Ogni volta che i medici scioperano o minacciano di farlo, si pensa che vogliono difendere un loro qualche privilegio. Ma è da tempo che quella medica ha smesso di essere classe privilegiata ed è asservita ad un potere politico ed economico sempre più intrusivo e soffocante.
Si lavora a ritmi infernali e con risorse sempre più esigue e, nonostante le fanfare giornalistiche, restando ancora nei primi posti (il secondo, per la precisione) circa la qualità del servizio erogato, a livello planetario e questo secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Ora, dopo le possibili modifiche richieste dalle Regioni al “decretone” Balduzzi, in attesa di trovare la copertura e della approvazione, prevista nel consiglio dei ministri di domani, i medici di famiglia ed i pediatri di base non digeriscono il fatto che, negli emendamenti, il medico convenzionato possa diventare dipendente, che le aggregazioni di medici non siano più obbligatorie e i tetti di spesa ai medici singoli e aggregati.
I medici dirigenti, invece, contestano l’affossamento del lavoro sul governo clinico.
“Le modifiche non cambiano la sostanza: il decretone sulla Sanità è la morte del medico di famiglia. Il problema è l’impianto generale di questa riforma che non tutela il rapporto tra medico e paziente. Questo ministro non ha mai ascoltato le istanze della categoria e più volte ha calpestato le esigenze professionali”, ha dichiarato il presidente nazionale del Sindacato medici italiani, Giuseppe Del Barone.
Il documento, scrivono nero su bianco Fimmg, Sumai e Fimp “per quanto riguarda la riforma dell’assistenza territoriale, testimonia l’incapacita’ delle regioni di formulare, pur nelle legittime autonomie, un progetto comune e coerente di sanita’ per l’Italia”.
La Commissione Salute delle Regioni, sottolineano, “ha scritto una brutta pagina della storia delle istituzioni italiane”. Ed evidenziano nel testo rivisto dalle Regioni “i conflitti di competenza e di potere” che “prevalgono sui contenuti, messi insieme in modo raffazzonato, come elenco dei desideri particolari di ciascuna regione, senza tenere alcun conto degli effetti devastanti che potrebbero determinare sui livelli e sulla qualita’ dell’assistenza soprattutto se riferiti alla difesa del diritto alla salute del singolo cittadino”.
“Non so dare altra spiegazione ai contenuti delle proposte degli assessori regionali se non quella che abbiano messo in atto una provocazione nella eterna lotta di competenze fra Regioni e governo in materia sanitaria”, ha sottolineato il segretario nazionale della Fimmg Giacomo Milillo, “un conflitto che, se arriva a concretizzarsi in questi termini, dovrebbe preoccupare tutti, dal presidente della Repubblica ai cittadini, al governo, ai parlamentari, ai partiti e ai movimenti”. E avverte: “La conflittualità della categoria con le Regioni subirà nei prossimi giorni un’impennata, e’ in dubbio ogni tipo di collaborazione: valuteremo ogni forma possibile di lotta per far valere le nostre ragioni e quelle dei cittadini ‘traditi’ dalle Regioni”.
Nella riforma, spiega Valerio Nori, dello Snami, “Si cerca per l’ennesima volta di integrare i medici di base con la guardia medica. Se ne parla da tempo nei nostri contratti, ma non è mai seguita una reale integrazione. Spetterebbe all’Asl formare un nucleo di cure primarie con medici e guardie mediche. Ma ciò significherebbe aumentare il numero di posti e costruire una nuova organizzazione: tutto ciò ha un costo che, peraltro, tocca alle Regioni”.
Comunque anche il decreto in sé, a parte gli emendamenti regionali, ha suscitato dubbi e critiche da parte dei medici. Su Quotidianosamita.it se ne trovano alcune che sono molto stringenti.
Il primo comma del decreto prevede che: “L’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività si attiene a protocolli diagnostico-terapeutici, a linee guida e buone pratiche elaborate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale, risponde dei danni derivanti da tali attività solo nei casi di dolo e colpa grave”.
Sinceramente la lettura della norma è, quanto meno, sconcertante. Qualcuno dovrebbe spiegare per quale ragione un medico che nella propria attività professionale “si attiene a protocolli diagnostico-terapeutici, a linee guida e buone pratiche elaborate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale” dovrebbe anche rispondere degli eventuali danni conseguenti?
Al contrario: un medico che “si attiene a protocolli diagnostico-terapeutici, a linee guida e buone pratiche elaborate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale” non risponde di nessun danno conseguente alla propria attività professionale! Né a titolo di dolo (è, quanto meno evidente) né a titolo di colpa (lieve o grave che sia).
Passando al comma successivo, si prevede: “Con decreto del Presidente della Repubblica, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro dodici mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro della salute di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentiti l’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA), le Federazioni Nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle categorie professionali interessate, anche in attuazione dell’articolo 3, comma 5, lettera e) del decreto-legge 13 agosto 2011, n.138, convertito con modificazioni della legge 14 ettembre 2011, n.148 (quello sull’obbligo per i professionisti di assicurarsi), al fine di agevolare l’accesso alla copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie, sono disciplinati le procedure e i requisiti minimi e uniformi per l’idoneità dei relativi contratti, in conformità ai seguenti criteri:
a) determinare i casi nei quali, sulla base di definite categorie di rischio professionale, prevedere l’obbligo, in capo ad un Fondo appositamente costituito, di garantire idonea copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie. Il fondo viene finanziato dal contributo dei professionisti che ne facciano espressa richiesta e da un ulteriore contributo a carico delle imprese autorizzate all’esercizio dell’assicurazione per danni derivanti dall’attività medico professionale, determinato in misura percentuale ai premi incassati nel precedente esercizio, e comunque non superiore al 4 per cento del premio stesso, con provvedimento adottato dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute e il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le Federazioni nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie;
b) prevedere che i contratti di assicurazione debbano essere stipulati anche in base a condizioni che dispongano alla scadenza la variazione in aumento o in diminuzione del premio in relazione al verificarsi o meno di sinistri e subordinare comunque la disdetta della polizza alla reiterazione di una condotta colposa da parte del sanitario.
In altre parole, per permettere a tutti i professionisti della sanità di trovare una copertura per i rischi professionali (di cui all’Omnibus del 2011) si prevedono alcuni criteri.
Da un lato si parla di istituire un Fondo a cui i professionisti che appartengono a “definite categorie di rischio professionale” (si pensa alle specialità più “rischiose”) hanno possibilità di trovare “idonea” copertura. Da un lato, questo fondo riguarderebbe solo i professionisti che ne fanno richiesta (quindi è a libera adesione) i quali verserebbero un contributo e, dall’altro, da una percentuale versata dalle imprese di assicurazioni (al massimo il 4%) in base ai premi raccolti nel settore nell’anno precedente (le quali verserebbero dei soldi in base ad un mercato che si restringe proprio in ragione della attivazione del nuovo fondo).
Insomma, secondo vari professioniste ed i sindacati più rappresentativi, il decreto in sé e gli emendamenti proposti, non fanno altro che acuire una già avviata opera di smantellamento (da Sirchia in poi) della medicina, con i cittadini italiani che si troveranno, di fatto, ad essere privati di una delle principali garanzie realizzate nel dopoguerra: il sistema sanitario nazionale e, con in più, un aumento del del controllo politico ed economico sui medici, non volendo riconoscere il loro ruolo e, più in generale, sulla economia (statale, regionale e locale) dedicata alla sanità, riducendo ogni spesa su investimenti e ricerca e riservando le scarse risorse esistenti a soddisfare esigenze e rapporti che poco hanno a che fare con lo sviluppo della erogazione di sanità nel nostro Paese.
Carlo Di Stanislao
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