Polverini dimessa

Anche se l’uscita di scena è stata giocata teatralmente, puntando il dito contro la “faida interna al Pdl”, accusando “un consiglio regionale indegno”, promettendo che “continuerà a fare politica”, riconoscendo all’Udc di essere stata al suo fianco in queste ore concitate; rispetto ad appena tre giorni prima, quando la Polverini aveva celebrato il rito collettivo […]

Anche se l’uscita di scena è stata giocata teatralmente, puntando il dito contro la “faida interna al Pdl”, accusando “un consiglio regionale indegno”, promettendo che “continuerà a fare politica”, riconoscendo all’Udc di essere stata al suo fianco in queste ore concitate; rispetto ad appena tre giorni prima, quando la Polverini aveva celebrato il rito collettivo dell’autoassoluzione, è cambiato tutto ed ora di fronte ad una pressione che non era più confinata al piano locale, la governatrice del Lazio è stata costretta a dimettersi.

Settantadue ore or sono, aveva provato a resistere, con dignità, ma adesso non poteva più sostenere la sua posizione, dopo che, ieri, il capo dei Vescovi Angelo Bagnasco, si era scagliato contro “il reticolo di corruttele e scandali” a livello nazionale e locale, “che la politica continua a sottovalutare” e il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, aveva deciso di fare uscire dalla maggioranza del Lazio i suoi consiglieri.

Le sue dimissione, a questo punto dovute, sono figlie dell’implosione del centrodestra, mentre l’ennesimo fiume di soldi pubblici sprecati nelle spese più capricciose, chiama in causa l’intero sistema dei partiti.

A conferma dell’imbarazzo generale, le dimissioni delle opposizioni sono arrivate solo quando si è delineata una deriva senza ritorno; ma ad affrontare le conseguenze politiche e giudiziarie del fallimento, sarà chiamato soprattutto il già malmesso Pdl.

La Polverini ha già iniziato la sua controffensiva interna, parlando di liste elettorali con personaggi improbabili, aprendo un fronte polemico nei confronti del vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani: uno dei plenipotenziari berlusconiani nella regione, ritenuto dal governatore uno dei registi della crisi.

Ed è incredibile la faccia tosta (qualcuno direbbe la tempre politica) di “Francone” Fiorito, che dai beati ozi del suo feudo anagnino, con i suoi cubani e gli amici più sinceri, con cellulare spento e faccia sorridente, si gode il primo tapiro della sua carriera politica, ricevuto ieri dalle mani di Valerio Staffelli ed afferma che, dimostrata la sua innocenza, si candiderà, proprio lui, al posto della Polverini.

Il drappello dei suoi grandi elettori, fa intendere il Tempo, non si è infatti dissolto e, se supererà gli attuali guai giudiziari, potrebbe contare sull’appoggio di grandi amici, come Alfredo Pallone, eurodeputato del Popolo della libertà, Mario Abbruzzese, homo novus della politica e presidente del Consiglio regionale, della’l’on. Antonello Iannarilli, alla guida della Provincia di Frosinone e, appunto, di Antonio Tajani.

A Porta a Porta Fiorito, intervistato senza contraddittorio, è una sorta di vendicatore dirompente, un Batman solo (a parte l’avvocato Taormina) contro tutti, impegnata a spargere fango in ogni dove e coinvolgere chiunque in quel (mal)costume che solo per lui si configura come reato.

Ma, in fondo, a ben vedere, è messa molto peggio la Polverini, definita dall’Unità “grillina di destra”, pronta a cavalcare la stagione nuova dell’antipolitica, ma seppellita nella vergogna delle ostriche e dello champagne acquistati con i soldi gentilmente concessi dalla sua giunta, che invece si riprometteva di essere specchiata e rigorosa.

Vestita di bianco come una gladiatrice da kolossal di hollywwodiano o come una eroina wagneriana, con lo sguardo fiero, ora si chiede in cosa ha sbagliato e sa di certo di non essere stata capace di decidere se salvarsi con la politica o con l’antipolitica.

Lo scandalo abnorme dei finanziamenti ai gruppi della Regione Lazio è nato dalla necessità di tenere buona la sua rissosa maggioranza. Con il bilancio approvato dalla sua giunta, ha foraggiato tutti i gruppi per compensare i suoi: persone che con l’elezione hanno vinto un terno al lotto, che non sarebbero mai entrate alla Pisana se il centro destra romano non avesse fatto harakiri con il pasticcio delle liste. Quindi tanto più determinati ad arraffare e a restare in sella il più a lungo possibile, quanto più denaro riesci a intascare – a parte il piacere delle vacanze di lusso a sbafo – tanto più hai la possibilità di guadagnare consensi nel collegio. Un modo becero di intendere la politica, ma anche un modo diffuso e non certo solo laziale.

Comunque, tornando a lei, alla “passionaria” Renata, non c’era di peggio che potesse segnare la parabola di una donna che ha costruito la sua carriera politica con abilità e che sull’onda delle sue innumerevoli apparizioni tv si era conquistata il primo posto. Ma non sono le foto, così pacchiane e ridicole da sembrare foto di scena di un film sboccacciato degli anni novanta; il vero fallimento della presidente della Regione Lazio che, in poco meno di trenta mesi, da quel 30 marzo del 2010 quando fu eletta battendo Emma Bonino, è riuscita a distruggere l’immagine della Regione che governa, finendo complice e motore di un sistema di governo che ha accumulato passivi su passivi, ha disarticolato la struttura sanitaria aumentando notevolmente la spesa e riducendo i servizi ai cittadini ed ha ridotto gli uffici della Regione a una specie di bancomat dal quale prelevare i soldi per usi e consumi privati.

