La parola mancante

“Mandai parole ai cicli, ai venti, ai mari, a tutte le dilagate forme dell’universo. Essi mi risposero in una rugiadosa lentezza d’amore per cui riposai su le arse cime frastagliate loro come su una selva di vento. Mi nacque un figlio dell’oceano” Lorenzo Calogero Simile ad un prisma che restituisce una luce differente a seconda […]

Mandai parole ai cicli, ai venti, ai mari, a tutte le dilagate forme dell’universo. Essi mi risposero in una rugiadosa lentezza d’amore per cui riposai su le arse cime frastagliate loro come su una selva di vento. Mi nacque un figlio dell’oceano”
Lorenzo Calogero

Simile ad un prisma che restituisce una luce differente a seconda del modo con il quale viene illuminato, il tema della “parola giusta” viene declinato nei saggi qui raccolti percorrendo alcune strade significative della riflessione contemporanea. Alcuni punti di riferimento emergono su tutti: le proposte di Karl-Otto Apel, Paul Ricoeur, Chaïm Perelman, Ferdinand Ebner, Martin Buber, Romano Guardini, Franz Rosenzweig, Emmanuel Lévinas. Autori che oggi non legge più nessuno.

La costruzione del parco, in origine immenso giardino della tenuta di Orsini, risale al 1552 e pone il visitatore dinanzi all’immensa grandezza di mostruose statue, sovrastate a loro volta da piante ed alberi secolari. Ma per comprendere appieno il significato del Giardino dei Mostri, nel parco sacro di Bomarzo, occorre esplorare a fondo la complessa figura del suo ideatore: Pier Francesco Orsini (1523-1585), detto Vicino, un legato della corte papale, ma, soprattutto un letterato che amava circondarsi di umanisti e filosofi, forse anche di alchimisti, appassionato di Ars Regia, che sentiva molto vicina la questione rinascimentale del “Ritorno ad Ermete”.

E che conosceva bene, per avervi più volte accompagnato il padre, i boschi di Bomarzo e del suo territorio, dove aveva visto le sculture che gli antichi abitatori, gli Etruschi in primis-, trasformazione di enormi massi erratici caduti dalle rupi di peperino, in altari, abitazioni, tombe, santuari, templi.

Così, divenuto adulto e a capo di una famiglia potente ed imparentata con gli ancora più potenti Farnese, fece costruire un magnifico palazzo (ancor oggi svettante sulla rupe di Bomarzo e sede del Comune) dal quale poter raggiungere un favoloso e immenso Giardino, realizzato con un’idea geniale: trasformare i giganteschi blocchi di peperino che giacevano inerti sul terreno, in figure parlanti agli eletti, affidandovi messaggi criptici, che per molti sarebbero state semplici bizzarrie, decorazioni capricciose della solita annoiata nobiltà, ma per chi sapeva discernere rappresentavano un percorso iniziatico dell’evoluzione umana.

Oggi quelle incredibili statue sono solo “bocche che cercano un grido”: figure orrifiche che non parlano più a nessuno, perché, come ha scritto dieci anni fa Dan Fante, la letteratura è un relitto e la parola è una vestigia muta di un tempo ormai andato.

A 23 anni, Pico della Mirandola, vuole A vuol proporre novecento tesi da discutere in un convegno di dotti, da radunare a sue spese a Roma. Ma il convegno non potrà aver luogo perchè la pubblicazione della sua tesi provoca la condanna da parte di una commissione di teologi e di giuristi, che le giudica eretiche,e l’apertura di un processo a suo carico. L’atto di sottomissione che fece il 31 luglio del 14 87 non gli lasciò tranquilla la coscienza, si ribellò apertamente e, per sfuggire alla cattura, lasciò Roma, mettendosi in viaggio per la Francia. Il suo arresto quando era già in territorio francese, vicino a Lione, suscitò clamorose proteste a Parigi, anche alla Sorbona, e Pico fu liberato con l’obbligo di lasciare il suolo francese nell’ estate del 1488. Se ne tornò a Firenze, accettando l’ invito di Lorenzo, che si adoperò inutilmente fino agli ultimi giorni della sua vita a fargli ottenere il perdono da Innocenzo VIII. L’ assoluzione dall’ eresia gli verrà, tardiva, da Alessandro VI il 18 giugno 1493, con la diciture “comprendiamo le tue parole”.

La sorella di Wittgenstein, per distrarre il fratello dal pensiero del suicidio, incaricò alcuni architetti di costruirgli una nuova casa seguendo le istruzioni del filosofo; il quale era così ossessionato dall’idea della perfezione che alla fine i poveri architetti rifiutarono l’incarico dicendo che è impossibile trasdurre in pietra la parola.

Invece questi tempi l’hanno fatto.

Eraclito racconta che due pescatori stavano seduti in riva al mare e siccome non riuscivano a pescare nulla, per ammazzare il tempo si spidocchiavano.

Per caso passò di lì Omero, che in quel tempo era il sommo tra i sapienti, e domandò loro come andasse la pesca. “Quel che abbiamo preso l’abbiamo buttato, quel che non abbiamo preso lo teniamo” risposero i due, riferendosi ai pidocchi.

