Ieri, sul settimanale satirico Charlie Hebdo, sono state pubblicate una ventina di vignette, alcune delle quali molto volgari, che ridicolizzano Maometto (nudo in due caricature) ed ora la paura di ritorsioni da parte di integralisti islamici ha invaso tutta la Francia.
In copertina raffigurato un ebreo ortodosso che spinge la sedia a rotelle con un uomo in turbante e con la scritta “Les intouchables 2” con chiaro riferimento al film francese ‘Quasi amici’ di Olivier Nakache e Eric Toledano , che narra la storia dell’amicizia tra un tetraplegico e un giovane di colore di periferia. Sulla controcopertina un Maometto nudo, che mostra il sedere a un regista.
E se il ministro degli Esteri, Laurent Fabius ha ammesso di essere “preoccupato” dalle eventuali conseguenze, il resto del governo francese ha annunciato che vieterà la manifestazione contro il film su Maometto prodotto negli Usa che era stata convocata per sabato a Parigi. “Non c’e’ ragione per far entrare nel nostro Paese conflitti che non hanno niente a che fare con la Francia”, ha spiegato il premier Jean-Marc Ayrault. “Non tollereremo eccessi”, ha aggiunto rendendo omaggio “al grande spirito di responsabilità e moderazione” di cui hanno dato prova i rappresentanti musulmani in Francia. Ayrault ha ricordato che la Francia e’ “un Paese in cui la libertà di espressione e’ garantita, compresa quella di caricatura”. “Se ci sono persone che si sentono offese nelle proprie convinzioni e ritengono che siano state violate delle leggi, e noi siamo in uno Stato in cui le leggi vengono fatte rispettare, possono rivolgersi a un tribunale”, ha osservato. Il numero della rivista al centro delle polemiche e’ andato subito a ruba nelle edicole francesi.
Sul caso e’ intervenuto indirettamente il Papa Benedetto XVI con l’auspicio che cristiani e musulmani diano insieme “una testimonianza decisa contro la violenza e la guerra”. Il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha denunciato i “sensazionalismi irresponsabili da parte di chi utilizza spesso, a proprio vantaggio, anche nel mondo occidentale, queste grandi sensibilità che devono essere rispettate”.
Immediata la reazione del Governo francese, che in un primo tempo ha disposto il rafforzamento delle misure di sicurezza a protezione delle rappresentanze all’estero e poi ha deciso la chiusura per domani, giorno della preghiera islamica, delle ambasciate, dei consolati e delle scuole francesi in una ventina di Paesi musulmani (il cui elenco non è peraltro stato diffuso).
In Tunisia, dove venerdì scorso ci sono state sanguinose manifestazioni e dove il partito islamico al potere ha dichiarato che i fedeli hanno il diritto di protestare, le scuole sono già state chiuse ieri e lo resteranno almeno fino a lunedì.
Mentre in Egitto, le scuole e i centri culturali saranno chiusi da oggi.
Il premier Jean-Marc Ayrault ha inoltre deciso di vietare una manifestazione prevista per sabato davanti alla grande moschea parigina, mentre si stanno moltiplicando sul web gli appelli a protestare, sempre sabato, al Trocadéro.
A Parigi l’allerta è al massimo, con chiusura di Avenue Gabriel, la strada che passa davanti all’ambasciata americana, e dei giardini che la separano dagli Champs Elysées; mentre è stata rafforzata anche la protezione intorno alla sede di Charlie Hebdo, nel popolare quartiere della Porte de Montreuil, il cui sito è stato piratato e reso inaccessibile.
Stéphane Charbonnier, direttore della rivista e disegnatore con il nome d’arte di Charb, nel suo editoriale di scrive: “La libertà di sbellicarci dalle risa senza alcun ritegno ci veniva già garantita dalla legge. Ora ci viene data dalla violenza sistematica degli estremisti. Grazie, banda di idioti”.
Tuttavia io penso abbia ragione (almeno in parte) il ministro degli Esteri Laurent Fabius, secondo il quale “versare benzina sul fuoco in questo momento è pericoloso e irresponsabile”.
Una critica analoga a quella espressa dall’Osservatore Romano e dalla Casa Bianca: “Siamo per la libertà di stampa e contro ogni genere di violenza, ma non condividiamo la logica che ha portato alla pubblicazione delle vignette”, detto il portavoce Jay Carney.
Infine l’Italia, che col ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha denunciato i “sensazionalismi irresponsabili da parte di chi utilizza spesso, a proprio vantaggio, anche nel mondo occidentale, queste grandi sensibilità che devono essere rispettate”.
La solita posizione italiana, neutra e pronta ad ondeggiare dalla parte del vento, segno di una tendenza al “voltagabanismo” che mai ci abbandona.
Al’Università di Bordeaux, nel giugno del 2011, Remo Ceserani, il più noto studioso italiano di letterature comparate, tenne una lectio magistralis sulla figura, tutta italica, del voltagabbana: una tipologia i molto presente nel nostro Paese, tra i politici, ma anche tra gli uomini di cultura o i comuni cittadini. Ed ebbe modo di ricordare, come ieri sera a fatto la trasmissione “Se stasera sono qui”, con il sorprendente monologo iniziale, che Montanelli ha scritto che per cambiare i politici occorrerebbe cambiare gli italiani, idea condivisa da molti, anche a sinistra: Giorgio Bocca ad esempio, e Scascia e Trabucchi.
Secondo l’esimio studioso la radice storica di questo malcostume sta nel trasformismo parlamentare che ha connotato, sin dall’inizio della vita unitaria della nazione, la prassi politica. Nei primi decenni della vita parlamentare tale pratica trovava giustificazione nell’assenza di differenze ideologiche sostanziali tra destra e sinistra. Poi questa tendenza si è protratta nel tempo fino ai nostri giorni, seppure in un contesto radicalmente mutato. Non a caso i voltagabbana sono frequenti oggi (Scilipodi è solo il caso più eclatante, ma 38° parlamentari anno cambiato casacca da inizio legislatura), quando sono venute meno le grandi ideologie del ’900.
Si tratta, insomma, di un sintomo tutto postmoderno, tipico di una società liquida come la nostra.
Sintomo negativo, si badi bene, quantunque molto diffuso in ogni strato della società, segno di un’autentica patologia del tessuto civile, prima ancora che di quello politico.
Sintomi di una malattia più diffusa di quel che pensiamo, che ha interessato, e non solo con i casi di Pera e Capezzoni, l’apparentemente inattaccabile Partito Radicale; partito in cui (anche di recente, con Berlusconi), Marco Pannella è stato davvero una nave scuola, insegnando tecniche di lotta politica alternative a quelle dei partiti tradizionali e facendo in modo che, di fatto, l’esperienza radicale sia stata spesso la scuola contemporanea del trasformismo.
E ai politici che, mutando bandiera, rivendicano la legittimità del loro comportamento, richiamando l’articolo 67 della Costituzione (“Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”, voglio ricordare (lo rammenti anche l’attuale Ministro degli Esteri, sempre schierato sulle due parti, in ogni circostanza), che se è sacrosanto che i padri costituenti abbiano voluto questa frase, va comunque chiarita una cosa: quell’articolo della nostra Carta fondamentale è stato scritto per garantire la libertà di coscienza dei parlamentari di fronte alle grandi problematiche etiche.
Invece le giustificazioni di chi cambia schieramento snaturano il senso della legge.
Carlo Di Stanislao
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