Arrivata sul palco al ritmo di “Signed, sealed, delivered” di Stevie Wonder, vestita di rosa, con le spalle scoperte e galvanizza le migliaia di persone presenti alla Convention democratica di Charlotte, come aveva fatto, giorni fa, Clint Eastwood in quella Repubblicana e come aveva fatto Ann Romney a Tampa, ma con una ben altra tempra, e tocca tematiche familiari, parlando della sua famiglia e di quella di Barack “che non avevano molte risorse economiche, ma che ci hanno insegnato qualcosa di grande valore, l’amore incondizionato, la possibilità che avevamo di raggiungere quello che per loro era stato impossibile”.
Frase ad effetto certo, ma detta con occhi e voce sinceri, come sinceri erano i richiami alla coppia presidenziale, lei e Barack, un uomo e una donna molto simili, due anime gemelle che si sono amate da sempre credendo nei valori del sogno americano.
Poi Michelle, con un crescendo ben studiato, chiede ai presenti di farlo continuare quel sogno che le guerre e la crisi economica sembrano far vacillare e con un tono ed una postura da star consumata, interrotta dalle urla di tutti che gridano “four more years” (altri quattro anni), fa intendere chiaramente che solo col marito e la sua amministrazione questo potrà accadere.
E’ stata incantevole Michelle Obama ieri sera, soprattutto quando ha raccontato il profondo legame con il marito: “lo amo così come è, la prima volta che ci siamo incontrati le scarpe che aveva erano mezza taglia più piccola”. Non ha mai avuto dubbi, ero certa che sarebbe stato uno straordinario presidente”.
Insomma, la signora Obama per cercare consensi, in una campagna difficile in cui il presidente è testa a testa con l’avversario, preferisce concentrarsi sul “difficile passato” del marito piuttosto che sui programmi per la prossima presidenza (il primo mandato di Obama, infatti, ha ampiamente deluso le attese messianiche degli Stati Uniti che lo avevano eletto). E la cosa ha funzionato, tanto da essere soprannominata, nei network e sui giornali “la mamma d’America”, una nazione matriarcale e che, nonostante le apparenze, è più mammona della stessa Italia.
Raggiante ed ispirata, Michelle ha scosso la prima giornata della Convention di Charlotte e dettato lo slogan della campagna del marito, da qui a Novembre: lasciare alle future generazioni un sogno intatto ed una intatta fiducia verso il futuro.
Ma anche un altro, Julian Castro, nuova star ispanica del partito democratico, finora sconosciuto giovane sindaco di San Antonio un Texas, ha infiammato la giornata, pronunciando, a soli 37 anni, il keynote speech: il discorso politico più importante della convention, sintetizzando tutto il programma in una frase, felice e riuscita: “”non importa chi tu sia e da dove venga, il cammino è sempre aperto”.
La giovanissima neo-leader ha studiato nei migliori atenei d’America, Standford prima e poi la Law school di Harvard – come Obama – ed ha insistito moltissimo sul ruolo ed sull’importanza dell’istruzione e di un sistema universitario quanto mai aperto per il futuro del Paese, cosa che “il candidato repubblicano assolutamente non capisce”, ha detto, ricordando come Mitt Romney ha invitato gli studenti ad “avviare un’impresa” prendendo ”in prestito i soldi dai genitori”, piuttosto che dedicarsi agli studi (sempre meglio, comunque, del consiglio di Berlusconi, soprattutto alle giovani, dato pochi anni fa a “Porta a Porta”).
Castro, che, neanche a dirlo, nasce poverissimo, è stato presentata dal suo gemello, che è senatore nel Congresso del Texas ed è candidato alla Camera dei deputati alle prossime elezioni e che, fra striscioni con la scritta, in spagnolo, “Opportunidad” e scroscianti applausi, ha parlato delle “opportunità” che solo Obama può offrire.
Significato un passaggio del suo discorso, quando ha detto: “Qualcuno ha la fortuna di poter chiedere in prestito i soldi dai genitori, ma questo non dovrebbe determinare la possibilità di inseguire i propri sogni. Non in America”, accusando Romney di “voler non solo colpire il ceto medio, ma smantellarlo”.
Secondo Lettera43 e New York Times, Castro è la nuova voce di Obama, la risposta dei democratici a Marco Rubio, il giovane senatore della Florida, di origine cubana, che ha sperato invano di essere scelto da Mitt Romney come candidato vicepresidente.
Ma pronunciare il keynote speech ha anche un valore che va al di là della manifestazione stessa: basti ricordare che il candidato alla Casa Bianca, John Kerry, nel lontano 2004, per tenere questo stesso discorso, alla sua convention di Boston, scelse proprio Barack Obama, allora sconosciuto senatore statale dell’Illinois.
Non a caso, Romney, alla convention di Tampa, ha affidato questo incarico al popolarissimo governatore del New Jersey, Chris Christie.
La scelta di Castro è una nuova tessera nel puzzle in costruzione in un partito, come quello democratico, attento al mondo progressista e alla tutela dei diritti civili.
Non solo Latinos in prima fila, ma anche i diritti dei gay: per la prima volta nella storia, il matrimonio tra persone dello stesso sesso dovrebbe fare parte della piattaforma del partito. E infine, un occhio di riguardo al mondo liberal.
Si dice che ha altri assi da giocare Obama in questa convention alla Time Warner Arena di Charlotte, davanti a oltre 5mila delegati e altrettanti invitati e osservatori, ancora un uomo ed una donna.
Sono infatti attesi Bill Clinton e Liz Warren, icona della sinistra americana, ex assistente economica di Obama, candidata al Senato del Massachusetts e ideatrice del Consumer Financial Protection Bureau, una sorta di osservatorio per difendere i cittadini dagli abusi della finanza.
Assi per convincere l’America migliore a votare compatta per lui e non far emergere quell’altra, quella del pastore Terry Jones, che sarebbe uno dei tanti semplici predicatori di provincia negli Stati Uniti, guida una piccola chiesa a Gainesville, la città universitaria e progressista dove ha sede l’Università Statale e dove, forse pochi sanno, fu inventata la famosa bibita “Gatorade” (che prese il nome, per l’appunto, dal “gator”, alligatore, simbolo dell’università locale); se pochi mesi fa, non avesse raggiunto la ribalta nazionale ed internazionale quando, come segno di protesta nei confronti del Presidente Obama e della sua politica “troppo tollerante” nei confronti del mondo arabo minacciò e infine organizzò il “Burn a Coran Day”, in cui numerose copie del libro sacro dell’Islam vennero bruciate nel cortile della sua chiesa, creando scompiglio e indignazione a livello planetario e, poche settimane dopo, nello stesso cortile, aveva esposto un’effige del Presidente Obama “impiccato” a un patibolo con la scritta “Obama sta uccidendo l’America”.
Tornando a Julian Castro, è allo stesso tempo giovanissimo e navigato, nella sua città è accreditato come una persona capace di piacere a tutti e di riuscire ad affrontare i problemi in maniera costruttiva, tanto che San Antonio, la settima città per abitanti negli Stati Uniti, è una delle poche in controtendenza che ha retto alla crisi e che sembra in ripresa e che Castro è stato eletto per il suo secondo mandato con un clamoroso 82% che travolge i tradizionali confini tra repubblicani e democratici.
La storia di Castro e del gemello Joaquim è tipicamente americana e in parte sovrapponibile a quella di Obama. Cresciuti da una madre sola quanto energica, i due sono riusciti a compiere gli stessi studi percorsi da Obama nelle stesse prestigiose istituzioni, riuscendo più o meno a primeggiare in ogni occasione. Se Julian oggi è sindaco di San Antonio, suo fratello è è deputato nel Congresso del Texas e potrebbe essere eletto a quello di Washington il prossimo anno, tutti e due sono dotati di una passione per la politica sviluppata grazie alla full immersion alla quale li sottoponeva la madre, che era anche attivista e leader del partito nazionalista la Raza Unida.
Ma non si pensi (l’America è complessa) a qualcosa di nazista o suprematista, ma piuttosto alla espressione, negli anni ’70, della difesa dei chicanos e dei nativi come detentori di diritti usurpati in Texas dai colonizzatori imperialisti, tanto che uno dei suoi cavalli di battaglia è quello di descrivere Alamo in maniera diametralmente opposta dalla pubblicistica nordamericana.
Oggi l’associazione si è trasformata in un’organizzazione di base dedita a fornire assistenza alla comunità di riferimento e ha abbandonato le pretese elettorali, ma questi trascorsi consegnano ai gemelli Castro una vulnerabilità che sicuramente troverà l’attenzione degli avversari politici, che contro Obama hanno utilizzato qualsiasi dettaglio della sua storia familiare.
Ma, per i democratici, Castro non è solo un potenziale canale d’accesso al voto latino nelle incombenti presidenziali, è soprattutto il candidato con le carte e immagine migliore che ci sia in campo.
Origini modeste, ma ben integrato nel sistema americano, capace di essere cattolico pur essendo capace di dire sì all’aborto (“Io e il Papa non siamo d’accordo su questo punto”), sostenitore delle affirmative actions a sostegno delle minoranze, a sostegno delle quali si è sempre speso con riconosciuta efficacia senza timore d’esporsi.
Una vera boccata d’ossigeno per un’amministrazione, quella di Obama, che si presenta all’esame dell’elettorato latino con un record d’espulsioni di centro e sudamericani più elevato di quello di Bush e con leggi che hanno letteralmente seminato il panico in centinaia di migliaia di famiglie, tanto che proprio Castro è stato uno dei più ferventi sostenitori di una modifica a tutela dei minori e dell’integrità di situazioni famigliari critiche.
Come con la guerra è stato più bushista di Bush, inattaccabile a destra, più vulnerabile a sinistra.
Carlo Di Stanislao
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