Omero si allontanò, cercando in ogni modo di risolvere quell’enigma;, ma non riuscendo a comprendere quelle parole, per la vergogna si uccise.

Nel 1949, Foucault intraprese ben due terapie: la prima perché non riusciva ad accettare la propria omosessualità, la seconda perché era un etilista. E guarì, scrive, grazie alle sane parole dei medici a cui si rivolse.

Ma oggi non esistono né parole né taumaturghi in grado di guarire e di questo sia loro, che il mondo, sembra essere indifferente, come Hegel che, giunto dinanzi alle Alpi, restò indifferente all’imponente spettacolo, in perfetta sintonia col proprio pensiero secondo cui la natura rappresenterebbe una caduta, uno smarrimento dell’Idea, annotando sul suo diario queste: “dubito che il teologo più credulo oserebbe qui, su questi monti in genere, attribuire alla natura stessa di proporsi lo scopo dell’utilità per l’uomo, che invece deve rubarle quel poco, quella miseria che può utilizzare, che non è mai sicuro di non essere schiacciato da pietre o da valanghe durante i suoi miseri furti, mentre sottrae una manciata d’erba, o di non avere distrutta in una notte la faticosa opera delle sue mani, la sua povera capanna e la stalla delle mucche”.

Aristotele, così benevolo nei riguardi dei filosofi che l’hanno preceduto, mostra un’assoluta insofferenza verso Parmenide, perché, dice, “parole chiare e corrette”.

Prigioniero politico del Partito Comunista, senza il permesso di leggere e di scrivere, Lakatos racconterà di aver mantenuto la sua integrità mentale raccontandosi una barzelletta al giorno e ricostruendo una a una tutte le dimostrazioni matematiche che conosceva e Teofrasto si innamorò di Nicomaco, il figlio di Aristotele, per le parole che usava, morbide ed eleganti, che volavano nel vento, spingendosi dentro al cuore.

No, di tutto questo non vi è più traccia nel mondo, un mondo che concepisce solo la vendita, il guadagno ed il profitto e che è figlio non di Platone, o Dante o Shakespeare, che non vuole più conoscere né Céline né Borges, ma di quel tal Talete che secondo “La politica” di Aristotele, grazie alle sue conoscenze astronomiche e metereologiche, previde un abbondante raccolto di olive, fece incetta dei frantoi e in questa situazione di monopolio ricavò ingenti guadagni.

Nella sua dedizione a Dio, il filosofo Origene, per non essere traviato dalle inclinazioni sensibili, pensò di risolvere il problema alla radice: si evirò direttamente.

Meglio allora, per l’uomo moderno, dedito interamente all’edonismo più superficiale e immediato, privarsi di quello strumento infame che è la parola, che induce al pensiero e al ragionamento.

Origine, si dice, ebbe a pentirsi del suo gesto, ma l’afasia non ha ancora creato un pentimento nell’uomo metropolitano di questi tempi.

E in questo mondo senza parole, nessuno rivendica l’autentico potere creativo e donativo della parola che si rinnova e arricchisce ogni qualvolta viene rivolta a un Tu che diviene il mio interlocutore.

Mentre occorrerebbe recuperarlo questo senso profondo del nostro comunicare, parlare, interloquire.

Un senso per l’appunto “giusto” perché non si darà giustizia né pace se l’uomo non saprà pronunciare quella parola, la “parola giusta”, che accende l’amore nell’uomo permettendogli di aprirsi all’incontro con il Tu.

Carlo Di Stanislao

Letture consigliate

AAVV:

  • Brethon P.: Elogio della parola. Il potere della parola contro la parola del potere, Ed. Eleuthera, Milano, 2004.
  • Chamberlain D.:
  • D’Acunto G.: L’Etica della parola. La riflessione sul linguaggio di Paul Ricoeur, Ed. ETS, Roma, 2009.

  • Finizio L.P.: Arte, linguaggio e senso. Metaforica della visione e della parola, Ed. Bulzoni, Roma, 1986.

  • Hagège J.C.: L’uomo di parole. Linguaggio e scienze umane, Ed. Einaudi, Torino, 1989.

  • Nicolosi G.L.: Elias Canetti: la parola e la maschera. Individuo, massa, potere, sopravvivenza, pazzia e metamorfosi: le contraddizioni e gli impulsi del nostro secolo, Ed. Ipermedium Libri, Roma, 1995.

  • Oswald Y.: Il potere delle parole. Usa la forza del linguaggio per trasformare la tua vita, Ed. Il Punto D’Incontro, Roma, 2012.

  • Panigata G.: Sabbia. Il potere della parola, Ed. L?autore Libri, Firenze, 2005.

  • Vinci D. Zucal S. (a cura di): La parola giusta. Linguaggio e comunicazione tra etica ed ermeneutica, Ed. Il Pozzo di Giacobbe, Roma, 2008.

  • Virno P.: Parole con parole. Poteri e limiti del linguaggio, Ed. Donzelli, Milano, 1995. 

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