La incontrai fra le tende, a L’Aquila, dopo il terremoto del 2009 e mi fece una buona impressione: una donna schietta e ruvida, ma acuta, intelligente e molto determinata. A quel tempo era solo la segretaria dell’Ugl, con una immagine nazionale grazie a Floris. Poi, Berlusconi la scelse per le elezioni del 2010 e quelle elezioni le vinse, grazie all’immagine di persona capace di dialogo e fuori dalle etichette di partito.

Dicevamo che, a parte l’indubbia preparazione, fu il numero impressionante delle sue partecipazioni alla trasmissione tv Ballarò, bandiera dell’informazione progressista di Rai Tre negli anni dell’opposizione al predominio berlusconiano, a tracciarne la presa popolare ed il profilo.

Il talk show animato da Giovanni Floris, interessato a ospitare e amplificare la voce di una destra sindacale critica nei confronti del governo del Cav, fornì alla Polverini una risonanza televisiva con pochi paragoni, offrendole un sicuro trampolino di lancio per le sue ambizioni politico-elettorali.

Poi, una volta eletta, sono iniziati i due anni e mezzo più difficili della sua vita, conclusisi nel modo peggiore, infangati da festini gelatinosi e che sembrano studiati da Gillo Dorfles, con una sarabande di ninfe e ninfette, trionfo di trivialità dozzinale e consiglieri comunali, rampolli di imprenditori di ascensori, oggi in area Storace, che impersonano sgangherati Vulcano, più prossimi alla controfigura di uno Zampanò di felliniano, al centro di scene di insopportabile volgarità, con mani che acchiappano cosce, “puellae” in tunica che si leccano i musi e scrofe al posto della lupa capitolina.

Sicché ha ragione Francesco Merlo su Repubblica, quando afferma che, nella condizione di cui la Polverini si è trovata, rubare diventa quasi un dettaglio, dato lo scempio di simboli, di miti e di storia, che fa a pezzi ogni etica ed estetica e mette in scena, senza alcun ritegno, l’idea di patacca che la destra italiana ha della romanità e dell’antichità classica.

Per capire quanto sia importante questo ciarpame nell’attuale decadenza, è bene sapere che il momento magico del miserabile suk della memoria che ha fatto partire il caso e lo scandalo, è previsto il 27 e 28 ottobre (salvo auspicabili ripensamenti), con una grandiosa celebrazione della battaglia di Ponte Milvio e del miracolo di Costantino, che il sindaco Alemanno e il suo cerimoniere acculturato Broccoli, stanno organizzando, riservatamente “per fare una sorpresa ai romani”: una straordinaria festa celebrativa dell’identità cristiana di Roma, con l’idea di stupire e forse pure di istupidire il mondo.

Così diventa persino banale la Crapulopoli del Lazio, con i suoi conti correnti coperti, le cene, le case, le auto di lusso e il peculato.

Ed è quasi melanconica la figura ritta e vinta della Polverini, mentre er Batman, l’ex capogruppo ed ex tesoriere del Pdl Francone Fiorito, assistito e ispirato dall’avvocato Taormina, il quale è un altro Batman ma delle cause perse, da giorni racconta ai magistrati quel gran giro de quatrini” trascinandosi dietro tutti, ma proprio tutti, perché “la guera è guera” e, come si dice tra legionari non solo ciociari, “camerata, camerata / fregatura assicurata”.

Sono anni di basso impero questi, resi più cocenti e concreti dalle immagini della festa in (mal)costume sul viale delle Olimpiadi e sulla scalinata di Valle Giulia, fatta non solo per divertire il vicepresidente del gruppo consiliare del Pdl e non solo come sfogo del solito burino pittoresco. La festa non è stata l’assalto del Viterbese e del Frusinate che sfidano la capitale, ma il segno concreto di tutto il degrado politico e umano di una sottocultura che è stata per troppi anni vincente in Italia, la stessa del sindaco Alemanno che si traveste da spazzaneve, da vigile urbano, da idraulico, da spazzino e da stradino, per far credere che lui con i guai del malgoverno della Capitale non c’entra proprio nulla.

Oggi c’è chi scrive che non vi è una gran differenza tra gli attuali politicanti e i forchettoni democristiani o i ladroni socialisti di Craxi.

Io non credo che questo sia vero, perché un tempo (quello troppo presto esecrato e rottamato della I Repubblica) nessun politico, di nessuno schieramento avrebbe mostrato una totale assenza di etica ed un completo menefreghismo per i massacrati dalla crisi, con una insopportabile ostentazione di lusso e gozzoviglie, che nasconde volgarità e cinismo ed anche paura: paura del futuro, della fine di uno status, con la tendenza quindi ad arraffare quel che si può, su un Titanic che è ormai prossimo all’urto.

Carlo Di Stanislao

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