“Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito o è un pazzo o è un economista”, così si esprimeva nel secolo scorso Kenneth Boulding, il padre dell’economia ambientale. Secondo lui non è possibile continuare a vivere sul pianeta Terra secondo l’economia predatoria del cow boy; è necessario invece organizzare la vita economica riconoscendo che, per quanto grande, la Terra non è diversa da una capsula spaziale. Gli astronauti possono contare soltanto sulle risorse che si trovano dentro la navicella spaziale e dentro la stessa navicella, e in nessun altro posto, possono mettere i loro rifiuti. La crescita infatti, genera una decrescita forzata, uno svuotamento delle risorse naturali non rinnovabili e una riduzione dello spazio disponibile. C’è un altro aspetto che, aggiungendosi a questo, porta a considerare sotto una luce diversa il pensiero dell’homo oeconomicus che, avendo imperversato per tutto il secolo scorso, oggi mostra i segni del declino. Serge Latouche sostiene che l’uomo non è soltanto un atomo calcolatore; egli è socialmente determinato e coinvolto nella logica del triplice obbligo del dono: obbligo di donare, obbligo di ricevere, obbligo di rendere. Infatti, prima di ogni produzione e acquisizione c’è il dono fatto dalla natura: dono del luogo e del tempo in cui l’uomo vive, dono della pianta, dell’animale, dell’altro uomo. Questa legge della reciprocità è alla base della socialità primaria, quella della famiglia, del vicinato e delle reti relazionali. Lo spirito del dono è essenziale per la costruzione di una società della decrescita, volta a restituire alla socialità tutte le istituzioni colonizzate dall’economico. In particolare tale spirito è presente in una delle otto “R” che caratterizzano il pensiero antiutilitarista: “Rivalutare”, che consiste nel sostituire ai valori della società mercantile – improntati alla concorrenza feroce e alla accumulazione senza limiti, i valori dell’altruismo, della reciprocità, della convivialità e del rispetto dell’ambiente. La vera ricchezza, quindi, è fatta di beni relazionali, fondati sulla reciprocità e la condivisione: un tema che interessa un’altra delle otto “R” del pensiero antiutilitarista: “Riconcettualizzare”, che insiste sulla necessità di ripensare la ricchezza e la povertà. Il richiamarsi a tali radici di società solidali comporta anche l’impegno di rivalutare e rigenerare l’immagine architettonica dei borghi antichi: dono delle generazioni precedenti, espressione di una elevata coscienza della socialità e del paesaggio. Essi sono stati concepiti come corpi più ampi, ramificazioni allargate delle funzioni umane. Come fa rilevare l’antropologo Franco La Cecla, la struttura dei borghi fa affiorare una consonanza con i luoghi e sentimenti di adeguatezza. Ci sentiamo adeguati a quei luoghi ed essi a noi. Troppo spesso questa immagine è stata deturpata da interventi ispirati ad un immaginario collettivo dominato dal consumismo. Questi concetti costituiscono il ventaglio delle tematiche affrontate dall’Associazione dei Borghi Autentici d’Italia: un’associazione di comunità e di territori impegnati su strategie alternative di sviluppo, all’insegna della bellezza, dove la legge della reciprocità, fondata sulla famiglia e sul vicinato, è ancora viva tra gli abitanti locali ed è evidenziata nelle strutture architettoniche e nel fascino degli spazi pubblici. L’Abruzzo vanta il patrimonio di diversi borghi definiti tra i più belli d’Italia: la maggior parte di essi si concentra nell’aquilano. Negli ultimi anni le adesioni all’Associazione sono aumentate sensibilmente e sono in grande ascesa. Avvalendosi delle opportunità offerte dalla legge sulla ricostruzione, i comuni del cratere sismico potrebbero dar vita ad una rete solidale di borghi autentici che, legando il futuro ad una ricostruzione partecipata, potenzi la solidarietà tra le generazioni e i diversi borghi e reinquadri l’economico nel sociale. In questa prospettiva tutti gli scambi fondati su un legame reciproco tra attori economici, contribuirebbero a riaffermare all’interno di tale contesto quel principio di diversità e quel pluralismo fino ad oggi soffocato dall’archetipo dell’homo oeconomicus unidimensionale.
Giancarlo De Amicis
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