Il caso della condanna di Alessandro Sallusti a 14 mesi per il reato di diffamazione è ignobile per molti motivi e tanto mostruoso da rasentare l’inverosimile, sicché, stavolta, non a torto Feltri (fondatore di Libero ed editorialista del Giornale), che si scaglia contro la classe politica dicendo che l’attuale legge che prevede il carcere per chi si assume responsabilità giornalistiche “è una legge fascista, iniqua e assurda che nessuno ha mai voluto cambiare: esiste solo in Italia, in qualsiasi altro paese occidentale è stata abolita da tempo”.
Feltri definisce i politici italiani “cialtroni”, affermando che “se ne infischiano della libertà di stampa e di pensiero” esortandoli ad intervenire in proposito.
Come si sa, il caso è nato da un articolo pubblicato il 18 febbraio 2007 su Libero, che allora Sallusti dirigeva, firmato Dreyfus (oggi l’on. Renato Farina del Pdl, noto come Betulla e già radiato dall’Ordine dei giornalisti quando si scoprì che era un infromatore dei Servizi segreti, che se ne è assunta, ma tardivamente ed inutilmente, la responsabilità), che si intitolava: “Costretta ad abortire da genitori e giudice”.
Il giudice tutelare di Torino, Giuseppe Cocilovo, si era sentito diffamato ed aveva reagito, spiegando che: “L’unica cosa a cui tenevo è che fosse ristabilita la verità dei fatti” ma “il quotidano Libero non ha mai pubblicato neanche un trafiletto in cui si diceva che la notizia era infondata, uno sbaglio per cui chiedere scusa ai lettori. Io non ho proprio ordinato nessun aborto e il quotidiano non ha pubblicato nulla per ripristinare la mia dignità personale. Eppoi la proposta per rimettere la querela l’avevo fatta: avevo chiesto 20mila euro da devolvere in beneficenza all’associazione Save the Children, ma Sallusti ha rifiutato”.
Certo il giudice ha ragione a voler tutelare la sua dignità, ma la sua vale più della dignità di Sallusti?
C’è anche un’altra questione da considerare. Adesso che lo scandalo è scoppiato tutti i politici – di destra, di centro e di sinistra – tuonano contro la norma liberticida ma, siccome la legge non è nata ieri, dov’erano questi politici nei mesi e negli anni scorsi?
Ciò che si dovrebbe ricordare, dal diritto romano in poi, è l’assioma “oportet ut scandala eveniant” e, pertanto, la buona idea del ministro Severino “Omologare la norma agli standard europei che prevedono sanzioni pecuniarie e non detentive” doveva essere applicata per tempo.
Inoltre, mentre adesso si è fatta una gran confusione, si sarebbe dovuto chiarire che un conto è la libertà di stampa che va difesa senza se e senza ma e un altro è la correttezza dell’informazione che deve essere rispettosa di tutto e di tutti e soprattutto della verità e che impone anche l’obbligo di rettifica.
Se manca la correttezza anche la libertà di stampa evapora. Sarebbe un’infamia condannare Sallusti al carcere ma senza correttezza professionale è difficile che il direttore dl Giornale diventi, come ora di fatto è, un paladino della libertà.
La vicenda è stata gestita così male che ora sono Giorgio Napolitano e Paola Severino a cercare il modo di far fronte alle conseguenze della clamorosa condanna, convenendo, ufficialmente, “sulla esigenza di modifiche normative in materia di diffamazione a mezzo stampa, tenendo conto delle indicazioni della Corte europea di Strasburgo, non escludendo possibili ricadute concrete sul caso Sallusti”.
Scrive il Giornale che a trattare perché si giunga a una soluzione sono l’ex premier Silvio Berlusconi, Gianni Letta, il presidente del Senato Renato Schifani e il sottosegretario Antonio Catricalà e che la strada più probabile sia quella parlamentare, ma con una corsia preferenziale, anche se ancora non è escluso un decreto legge che il premier Monti, di ritorno oggi dagli Usa, potrebbe firmare nei prossimi giorni o addirittura la grazia, il che farebbe davvero sorridere rendendo caso e soluzione del tutto vergognosi.
Dicono quelli che sostengono la via del decreto, che la nuova norma trasformerebbe il carcere in pena pecuniaria e non avrebbe solo effetto per il futuro, trasformando la detenzione in multa, nello spirito di quanto già previsto nell’articolo 2 del Codice penale, ch, e per il principio del favor rei, stabilisce che se viene abolito un reato o si cambia la pena da detentiva a pecuniaria, la norma si applica retroattivamente anche nel caso di condanna definitiva.
Sarà necessario, però, che sia Napolitano che la Severino, si appellino direttamente al principio basilare fissato dalla Corte europea dei diritti dell’’uomo: punire con il carcere un reato a mezzo stampa non è compatibile con la libertà di espressione dei giornalisti, garantita dall’articolo 10 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
In attesa di una decisione, tremano i giudici che, venerdì prossimo, dovranno giudicare nuovamente Sallusti ancora imputato per diffamazione ai danni di Maurizio Block, procuratore militare di Padova.
