo per giocare, per studiare, per parlare con il mondo, sprovvisto della curiosità di conoscere i colori, i sapori, le differenze che insegnano a vivere insieme, e non contro per forza.
“Io non faccio niente di male, una canna non è niente di che, un bicchiere in più neppure, e qualche calcio nel sedere non ha mai ucciso nessuno”. Dentro queste parole la contraddizione più inconsapevole, che però non ammette ignoranza, non concede riparo quando accade l’incidente improvviso, l’impatto terribile con l’ostacolo inaspettato, allora si rimane lì con l’odore del ferro bruciato alle narici, agli occhi, al cuore che fa fatica a vivere ancora.
Un giovanissimo sbilanciato sulla puntata da collocare, tra i colpi di fortuna e le imprecazioni per l’attesa che non sopporta il tempo di cui si nutre, una competizione perennemente distorta, che dovrebbe aiutare a crescere, ma diventa pura violenza svestita di ogni utilità, e ubriaca di sofferenza da elargire a breve termine.
Giovani affidati alla disattenzione del messaggio mediatico che premia quello che sgomita al mento, mentre la giustizia rimane a guardare i dis-valori che divengono traguardi da raggiungere a tutti i costi, l’arroganza filtra dalle relazioni, dalle convivenze, è un modo di agire la vita disconoscendo la forma più alta dell’educazione, quel rispetto che dovrebbe unire se stessi agli altri.
La violenza non è mai da prendere sottogamba, come dice qualcuno: i cretini vanno stanati con ferocia, ripresi nel loro linguaggio, comportamento, stile di vita violento.
Occorre ritornare all’educazione delle buone maniere, ogni giorno che ci aspetta, che ci invita a costruire buona vita, infatti solamente attraverso l’educazione si realizza la persona e con essa la collettività.
Vincenzo Andraous
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