A maggio sembrava che, dopo mesi di risolutezza e rigore, il governo tecnico di Mario Monti scoprisse di “avere un cuore”, (per riprendere una frase dell’allora viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli )e, soprattutto sembrava in piena coscienza sulle ricadute delle misure anti-crisi sulle fasce deboli del Paese. “La riforma delle pensioni è stata molto dura e ha creato dei problemi a molte persone e molte famiglie”, dichiarava il ministro della Salute, Renato Balduzzi, che avvertiva: “E’ un momento di difesa: attenzione alle fasce fragili” e il ministro Passera (il più politico di tutti), gettava l’allarme su possibili ribellioni anche violente da parte della popolazione.
Ma nulla è accaduto in più di tre mesi: né si sono ridotti risolutezza e rigore, né il popolo, a parte qualche schiamazzo, ha fatto la rivoluzione.
Il fatto è che l’italiano medio strepita e si adatta e non ha davvero una tempra rivoluzionaria, soprattutto perché siamo un paese delle cicale che non vogliono diventare formiche e che sperano, primo o poi, non di toglierle le caste con i loro privilegi, ma di entrarne a far parte.
Seguendo il filo del déjà vu, temo per l’Italia, che già ha conosciuto il populismo peronista di Berlusconi e un Monti di stampo “chavista”, si avvierà (nonostante tutti i sacrifici) al redde rationem nel tempo necessario ai mercati per completare lo squeeze ai danni di debito e istituzioni, mentre ai politici tutti, non interessa governare o trovare soluzioni, ma solo escamotage per garantire se stessi.
Alla fine, temo che, nonostante i buoni proposti (da filo-banchiere e non da amico dei popoli e delle nazioni) di Mario Draghi, i tedeschi non accetteranno di essere annacquati in salsa mediterranea, sicché, anche se non faremo come la Grecia che elemosina ad ogni portone, finiremo con un’OPA, speriamo la meno ostile possibile, di quella parte di penisola che è più ricca e si considera meritevole, nei confronti della’altra, nefanda, che servirà solo per la mano d’opera e per estensione e sbocco a mare dei novelli Asburgo. Un po’ come quella che fece Kohl sui fratelli dell’Est a suo tempo. E sappiamo che spesso, la storia si ripete.
Non mi pare, pertanto, l’inizio di una nuova posizione sociale, più arrabbiata e meno disposta ad aspettare, il ritrovamento di otto candelotti con esplosivo ai piedi del traliccio Terna, che fornisce l’elettricità a Iglesias,vicino allo stabilimento Alcoa di Portovesme, perché, intanto, dopo quattro giorni passati a 70 metri d’altezza, i tre operai dell’Alcoa (di cui con problemi cardiaci), sono scesi dal silos dell’acqua e i colleghi, con i sindacati, si limitano a minacciare il perdurare della lotta.
E mentre Alcova continua a ribadire di non aver ricevuto alcuna offerta, si continua a scrivere che le trattative per l’eventuale cessione dello stabilimento viaggiano su due canali differenti e paralleli, uno imprenditoriale e uno istituzionale e, sfumata l’ipotesi del Fondo Aurelius, Governo e Regione Sardegna stanno tentando di aprire un negoziato con Glencore, mentre l’Alcoa ha ancora aperti contatti con Klesch.
Il governo ha promesso, mo solo come possibilità, otto miliardi per i giovani e uno per i poveri, ma, di sicuro, giovani e poveri, di quei miliardi, ad oggi, non hanno visto nulla.
Il 6 settembre, il sempre poco cauto Squinzi, ha detto che sul lavoro vi sono ancora troppe promesse e poche cose in cantiere, sicché, nell’incontro previsto per lunedì 11 settembre con i sindacati, sono essenziali gli interventi sulla produttività del lavoro, perché nel documento da loro consegnato ad agosto al governo, le imprese chiedono di ridurre il cuneo fiscale e contributivo, rafforzando la detassazione dei premi di produttività e degli straordinari.
Temi su cui il governo non si è esposto, con il nodo delle risorse, che, secondo tutti, Grilli in testa, scarseggiano.
E ciò pesa anche sugli interventi per innovazione e ricerca, due settori che potrebbero contribuire in grande misura nel ridurre la disperante disoccupazione giovanile.
Infine, per le imprese serve il credito di imposta, ma, anche ieri, in una nota di Palazzo Chigi, il governo ha fatto un accenno solo all’Agenda digitale.
Occorre poi, e non a “babbo morto” e molto prima di fine anno, varare la delega fiscale, recepire ed attuare la direttiva Ue sui pagamenti della Pa entro novembre, assumere l’impegno di non aumentare l’Iva l’anno prossimo, con, inoltre, meccanismi di detassazione sulle infrastrutture.
Solo con queste risoluzioni in premessa il Governo potrà avere il sostegno degli imprenditori e il cavallo, l’erba per campare, potrà trovarsela finalmente a portata di muso.
Su L’Espresso del marzo dell’ormai lontano (per noi aquilani lontanissimo, prima del terremoto) 2009, in un post dal titolo “Perché non scoppia la Rivoluzione in Italia? Consigli pratici per cambiare noi stessi e la nostra società”, si concludeva che accorerebbe riprendersi indietro il potere, togliendolo dalle mani delle elite e poi darlo di volta in volta, per un breve periodo di tempo, nelle mani di un cittadino onesto, intelligente e preparato per realizzare un progetto, creando il “politico a progetto”, o qualcosa del genere.
Bene, questo è avvenuto, in fondo, grazie a Napolitano, con i tecnici al governo ma, come si vede, non ha cambiato di molto le cose perché, la vera questione, non è solo legata alle persone, ma anche e soprattutto ai programmi e alle idee.
Insomma si tratta di elaborare e condividere i progetti, prima di pensare alle persone più utili per portare a termine certe idee.
Carlo Di Stanislao
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