Dopo aver imperversato nel Golfo del Messico, lasciando dietro di sé, ad Haiti e Santo Domingo, distruzione e almeno una ventina di morti, l’uragano Isaac ha toccato terra in Lousiana e, nella notte si è abbattuto a 100 km l’ora su New Orleans, la città del jazz, che sette anni fa fu devastata da Katrina, che causò la morte di 1.800 persone sulle coste del Golfo del Messico.
Ha un nome maschile, come altri uragani (il nome è dato dallo World Meteorological Organization, con una lista alfabetica che assegna 21 nomi propri, fra maschili e femminili) e per ora forza uno, ma possibilità di crescita secondo gli esperti, che comunque sostengono di ritenere che non potrà avere la potenza di Katrina che, sempre a fine agosto del 2005, con venti da 130 km l’ora, seminò morte e distruzione, con danni stimati in 135 miliardi di dollari.
Comunque, il presidente Obama è molto preoccupato e, in televisione, ha detto alla popolazione che Isaac “é una grossa tempesta”, che deve essere “presa sul serio” e questo “non è il momento di sfidare il destino”. Aggiungendo perentorio: “Se le autorità vi dicono di evacuare, evacuate!”.
New Orleans sembra una città fantasma, con coprifuoco scattato alle 20 di ieri e con i sobborghi della “Great City” esposti ai rischi maggiori.
Sembra che, per il momento, il centro della vecchia colonia francese sia stato risparmiato, con le dighe e le chiuse che hanno retto l’urto delle onde e la popolazione che si è barricata nelle case.
La maggior parte della popolazione, infatti, ha deciso di restare in casa, fidandosi delle promesse delle autorità (“New Orleans oggi è sicura”) e nella convinzione che Isaac non possa neanche lontanamente venire paragonato a Katrina.
Molte delle abitazioni distrutte da Katrina sono state ricostruite con criteri diversi. La Fema, ovvero la Protezione civile Usa, finita nel 2005 con altre agenzie federali sotto accusa per la tragica gestione di Katrina, questa volta ha preparato con cura meticolosa piani dettagliati di evacuazione, che al momento non è stato ancora necessario mettere in atto, e ha fatto persino ricorso ai social-network per informare i residenti delle zone a rischio, usando anche twitter.
Per i più poveri, fino a tarda sera, sono rimasti aperti rifugi, alcuni solo per giovani e adolescenti, mentre il “French Quartier” è deserto e presidiato da pattuglie della polizia, caudiavate da reparti della Guardia Nazionale, per aiutare chi dovesse averne bisogno e per prevenire eventuali furti e saccheggi da ‘day after”.
Prova superata, almeno per ora, per le ‘levees’: le nuove dighe e le chiuse fortificate costate (dopo il disastro Katrina) la bellezza di 25 miliardi di dollari. L’acqua ha superato gli argini orientali anti-inondazioni tra Braithwaite e White Ditch, ma senza gravi danni.
Radio, tv e siti online aggiornano in tempo reale su quanto accade: 96mila senza luce nel distretto di Orleans, 85mila a Jefferson, 11mila a St.Bernard, 13mila a Lafourche, 200.000 in tutta la Lousiana.
In stato d’allarme rosso gli ospedali, anche se al momento non ci sono notizie gravi e non vengono segnalate vittime.
Il governatore della Louisiana, Bobby Jindal, ha spiegato che sono attesi “venti forti per almeno 36 ore”, poiché l’andatura dell’uragano è piuttosto lenta e la principale preoccupazione è legata a possibili inondazioni.
Isaac, infatti, è gonfio di pioggia e si prevede che ne rovescerà decine di centimetri ogni ora sui territori che attraverserà, che a loro volta sono cambiati notevolmente dal 29 agosto del 2005, ma che sono sempre a rischio inondazioni.
In tutta la zona di New Orleans è stato realizzato dai reparti del genio civile dell’esercito un sistema di dighe per centinaia di chilometri, con un investimento da oltre 13 miliardi di dollari.
I laghi della zona sono stati dotati di enormi pompe da 5.700 cavalli, undici, che secondo la definizione delle autorità locali sono in grado di riempire, o svuotare, una piscina olimpica in meno di cinque secondi.
L’uragano – spiegano i meteorologi – dopo essere passato su New Orleans, dovrebbe deviare verso ovest, investendo la città di Baton Rouge, capitale della Louisiana.
Come ci dice il Centro Meteo Italiano, gli uragani tendono a formarsi alle latitudini tropicali sopra la superficie marina caratterizzata da acque calde con una temperatura maggiore di 26-27°C.
Il calore e l’umidità che le acque marine forniscono alle sovrastanti masse d’aria crea i presupposti per la costruzione di imponenti ammassi temporaleschi e per la formazione di profonde depressioni con valori pressori particolarmente bassi.
Tuttavia ciò ancora non è sufficiente a generare un uragano. Infatti soltanto i sistemi depressionari che si sviluppano ad un certa distanza dall’Equatore sono in grado di evolvere in uragani; è necessario che la depressione tropicale nasca sopra i 5-7° Nord o Sud dell’ Equatore. Il motivo risiede nella Forza di Coriolis che impartisce un moto rotatorio all’intero sistema depressionario e ne contribuisce ad intensificare la velocità dei venti. Nel caso in cui una tempesta tropicale tenda a muoversi verso l’Equatore, l’annullarsi della Forza di Coriolis, implica una cessazione del moto rotatorio con una dissipazione del sistema stesso.
Ed gli uragani, un tempo assenti, sono divenuti frequenti in Europa, come, negli ultimi anni, hanno dimostrato Kiril e Emma, con rovesci torrenziali e raffiche di vento che hanno soffiato fino ai 220 km.
E c’è già chi parla di effetti dovuti a danni dell’ecosistema. La teoria secondo cui l’effetto serra starebbe provocando, conseguentemente allo scioglimento dei ghiacci, un addolcimento delle acque continentali, si collocherebbe in questo quadro apocalittico.
L’addolcimento delle acque oceaniche starebbe determinando un’interruzione di quel flusso intercontinentale marino qual è la Corrente del Golfo, con conseguente abbassamento delle temperature in Europa e America.
Le glaciazioni che si sono susseguite sul nostro pianeta sono più di cinque e tra l’una e l’altra sono intercorsi dei periodi lunghi migliaia di anni, con clima anche di tipo subtropicale nel Mediterraneo.
A questa anomalia termica si dovrebbe la successiva era glaciale.
Normalmente qualsiasi perturbazione proveniente dal nord Atlantico non porta mai gelo sui nostri paesi perché attraversa una parte d’oceano mitigata dalle acque calde della corrente.
Durante il corso di questo inverno, invece, per più di 40 giorni consecutivi abbiamo avuto diverse ondate di gelo e neve sul nostro paese. Tutto ciò potrebbe innescare una serie di mutamenti climatici dovuti al posizionamento dell’Anticiclone delle Azzorre più a nord e delle depressioni artiche nel sud Europa, determinando questa situazione: estati particolarmente calde sull’Europa (vedi gli anticicloni africani che si sono susseguiti a luglio ed agosto) e particolarmente fredde su nord Europa, sul nord America, Canada e Islanda, circondate da acque marine che gelerebbero per un allargamento della banchisa polare.
Conseguentemente si verificherebbe l’allargamento del fronte dei ghiacci polari e un generale crollo delle temperature europee e del Mediterraneo, decretando la fine della sua mitezza e l’inizio di un’era diffusa di uragani.
Tornando ad Isaac non è l’unico uragano con nome maschile, poiché, per molti secoli, gli uragani sono stati chiamati con il nome del santo cattolico festeggiato il giorno in cui accadevano (ad esempio l’uragano “San Felipe” ha colpito Porto Rico il 13 settembre 1876, nel giorno del santo), ma, dal 1953, poiché i servizio di previsione meteorologica militare assegnava nomi di donna alle tempeste particolarmente violente durante la Seconda Guerra Mondiale, la World Meteorological Organization, decise di dare a rotazione nomi femminili agli uragani.
Ma, nel 1979, le femministe chiesero di aggiungere nomi maschili e la richiesta fu accolta, sicché da allora la regola prevede nome maschile-femminile-maschile-femminile alternati.
E vennero aggiunti anche nomi francesi e spagnoli, per tener conto delle lingue usate nei paesi caraibici spesso colpiti da tali disastrosi eventi.
Lunedì, Isaac, passando dalle parti di Tampa, aveva fatto chiudere i lavori della convention repubblicana, subito dopo la passerella per Paul Ryan, il vicepresidente giovane, telegenico e ancora più a destra di Romney (il candidato designato a sfidare Barack Obama il 6 novembre), che si è espresso negativamente su alcune questioni etiche come l’aborto, ma soprattutto presentato come il paladino della riduzione del deficit e dello snellimento del governo, due priorità assolute per i conservatori statunitensi.
E mi viene da cortocircuitare Isaac con una eventuale vittoria del duo conservatore, che creerebbe, per gli USA, danni maggiori di ogni tipo di uragano, in politico interna ed estera, quanto ad economia e nei vari scenari di guerra.
L’immagine di questo uragano nelle scritte (su striscioni e magliette) di una pattuglia di oltre duecento seguaci del movimento Tea Party, la frangia più populista del partito, che incuranti dell’allarme piogge dell’uragano Isaac, si sono radunati alla Tampa Bay Church, per cominciare, a modo loro, con qualche hot-dog immerso nel ketchup e una collaudata serie di slogan anti-Obama, la grande festa repubblicana della convention.
E terribili le parole di politiche di spicco come le signore Stuart, Pelosi White, disposte a votare quasi chiunque non si chiami Obama e a rimandare quest’ultimo in Africa.
Carlo Di Stanislao
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