Ci sono tanti giovani in una comunità terapeutica e di servizio, ma anche persone con i capelli bianchi e le difficoltà stampate nella fronte. Una piccola città aperta alla grande città, che non sceglie i propri compagni di viaggio, non rifiuta chi è affaticato, non volta le spalle a chi appare “contro” per forza, ma proprio perché dolore e sofferenza hanno truccato le carte, aiuta l’incontro e l’accoglienza.
Uno spazio per agire oggi, senza rimandare a domani la fatica di un momento di riflessione, di autocritica, di una relazione che impegna.
Una dimensione che muove le idee, che non lascia il cuore in balia delle solitudini imposte, non teme il futuro tutto da generare e in qualche caso da reinventare, è vita che si presenta sull’uscio ferita, ma entra in questa grande casa e non intende più mollare gli ormeggi.
Droga, alcol, violenza, pregiudizi e discriminazioni, sono gli eserciti del male impazienti a penetrare le mura di ogni fortino, ma se la palestra allena con rispetto e dignità alla vita, non ci saranno palizzate fragili a difesa della propria casa.
Tanti ragazzi alla Casa del Giovane, ognuno con la propria storia personale, fanno il loro ingresso nelle strutture, prendono distanza dalla paura di vivere, da ciò che è lo studio che non fa sconti, il lavoro che non sarà più possibile relegare all’angolo dimenticato, le relazioni che nascono e divengono testimoni del tempo che non è mai finito.
Anzi è necessario starci dentro con entrambe le gambe, fino alle ginocchia, per fare i conti con gli alti muri di cinta che abbiamo costruito, noi, in prima persona, che il cuore non ha scelto, ma lo tengono prigioniero.
Giovani in bilico, avanzano lentamente non per tattica, ma per paura di quanto sta dall’altra parte della strada, nel tentativo di tenere in alto lo sguardo e non più ai bordi poco illuminati.
“Liberare la libertà”, ebbe a dire don Enzo Boschetti il fondatore di questa realtà salvavita, per riuscire a pensare alla libertà di ciascuno, perché ogni giorno c’è la possibilità incontrare un domani diverso, costruito sul piano solido di un progetto condiviso, un nuovo stile di vita da rendere finalmente normale.
Durante un’assemblea cui erano invitati i collaboratori e tutti gli ospiti, un carissimo collaboratore della nostra cooperativa CdG, stava raccontando l’importanza di onorare gli impegni assunti, quel patto sociale nella concessione di una seconda possibilità, la necessarietà di una responsabilità da condurre a compimento, perché la fatica dell’apprendimento di un mestiere, di una professionalità, dentro gli spazi della comunità, nulla altro significa che crescere insieme, mettendo in atto quelle responsabilità che fanno fede al percorso intrapreso.
L’oratore ha indicato, seduto nell’ultima fila del salone, Giancarlo, la nostra mascotte, piena di acciacchi, ma portatore di un eccezionale entusiasmo e volontà a non darla vinta agli agguati dell’alcol, che lo resero prigioniero più ancora della malattia.
Giancarlo e la sua battaglia vinta sul filo di lana dell’abruttimento, Giancarlo e il suo inno alla vita che ogni mattino iniziando il proprio lavoro ripete a noi tutti: amici, ci vuole decoro.
Pensandoci bene, decoro non è un termine vetusto, sorpassato dai nuovi superlativi, decoro è sinonimo di educazione, di rispetto per le persone e per le cose intorno, che appartengono a ognuno e ciascuno, e ultimo ma non per importanza, è partecipazione che non consente di saltare furbescamente la fila.
Vincenzo Andraous
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