Ogni tanto vengo sorpresa da alcuni dei bellissimi ricordi che ho della mia infanzia, di quei pomeriggi interminabili passati a giocare con i miei vicini di casa —amici da sempre— e delle passeggiate in bicicletta. Da bambina mi piaceva molto andare in bici. Inforcare il mezzo a due ruote (senza rotelle) mi aveva dato un certo status: non solo mi sentivo grande e indipendente, ma il “cordone ombelicale” si era esteso, allargandosi fino a qualche isolato più in là.
Possedere un mezzo di trasporto proprio a 8 o 9 anni non era una cosa da nulla. Mi aveva dato i primi strumenti per imparare a ritracciare la rotta su due piedi: i forti venti contrari, il caldo opprimente del sole pomeridiano, le condizioni del terreno (dopo un acquazzone era meraviglioso portare la bici nel fango) e, comunque, mi aiutava a partecipare attivamente alle mie prime “iniziative di gruppo”: la responsabilità di dare un passaggio a qualche amica o di portare la più esile della banda seduta sul manubrio… avventure epiche!
La mia bicicletta non era nuova, era stata il veicolo delle mie sorelle e —ad essere onesti— era un po’ un catorcio. Sognavo in silenzio di averne una nuova, una come quelle delle pubblicità in TV, e così scelsi con grande cura ed entusiasmo il numero della lotteria del club che aveva un primo premio molto speciale: una bici con l’immagine di Wonder Woman.
Ovviamente non vinsi la lotteria e non si materializzò la bici dei miei sogni. Venni presa dalla frustrazione e un giorno, tornando a casa, un piccolo difetto meccanico del mio veicolo fece esplodere ciò che oggi definirei senza esagerazione come un “episodio furioso”. Urla, grida, calci, rabbia… tutto quello che avevo a portata di mano per far sapere ai miei genitori (che identificavo chiaramente con la direzione generale del mondo) che volevo una bicicletta nuova fiammante, moderna, con tutti gli accessori… insomma, un gioiello su due ruote.
I miei genitori mi stettero a sentire e mi domandarono perché non avevo mai parlato della bicicletta dei miei sogni. Capii all’improvviso che loro erano al di fuori del potere del mio desiderio e che non avevo ottenuto ciò che desideravo semplicemente perché non l’avevo chiesto; non avevo concentrato la mia volontà nel posto giusto … e avevo subito un NO che io stessa avevo provocato.
Lasciando da parte i capricci, quante volte ci diciamo di NO boicottando i nostri legittimi desideri? Quante volte soffriamo in solitudine un’impossibilità “autoimposta”? Quante volte ci colmiamo di rabbia e risentimento invano, solo perché non abbiamo il coraggio di mettere chiaramente in evidenza ciò che vogliamo? Quante volte rimaniamo in attesa che gli altri decodifichino e compiacciano i nostri desideri? Quante volte rimaniamo bloccati nella richiesta?
Quante domande…
Adesso che non sono più una bambina mi rendo conto che posso avere desideri (è perfettamente lecito!) e raggiungere un accordo con le mie ambizioni come adulta.
Cerco di non “pedalare i miei desideri”, e mi rendo conto che quando lo faccio qualcosa in me sprigiona tanta felicità e vibra a frequenza così elevata e amplificata che non ho più bisogno di ricevere una bici nuova per sentirmi Wonder Woman.
Alejandra Daguerre
psicologa e psicoterapeuta in Buenos Aires
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