Terremoto e l’uomo: ieri e oggi

Hanno detto in segni:<< Andiamo a vedere Santa Margherita di Belìce in provincia di Agrigento>> di cui ignoravo l’esistenza. Eravamo sulla piazza “[…] che poi era il Duomo di Santa Margherita. [Nella stessa piazza con case antiche e graziose intorno c’era la] chiesa stessa grande e bella […] in stile Impero con grandi […] affreschi […]

Hanno detto in segni:<< Andiamo a vedere Santa Margherita di Belìce in provincia di Agrigento>> di cui ignoravo l’esistenza.

Eravamo sulla piazza “[…] che poi era il Duomo di Santa Margherita. [Nella stessa piazza con case antiche e graziose intorno c’era la] chiesa stessa grande e bella […] in stile Impero con grandi […] affreschi incastonati tra gli stucchi bianchi del soffitto…”.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa descriveva così la chiesa attigua al complesso monumentale del palazzo Filangeri di Cutò di Santa Margherita di Belìce nel suo mondo dei libri (Ricordi d’infanzia in I Racconti).

Il meraviglioso palazzo Filangeri di Cutò fu costruito per volere da parte del nobile Alessandro Filangeri I verso la fine del 1600. La facciata esterna era barocca e culminata in alto da preziosi intagli e dalla statua di S. Rosalia a cui era dedicata la chiesa. All’interno vi erano numerose decorazioni di stucco e affreschi. All’epoca, il palazzo rappresentava un luogo di piacevoli incontri e di riferimento delle attività religiose del paese, ma poi fu devastato dal sisma del 1968.

Allo stato attuale, lo storico edificio è una sede museale, famosa anche per l’esposizione delle opere, delle lettere, degli appunti e delle foto d’epoca dello scrittore Tomasi di Lampedusa e per un piccolo museo delle cere dove è rappresentata una scena del “Gattopardo” viscontiano.

Entrando nel Museo della Memoria di Santa Margherita Belìce, i miei occhi sono stati catturati da fotogrammi che raccontano il terremoto del 1968 nella Valle del Belice.

Si trattava di fotogrammi in bianco e nero che invitano il visitatore a conoscere i paesi della Valle del Belice, quali Gibellina, Montevago, Salaparuta, Poggioreale, Santa Margherita di Belìce, Santa Ninfa, Sambuca di Sicilia e Vita, prima e dopo il terremoto del 15 gennaio 1968, nel cuore dell’inverno.

In quella notte, ci fu una forte scossa che colpì la Valle del Belice, dove subirono gravi danni Gibellina, Salaparuta, S.Ninfa, Montevago, Partanna, Poggioreale e Santa Margherita Belìce, facenti parte delle province di Trapani ed Agrigento.

Il patrimonio edilizio rurale, che era il cuore di questi paesi, subì danni con effetti devastanti sull’economia quasi puramente agricola. Le caratteristiche degli edifici, realizzati in pietra squadrata con insufficiente malta cementizia, giocarono un ruolo fondamentale nella gravità del danno.

Il Museo mira, quindi, a far riflettere sul significato della sofferenza e, soprattutto, sul valore della memoria, una memoria che aiuta a capire come erano e come sono gli abitanti dei paesi colpiti dal triste terremoto.

Dai fotogrammi raffiguranti quei paesi così belli sia nella loro antichità che nella loro semplicità rurale, che in pochi istanti furono spazzati dalla furia del terremoto, si denota la fragilità dell’umanità, si narra l’essenza del dolore, l’emergenza, la solidarietà, l’impotenza, la rabbia e non meno la protesta di chi desidera tornare a casa e avere un futuro.

Mi sono rivista, tra lo stupore e lo sgomento, nei fotogrammi che rispecchiano da lontano la mia storia di terremotata aquilana, colpita dal sisma del 2009.

In un fotogramma si nota la fila delle persone davanti ad una mensa, scena analoga che ho vissuto in un campo per sfollati sulla costa adriatica. Portavo un braccialetto numerato al polso sinistro come segno di riconoscimento.

In un altro fotogramma , si evidenzia la folla che protesta per le case non ancora ricostruite. Rabbia siciliana che riconosco e che ritrovo in me e negli aquilani.

Altri fotogrammi rispecchiano il dramma vissuto dagli aquilani nei giorni successivi al sisma.

Trovandomi immersa e sommersa nelle immagini, ho riassaporato le emozioni e il dolore che provai tre anni fa nella mia città, pensando a quanto aveva ragione Giambattista Vico sui corsi e ricorsi storici.

Roberta Masci

5 risposte a “Terremoto e l’uomo: ieri e oggi”

  1. A. M. ha detto:

    Certo, la storia si ripete… l’uomo non è cambiato. E’ rimasto uguale a se stesso, nonostante il passare degli anni, anzi dei secoli; gli sbagli altrui, le tristezze e le sofferenze immani non hanno fatto la differenza.

  2. Aisme ha detto:

    Credo proprio che ogni singolo terremoto passa sempre nel dimenticatoio :
    vedi Messina , che ancora non è al meglio , vedi il Friuli , le Marche , l’ Umbria , l’ Abruzzo , ecc…, come si fa ad essere soddisfatti di stare in un paese dove paghi sempre e solo tasse anche quando sei terremotato ?
    A voi la risposta !
    Grazie.
    AAAAAA

  3. luigi salutari ha detto:

    Purtroppo i terremoti non hanno memoria e si verificano in continuazione su questo pianeta.
    L’uomo è dotato di memoria e di egoismo.
    MEMORIA – fa ricordare soprattutto le cose positive e in minima parte quelle negativ.
    EGOISMO – se non è toccato in prima persona, non si pone il problema.

  4. A. M. ha detto:

    Verissimo.
    Sono state spezzate vite di persone care per incuria, negligenza, colpe, sottovalutazioni, omissioni, inosservanza, ma l’egoismo di chi non ha perduto nessuno e soprattutto siede a capo di qualcosa, prevale e passa sopra ogni sentimento.

  5. luigi salutari ha detto:

    mmm

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *