Per L’Aquila tre anni sono stati come un solo giorno e le emergenze sono tutte al punto di partenza; per una serie di responsabilità interne ed esterne che, comunque, hanno fatto sì che la città (ovvero ciò che ne resta) viva ancora le conseguenze del disastroso terremoto.
Per questo motivo Emergency ha scelto la Piazza Duomo del capoluogo abruzzese, che sembra addormentato fra rabbia e depressione, per il suo 11esimo incontro nazionale, fatto di conferenze, dibattiti, musica e spettacoli, per parlare dei diritti disattesi in Italia e nel mondo e della sua storia, meteriata da progetti umanitari e impegno civile, lunga 18, tenacissimi anni.
Si è cominciato ieri 6 settembre alle 21, con un incontro pubblico nella immensa tensostruttura tirata su in tempo record, di fronte al Duomo, nell’area che chiamavamo “piè di piazza”, con un dibattito moderato da Corradino Minneo, a cui hanno preso parte, fra gli altri, Cecilia Strada, Giancarlo Caselli, Maurizio Landini, Vauro e Don Pino De Masi, seguito da un bel concerto di Miriam Foresti.
E stasera, sempre nella struttura rimovibile da 1.600 posti, si va avanti con un incontro con Lella Costa ed altri illustri ospiti, fra cui: Gino e Cecilia Strada, Erri De Luca, Frankie Hi-Nrg, Ascanio Celestini e Alessandro Bergonzoni, per parlare di emergenze e di come affrontarle e superarle.
Sabato 8, infine, un concerto con Marina Rei, Paola Turci, Frankie Hi-Nrg, Fiorella Mannoia ed il gruppo Vega’s, non per finire cantando, ma per pensare mentre si canta.
Intanto la città si è come rianimata, almeno in parte e per effetto di una sorta di riviviscenza che sembrava annullata in questi ultimi mesi, mesi invece cruciali, per chi si candida, nel 2019, a Capitale europea della cultura.
Oltre a Piazza Duomo, si animano di nuovo corso Vittorio Emanuele, dove in questa tre giorni si possono acquistare e gustare i prodotti tipici d’Abruzzo e dell’Aquila e San Bernardino, dove è stata allestita una piccola area gastronomica aperta a tutti, con circa 350 posti a sedere al coperto e un’area bar che resterà aperta anche la sera dopo gli spettacoli.
Una bella occasione per molti, per ritrovare o scoprire monumenti, palazzi e siti, che conservavano la memoria artistica di una storia illustre e che oggi sono sorretti da un lungo intrecciarsi di pali e impalcature.
Ma anche per mettere a nudo i pali, resi fragili dal tempo trascorso, che sorreggono una popolazione stremata ed amareggiata, ma che ancora ci crede nel futuro, perché conserva forte il ricordo della sua identità.
Se in Italia siamo immersi nella crisi dal 2008, questa è divenuta più acuta ed insopportabile dall’anno dopo per noi aquilani.
Ma ciò che trovo insopportabile (ogni giorno, in modo crescente), e non riuscire ad immaginare un futuro oltre la crisi, che non è soltanto un peccato di poca fantasia. È anche un limite grave e concreto affinché una nuova realtà possa seriamente affacciarsi.
E questo è vero sia per il singolo con la sua realtà circostanziale, che per la collettività, cioè a livello sociale, di nazione, di città, di civiltà. La soglia che ci separa dall’oltre la crisi è anche il confine con il desiderio, con il non-ancora-realizzato, con l’esercizio della libera immaginazione, con il luogo dell’utopia. Se la crisi soffoca, a fantasia libera; ma non vedo davvero nessun opinion-leader (dentro e fuori dalla città) che si impegni ad usarla la fantasia.
Ed allora, in controtendenza, voglio farlo io questo sforzo, voglio immaginare che l’uomo di oggi (a partire da quello aquilano), abbia e immediato bisogno di recuperare un senso più alto e più ampio dell’ esistenza: non soltanto pane, case e monumenti, ma anche occupazione, prospettive e, soprattutto, bellezza.
La famosa piramide di Maslow, secondo cui soltanto dopo aver assolto ai bisogni primari (alimentazione, protezione) è possibile far emergere bisogni non-primari (autorealizzazione), ha forse sottovalutato l’enorme potere che la bellezza esercita sull’animo umano. La ricerca della bellezza è ciò che io immagino per l’Uomo di oggi, sempre che egli abbia l’aspirazione a diventare anche l’Uomo di domani. Non basteranno i comitati di bioetica a governare il futuro, ad instradare le nuove applicazioni di intelligenza artificiale, le tecniche di bio-ingegneria genetica, le frontiere delle nanotecnologie, i cambiamenti climatici mondiali, i processi di de-materializzazione della nuova cultura digitale.
E non basteranno soldi e leggi per ricostruire la nostra città e noi stessi, perché saremo travolti dalla nostra stessa miopia, se non se non sapremo dotarci per tempo di una luce in grado di orientarli lungo nuovi punti di riferimento.
E questa luce, immagino, possa essere soltanto la ricerca della bellezza, di cui abbiamo bisogno come di pane, una bellezza che il terremoto sembra aver oscurato, ma che a sprazzi riemerge, nelle tele del nostro Vincenzo Bonanni o nei festival musicali organizzati dal Maestro Agostino Valente.
La bellezza di cui parlano, da punti di vista diversi, Errico Centofanti e Monsignor Antonini, quell’anelito potente capace di ispirare la gente comune e gli statisti, le persone semplici ed i grandi imprenditori, che è di fatto musa d’ogni nuovo progetto e di ogni innovazione, nutrimento della speranza, per tutti.
Perché tutti hanno bisogno di bellezza, perché è lei che fa battere i cuori, fa scorrere il sangue che altrimenti si prosciugherebbe come sabbia e ricostruisce i luoghi, le nazioni, le comunità.
E nel mio piccolo, assieme ai professionisti e al consiglio dell’Istituto Cinematografico Lanterna Magica de L’Aquila, voglio adoperarmi per diffondere questa bellezza, attraverso il cinema che è gioia ludica e reminiscenza di bellezza, che riesplode improvvisa nelle menti degli spettatori, perrchè, come ha scrittto Roberto Saviano (che è anche grande cinefilo), in “La bellezza e l’inferno: il cinema secondo Saviano”, er per capire la contemporaneità è necessaria sia la capacità di cogliere la distanza tra cinema e vita che la voglia di farne oggetto d’analisi profonda, perché, come ci insegnano i grandi di questa arte (Fellini in testa, mai poi Truffaut e William Powell e molti altri), la contraddizione tra l’immagine eterna del personaggio e quella mortale dell’attore è il fascio di luce che fende l’oscurità, illuminando appena gli altri spettatori, con un lieve chiarore per cui niente è ombra, in cui sul viso di ogni uomo si dipingono paure e desideri e ogni minima espressione è un’autentica opinione, una reazione che cogliamo per capire noi stessi, il nostro reale, le angosce ed il loro superamento.
Carlo Di Stanislao
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