Intanto fa bene Enrico Mentana, che su twitter scrive: “Ora è troppo tardi, infame”, commentando le dichiarazioni di Renato Farina, ex vicedirettore di Libero, radiato dall’albo dei giornalisti per aver collaborato, a pagamento, con i servizi segreti ed oggi deputato nelle file del Pdl.
La dichiarazione di Farina arriva il giorno dopo la condanna leggendo la quale emerge che quanto da lui ricostruito “non corrispondenza al vero della notizia”, che la giovane al centro dell’articolo non era stata affatto costretta ad abortire, ma aveva attuato una sua autonoma decisione e l’intervento del giudice si era reso necessario solo perché, presente il consenso della mamma, mancava il consenso del padre della ragazza, la quale non aveva buoni rapporti con il genitore e non aveva inteso comunicare a quest’ultimo la decisione presa.
Fra l’altro Farina-Dreyfuss, aveva difettato di ogni minima attenzione giornalistica, poiché già il giorno prima del suo articolo, la vicenda (pubblicata con errori da La Stampa di Torino), era stata rettificata da quattro dispacci dell’agenzia Ansa, dal Tg3 regionale e dal radiogiornale Rai regionale, tant’è vero che il 18 febbraio 2007 tutti i principali quotidiani tranne ‘Libero’ ricostruivano la vicenda nei suoi esatti termini)”.
Il fatto è che il problema della Libertà di Stampa è antico e spinoso e nella classifica redatta dall’associazione internazionale Reporter Senza Frontriere (http://rsfitalia.org/ ) l’Italia è precipitata al 50° al 61° posto, ben al di sotto di tutti i principali Stati europei, con l a Francia risalita dal 41° al 38° posto, la Spagna al 39°, e ai primissimi posti, invece, Finlandia, Norvegia e Paesi Bassi.
Di fatto ha ragione Roberto Saviano che, nel 2009, su Repubblica, notava che oggi, chiunque decida di prendere una posizione sa che potrà avere contro non un’opinione opposta, ma una campagna che mira al discredito totale di chi la esprime; e persino coloro che hanno firmato un appello per la libertà di informazione, devono mettere in conto che già soltanto questo gesto potrebbe avere ripercussioni. Perché se non cambiano le cose, qualsiasi voce critica sa di potersi aspettare ritorsioni, mentre vera Libertà di stampa dovrebbe significare libertà di non avere la vita distrutta, di non dover dare le dimissioni, di non veder da un giorno all’altro troncato un percorso professionale per un atto di parola, come è accaduto ad esempio a Dino Boffo.
Come ha avuto modo di dire già in tempi non sospetti e da posizioni molte diverse da quale di Belpietro, Feltri o Sallusti, Paolo Mieli: “La difesa della libertà di stampa significa salvare per le future generazioni il lascito immenso della lettura, da cui dipende tutta intera la trasmissione del patrimonio culturale della nostra civiltà e la possibilità che continui ad esistere un valido sistema di istruzione”.
A questo punto tenete a mente ciò che hanno detto due premier lontani anni luce nello spazio e nel tempo: Thomas Jefferson (“La nostra libertà dipende dalla libertà di stampa, ed essa non può essere limitata senza che vada perduta”) e Silvio Berlusconi (“In democrazia non esistono diritti assoluti, perché ciascun diritto incontra il proprio limite negli altri diritti egualmente meritevoli di tutela che, in caso della privacy, sono prioritariamente meritevoli di tutela”.
E poi, ricordate Alexis de Tocqueville, secondo cui occorre amare e difendere la libertà di stampa “più in considerazione dei mali che previene che per il bene che essa fa”.
Se Enzo Tortora, di cui Richy Tognazzi porta in tv la vicenda umana e professionale con la fiction Rai “Dove eravamo rimasti” che andrà in onda il 30 settembre e il 1° ottobre su Rai1 fu “vittima di un refuso”, Sallusti rischia di diventare vittima di un fraintendimento, basato su un concetto davvero controverso, secondo cui si i può condannare un direttore di giornale per responsabilità oggettiva, colpevole per il solo fatto che un evento è accaduto.
Nella fiction su Tortora (uno dei casi più gravi di malagiustizia italiana in assoluto), si è partiti dal libro di Vittorio Pezzuto “Applausi e sputi”, un errore giudiziario che ha però messo in bella evidenza l’altezza morale di un uomo che dopo la sua vicenda ha pensato ai detenuti e ha deciso di intraprendere una grande battaglia come europarlamentare, rinunciando ai propri privilegi.
Il caso Sollusti, invece, resterà un pasticciaccio, brutto comunque lo si guardi, con un anonimo diffamatore, tardivamente confesso, che resta impunito per aver accusato erroneamente un giudice di aver costretto una minorenne a perdere un figlio ed un direttore condannato per non aver controllato i fatti, anzi, solo per averli pubblicati.
Senza che nessuno pensi ai veri responsabili: quei politici che invece di rendere le leggi migliori, si dedicano solo alle spartizioni di privilegi e prebende.
Carlo Di Stanislao
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