L’attrice senza più sorriso; il vecchio che ha vissuto una vita in attesa; l’uomo che ha conosciuto l’amicizia che salva oltre la vita; la donna che racconta solitudine e al ritmo di un fox si abbandona ai suoi ricordi; la bambina di Auschwitz a cui hanno cancellato perfino il nome… Sono alcuni dei protagonisti delle storie narrate da Angela Mancuso e raccolte nel volume “Il fox della luna” (Ibiskos editrice, € 11,00) che concorre alla terza edizione del Premio Letterario “Torre dell’Orologio” di Siculiana (AG).
Il titolo del racconto e della raccolta è molto singolare… ce lo può spiegare?
“Il fox della luna” è una celebre aria tratta dall’operetta “Il paese dei campanelli”. Nell’omonimo racconto la protagonista, appassionata di operette, ne canticchia una strofa, perdendosi con nostalgico trasporto nei ricordi del passato, legati alla gioventù perduta, alla bellezza ammirata, all’amore pienamente vissuto. Questo racconto, ricco di suggestioni musicali e poetiche, mi sembrava particolarmente adatto ad aprire l’intera raccolta e a dare ad essa il titolo.
I personaggi delle sue storie sono più “incontrati” e “sfiorati” nella quotidianità o più immaginati?
I miei personaggi più che “incontrati” sono “sfiorati” nella quotidianità, ed essi stessi sfiorano la quotidianità. Le loro storie sono verosimili, il loro sentire comune. Chiaramente la componente immaginativa è molto forte, nel senso che stimoli e suggestioni reali rappresentano il punto di partenza per sviluppare percorsi narrativi in cui storie e figure risultano fortemente trasfigurati.
Quali paesaggi siciliani attraversano?
Chiunque scriva racconti o romanzi o poesie, chiunque componga una canzone o dipinga un quadro non può non mettere nella sua opera, oltre a se stesso, qualcosa della terra in cui è nato. Noi siamo figli di quella terra, della sua storia, della sua lingua, delle sue tradizioni, modi di dire e abitudini. E noi, in particolare, siamo infarciti, imbevuti di sicilianità. Una sicilianità fatta di passionalità, di ironia, di contraddizioni, di tutti quei colori e quei sapori che ci contraddistinguono, di quei paesaggi variopinti ed estremi che riempiono i nostri occhi e ricevono i nostri passi. Diceva Gesualdo Bufalino che le sicilie sono tante e che non finiremo mai di contarle. Nei miei racconti c’è tanta Sicilia e tanti suoi paesaggi, che non sono solo naturali, ma anche poetici, letterari, metaforici e ricchi di memorie. C’è la “Storia di Salvatore Siciliano detto Sasà”, che è metafora di un popolo che ha visto la propria terra conquistata, depredata, violentata da mille dominatori. Un popolo che mai, però, ha perso la sua dignità, il suo orgoglio, la sua fierezza. C’è “In cerca della Mèrica”, che è la storia dei tanti figli che hanno dovuto lasciarla e partire in cerca di fortuna, in cerca di lavoro, per i quali questa terra è stata madre avara e crudele. C’è un aeroporto, “Fontanarossa”, per arrivare al quale devi conoscere la strada a memoria perché altrimenti ti perdi. Ci sono personaggi buffi, grotteschi, di pirandelliana memoria, come il “Cornelio” dell’omonimo racconto. E poi ci sono quei proverbi antichi, radicati, così colorati e incisivi da dire tutto, come nel racconto “Nuttata persa e figlia fimmina”. Tante sicilie, dunque. Non si finirà davvero mai di contarle.
Come insegnante che “Sicilia” sta vedendo crescere sotto i suoi occhi?
Il mio lavoro di insegnante mi porta ogni giorno, ogni anno, a contatto con giovani che hanno una fascia di età compresa tra i quattordici e i diciannove anni. E’ un’età difficile, di formazione, di preparazione, in cui si nutrono sogni e aspettative. Stiamo parlando, naturalmente, di giovani siciliani, che crescono in una terra che offre ben poche prospettive per il futuro. Se mi chiedete che Sicilia sto vedendo crescere devo rispondere che continuo a vedere una realtà povera e abbandonata. Ma se mi chiedete che tipo di siciliani vedo crescere, allora rispondo che i ragazzi, i giovani, contrariamente a quanto si crede e a dispetto dei tanti luoghi comuni, sono pieni di ideali e di voglia di fare. Sono puliti e fiduciosi e pronti a lottare perché qualcosa cambi in meglio. Se noi adulti offrissimo esempi migliori di onestà e di giudizio potremmo davvero contribuire a far sì che il cambiamento si realizzi e soprattutto a fare in modo che in questi giovani non subentri presto la disillusione e la sfiducia. Ma il cambiamento deve realizzarsi, prima di tutto, nelle nostre coscienze.
In quanto tempo ha scritto e poi assemblato i racconti? Che cosa suggerisce ad un certo punto di fermarsi e pensare alla pubblicazione?
I racconti brevi contenuti in questa raccolta sono il frutto di un lavoro durato circa quattro anni. Non si è trattato di un lavoro di scrittura sistematico e continuo. Nata come hobby, la passione per la scrittura all’inizio non era “consapevole”, nel senso che non pensavo ad eventuali pubblicazioni e per molto tempo lasciavo i racconti a poltrire e sedimentare nel famoso “cassetto”. Col tempo i lavori, presentati a vari concorsi letterari, ottenevano premi e riconoscimenti, e gli amici, quelli che sono i primi lettori e giudici, quelli che non si fanno mai i fatti propri, hanno cominciato a suggerire di pensare seriamente ad una raccolta e ad un progetto di pubblicazione. E così, grazie a questi incoraggiamenti, è nato “Il fox della luna”. Una bella soddisfazione personale e il coronamento di un grande sogno.
L’anno scorso ha partecipato al concorso “Torre dell’Orologio” (videointervista) come ospite, quest’anno in qualità di concorrente… Come ricorda quell’esperienza?
Ho un ricordo davvero gradevole della mia partecipazione al concorso dello scorso anno come ospite. Ho avuto la possibilità di parlare della mia prima pubblicazione, la silloge poetica “Icaro”, e ho avuto l’opportunità di confrontarmi con altri giovani scrittori e con giornalisti. Ho conosciuto persone interessanti in un ambiente aperto e ricco di stimoli culturali. Una bella vetrina per chi scrive e per chi pubblica.
Giovanni Zambito
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