“Cambiare per restare, restare per cambiare”, e ancora “il diritto del lavoro contrapposto alla cultura del favore”: sono questi i punti intorno ai quali si è articolato il dibattito che ieri sera si è tenuto presso la tensostruttura allestita appositamente per l’evento “Emergenza Italia” a Piazza Duomo. L’Aquila torna al centro dell’Italia con Emergency che ieri sera ha aperto l’undicesimo incontro nazionale dell’associazione italiana, che offre cure medico chirurgiche a chi non può permettersele in ogni parte del mondo, da qualche anno anche in Italia.
“È doveroso prima ancora che bello, – ha affermato Gino Strada, il fondatore di Emergency – che la nostra associazione viva vicino a chi soffre e credo che le persone dell’Aquila, di questa regione, abbiano subito un duro colpo e stiano ancora pagando molto le conseguenze. Per cui ci è sembrata la città ideale per l’incontro nazionale di Emergency”.
Presenti al dibattito, moderato dal direttore di Rainews Corradino Mineo, il fondatore e la presidente di Emergency Gino e Cecilia Strada, il magistrato antimafia Gian Carlo Caselli, il Segretario nazionale della Fiom Maurizio Landini, il vignettista Vauro, Don Pino De Masi referente Libera di Gioia Tauro e il Sindaco dell’Aquila Massimo Cialente. “Occasioni di questo tipo sono preziose, perché permettono di guardarsi in faccia”: ha spiegato Corradino Mineo.
Questo incontro nasce per definire l’impegno di Emergency in campo medico in Italia, un “ritorno” dell’associazione nella sua terra natia che dal 1994 , da quando esiste Emergency, ad oggi, ha cambiato il proprio volto ed è sempre più simile ai luoghi in cui l’associazione ha sempre operato. Luoghi di guerra, di fame, di miseria, di povertà. E’ Cecilia Strada, presidente di Emergency e figlia di Gino Strada, ha spiegare il perché della nuova missione di Emergency in patria.
“In Italia Emergency si trova drammaticamente a suo agio – ha detto Cecilia Strada – Come il terrorismo nasce dalla miseria e per eliminarlo bisogna dare diritti e istruzione, allo stesso modo in Italia la cultura del favore può essere debellata con più diritti”. È stata una triste sorpresa per Emergency tornare in Italia e trovare che nove milioni di persone non possono permettersi il ticket, come riporta l’ultimo rapporto del Censis. “Non ce lo saremo mai aspettati che il campo dei diritti si restringesse sempre di più”: ha spiegato la presidente di Emergency. In Italia Emergency ha due ambulatori fissi a Palermo e Marghera e due mobili che si spostano su tutto il territorio nazionale. La figlia del chirurgo di guerra racconta che non sono solo clandestini o immigrati, le fasce più deboli della società a rivolgersi alle cure gratuite da loro offerte, ma anche italiani, quella fetta di concittadini che si sta impoverendo, come il disoccupato veneto che va nei loro ambulatori per curarsi i denti o la donna siciliana incinta che deve partorire e non può aspettare la fila dell’ospedale pubblico. Storie di ordinaria disperazione nell’Italia che non conosce più il benessere se non per pochi, nell’Italia della disoccupazione giovanile al 35 %, nell’Italia della non speranza nel futuro, nemmeno in quello del giorno dopo.
Parla di diritti anche il magistrato Gian Carlo Casello, altro ospite d’eccezione della serata, che descrive uno scenario nero per la democrazia in un paese in cui i diritti sono negati, primo fra tutti quello al lavoro , “che non c’è – ha spiegato Caselli – e quando c’è è precario o nero”.
“Siamo arrivati al punto che una persona deve difendere un lavoro di merda”: ha affermato un tragicomico Vauro riferendosi ai minatori dell’Alcoa. Un periodo cupo anche per la magistratura che viene attaccata quando colpisce potenti e persone altolocate, spiega Caselli, con chiaro riferimento all’ “aggressione” in corso verso la Procura di Palermo che sta indagando sull’inchiesta Stato-Mafia. “Un lavoro così fatto dovrebbe essere rispettato e non lo è”: ha continuato Caselli. Esisterebbero così per il magistrato dell’Antimafia “due codici in Italia, uno per le persone considerate per bene a prescindere e uno per i cittadini comuni che non contano nelle alte sfere. La legge non è uguale per tutti”.
