Una cosa è ormai certa: occorre trovare un accordo fra le posizioni di Berlino e di Bruxelles, fra la Germania della Merkel e la BCE di Mario Mondi, sulle regole del Fondo Salva Stati.
Nonostante il richiamo ad espressioni più caute e prudenti ripetute dalla Merkel all’indirizzo del “falchi” tedeschi, anche ieri due parlamentari, Klaus-Peter Willsch (Cdu) e Frank Schaeffler (Fdp), hanno sostenuto sul sito dell’Handelsblatt, quotidiano finanziario tedesco, che il presidente della Bce ha trasformato l’istituto in “un finanziatore di Stati e una bad bank” e affermato che l’unica ricetta possibile è introdurre una “nuova regolamentazione del peso dei voti nelle sedi decisionali Bce in proporzione alle responsabilità”.
Nel frattempo la Commissione europea, per bocca del portavoce Olivier Bailly, ha fatto sapere di non aver ricevuto alcuna richiesta da parte del governo greco per l’allungamento dei tempi del programma di austerità, per cui, per Bruxelles “resta valido” il memorandum d’intesa concordato in primavera e che “prima di discutere di altri aspetti che potrebbero esserci” dovrà essere la troika, che tornerà ad Atene “ai primi di settembre”, per valutare come sono state messe in atto le misure concordate nella missione di luglio.
L’altro ieri Mario Monti, con Francois Hollande, hanno incontrato di nuovo la Merkel, cercando di convincerla a sostenere le disperate richieste elleniche, a cui Berlino continua a rispondere con sovietici no.
La situazione è molto difficile e non solo per lo sfondo di recessione incombente, ma anche per il divario ogni giorno crescente, tra performance e rating del blocco tedesco e del resto dell’eurozona.
Inoltre, anche se la Commissione Europea continua ad elogiare il nostro governo, con plausi per la riforma delle pensioni, per il risanamento fiscale, per la riforma del mercato del lavoro, per la spending review; permangono in lei vive preoccupazioni perché il nostro Paese continua a non crescere e a perdere competitività, a fronte di un debito pubblico davvero gigantesco.
Mentre il presidente del Consiglio riprende il suo giro per l’Europa, per parlare di spread e incassare complimenti, il lavoro che resta da fare è davvero tanto e la Commissione è non poco inquieta per le prospettive delle elezioni del 2013.
Bruxelles, che ha già in Italia un “action team” per aiutare le autorità nostrane a rilanciare il mercato del lavoro e a meglio utilizzare gli ingenti fondi comunitari (il cui tasso di assorbimento è tra i più bassi dell’Ue), quest’autunno intensificherà ulteriormente la stretta osservazione del Paese.
Perché, spiegano dalla Commissione, “un conto è approvare le leggi, un conto è metterle in pratica”.
Infatti il primo punto all’ordine del giorno del monitoring Ue, è vedere se e come saranno applicate le normative varate, visto che molte leggi necessitano di decreti attuativi che in vari casi mancano. Altrimenti, tutto resta, come pare per ora, solo sulla carta.
E noi ci sentiamo di nuovi sui carboni e aspettiamo di vedere se l’abilità diplomatica e il senso di lungimiranza strategica (presente o meno, vedremo) dei protagonisti, potrà migliorare la nostra e la situazione del Continente.
Vedremo se Angela Merkel, che nelle ultime settimane aveva dato luce verde a Draghi, insisterà nella frenata contro le misure antispread o no.
Se cioè avrà più paura dei suoi elettori o del futuro dell’Europa intera, al cui centro è proprio la Germania. Vedremo se Hollande e Monti avranno “l’immaginazione al potere” necessaria nel difficile, duplice compito non solo di convincere la Cancelliera dei rischi aperti dalla linea dura ma di offrirle la via d’uscita d’una soluzione accettabile per l’opinione pubblica tedesca.
E vedremo se il governo farà il molto ancora necessario per rimettere in moto la macchina-Italia drammaticamente impantanata, con la Commissione che insiste dichiarando, a più riprese, che siamo in coda alle classifiche quanto a business friendliness: l’ambiente favorevole a imprese e investimenti.
E le perplessità europee, sono acuite, in questi giorni, dalle polemiche e le incomprensioni sulla legge anti-corruzione, già annacquata alla Camera dal Pdl e minacciata dallo stesso partito al Senato.
Come sintetizza Giovanni Del Re su “Linkiesta”, il governo ha attuato parte delle richieste dell’Ue, ad esempio il ridisegno dei distretti giudiziari e Bruxelles plaude all’idea del ministro Severino di una task-force per abbattere gli arretrati.
Ma, al contempo, vuole vedere in una netta velocizzazione dei processi civili e una maggiore specializzazione dei tribunali, per aumentarne l’efficienza e dare così maggiore certezza del diritto agli investitori.
E anche circa il mercato del lavoro, Bruxelles vuole vedere come sarà attuata, poiché, troppi lacci e laccioli, ancora continuano a vincolare le imprese, il costo del lavoro resta troppo elevato e la competitività troppo bassa.
E, ancora, non piace alla Commissione l’idea di Monti di porre fine alla concertazione che terrà continuamente in stato di allarme i sindacati ed insiste che si debba porre fine al collegamento automatico salari-inflazione, vincolando invece l’andamento degli stipendi alla produttività.
Circa la pressione fiscale, l’Ue e chiede un “ulteriore spostamento” dal lavoro ai consumi, giudicando anche qui solo come “un primo passo” quanto già fatto da Monti. Servono secondo Bruxelles, più incentivi per le startup mentre, si legge nel rapporto Ue, al momento “l’Italia ha (i più alti costi per avviare un’impresa, sette volte la media europea”.
Le startup per Bruxelles sono cruciali per l’occupazione in generale e per quella giovanile, più in particolare, questione su cui l’Ue chiede interventi molto più massicci, anche modificando i programmi delle scuole secondarie professionali, per renderle più rispondenti alle esigenze del mercato.
Ancora, Bruxelles vorrebbe vedere più convinzione da parte de l’Italia sulle liberalizzazioni, con molte più apertura alla concorrenza, anzitutto sul fronte dell’energia e dei trasporti (principalmente ferrovie e porti), ma soprattutto si augura che il lavoro di Monti possa procedere in modo sempre più accelerato, per ridurre le incognite del dopo voto e mettendo i futuri governanti di fronte a un fatto compiuto o comunque a impegni già presi.
Carlo Di Stanislao
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