Che l’Italia del boom economico sia solo un bel ricordo da cartolina è chiaro anche al Segretario nazionale della Fiom Maurizio Landini.
“I lavoratori non sono stati rappresentati in questo paese e se la gente non si interessa di politica è perché – ha spiegato Landini – la politica non si interessa di loro”. Il problema per Landini è il lavoro e se non si riparte da quello l’Italia non cambia. “Il problema è che una persona pur lavorando è povera, lo dice anche la Merkel – ha ricordato il Segretario Fiom – il lavoro che produce ricchezza è stato cancellato”.
Per Landini “bisogna rimettere al centro il lavoro”, ma per farlo è necessario eliminare il cancro dell’Italia, la Mafia o meglio “la cultura del favore” che è la negazione del lavoro e dei diritti. Ne ha parlato ieri sera durante l’incontro uno dei protagonisti della lotta alla ‘ndrangheta in Calabria Don Pino De Masi, Vicario Generale della Diocesi di Oppido-Palmi e referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro.
La terra di Don Pino è la terra di “uomini senza”: così inizia a descrivere la Calabria il parroco dell’antimafia. “La Calabria è la terra degli uomini senza diritti, senza lavoro, senza sanità, senza cittadinanza e per i giovani senza il diritto a vivere nel loro territorio”. Una buona sintesi dei mali dell’Italia a cui si aggiunge la “cultura del favore” che, se nei luoghi tradizionalmente mafiosi è maggiormente vincolata alla mano armata della criminalità organizzata, in tutta Italia è comunque ancora oggi lo strumento più diffuso e facile per accedere ai diritti.
La mentalità della delega, della rassegnazione, della raccomandazione e del favore sta bloccando la diffusione dei diritti. Di fronte a ciò Don Pino porta l’esempio del riscatto: il lavoro che nasce nelle terre confiscate alla Mafia, la nascita di cooperative di giovani a Gioia Tauro che portano la speranza del cambiamento.
La stessa speranza che L’Aquila ha in grembo da tre anni e mezzo e che tenta di concretizzarsi ogni giorno. “La situazione è migliorata rispetto a un anno e mezzo fa quando era desolante, – ha affermato Corradino Mineo – ma rimane una delle vergogne della comunità nazionale non essere riusciti a garantire che la città risorgesse dov’era in tempi rapidi”. Per il vignettista Vauro esistono invece segni di speranza all’Aquila, che tuttavia non cancellano il contesto di “guerra” della città terremotata.
“Ho visto una situazione da una parte molto bella, una piazzetta piena di giovani che si rimpossessano di un luogo, – ha detto Vauro – ma intorno c’è l’Aquila di tre anni fa, c’è un conflitto visivo/visibile tra la voglia di vivere della gente e una città che come struttura è rimasta ferma e spiaccicata all’identità del terremoto”.
“A noi hanno tolto il diritto di rialzarci in piedi”: così il Sindaco Cialente spiega quali sono i diritti che mancano all’Aquila.
“Siamo fermi con due miliardi in tasca”. È un Cialente, quello di ieri sera, che di fronte a ospiti nazionali non perde l’occasione per criticare gli aiuti esterni: “quando sono venuti tecnici e commissari è stato peggio, facciamo meglio da soli”, ha detto rivolgendosi alla platea. Il Sindaco ha descritto l’Aquila come “una città alla fame, segnata da un’improvvisa povertà che ha colpito persone che non sapevano cosa fosse”.
Dall’Aquila all’Italia il passo è breve. Ancora una volta la città da ricostruire diventa metafora di una nazione da rimettere in piedi. Emergency ha proposto ieri sera la sua ricetta, ma per uscirne bisogna imporre quella che Vauro, riferendosi ai giovani che provano l’ebbrezza della normalità nella piazza davanti allo storico locale “Ju Boss”, ha definito “l’ostinazione alla bellezza”.
Lisa D’Ignazio
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