L’Aquila: Riforma del lavoro, una visione di insieme, intervista a Carlo Imperatore

La riforma Fornero rappresenta per le Imprese e i lavoratori un “diluvio normativo” che potrà essere digerito solo con la pratica attuazione – dice Carlo Imperatore, Condirettore Confindustria L’Aquila. “Infatti, tra i vari dubbi, sicuramente l’aver introdotto una normativa così imponente senza la previsione di un periodo transitorio di sperimentazione sta creando enormi difficoltà a […]

La riforma Fornero rappresenta per le Imprese e i lavoratori un “diluvio normativo” che potrà essere digerito solo con la pratica attuazione – dice Carlo Imperatore, Condirettore Confindustria L’Aquila.
“Infatti, tra i vari dubbi, sicuramente l’aver introdotto una normativa così imponente senza la previsione di un periodo transitorio di sperimentazione sta creando enormi difficoltà a tutti gli operatori del mercato del lavoro.
Può fare una sintesi delle novità?
Le novità introdotte sono molteplici ma, purtroppo, bisogna prendere atto del fatto che la maggior parte di esse rendono più complessa la stipula di un contratto di lavoro: da un lato, burocratizzando le procedure che ne sono alla base, dall’altro, ponendo ulteriori vincoli ad un mercato del lavoro già rigido e non attento alle esigenze delle Imprese, in uno scenario globale competitivo e che risente
della fortissima congiuntura economica negativa che sta colpendo tutti i settori. La riforma degli ammortizzatori sociali era sicuramente necessaria anche per garantire una maggiore equità nei trattamenti previsti in caso di perdita del posto di lavoro. Ma, probabilmente, anche questa, doveva essere introdotta con gradualità e maggiore equilibrio, anche tenendo conto della riforma previdenziale che, correttamente, rinvia la possibilità di accedere alla pensione di alcuni anni. Peraltro ci si attendeva anche un rafforzamento delle misure per il contrasto al lavoro nero ma di queste non ne abbiamo notizia.

Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali: una riforma adeguata alle aspettative?
Su questo tema, strategico per il futuro del lavoro e per la competitività del paese, purtroppo riemergono posizioni difensiviste e ideologiche che preoccupano tutti coloro che quotidianamente contribuiscono alla crescita ed allo sviluppo di un sano e reale Pil. Ormai da anni siamo in attesa di misure di incentivazione dell’occupazione giovanile, femminile, di strumenti di conciliazione famiglia lavoro nonché di misure ad hoc per gli ultracinquantenni anche alla luce delle continue e necessarie riforme del sistema previdenziale.
Gli ammortizzatori sociali fino ad oggi hanno rappresentato non solo una “via di fuga” nei periodi di crisi di mercato o di riduzione degli ordinativi, ma un vero è proprio strumento di governo delle vicende aziendali, che si è rivelato prezioso anche per gestire i cambiamenti organizzativi necessari per affrontare nuovi mercati, per realizzare processi di ristrutturazione aziendale, e perfino, per riqualificare il personale attraverso la somministrazione di percorsi formativi anche aziendali. Per superare questi momenti di sofferenza produttiva la legislazione prevede strumenti ordinari e straordinari, la cui efficacia è, senza dubbio, condizionata dalla capacità delle parti sociali di raggiungere un accordo di gestione.

In pratica?
Quando la situazione aziendale è tale da non consentire la prosecuzione di una parte o della totalità dei rapporti di lavoro, le parti sociali, hanno la responsabilità di definire un accordo gestionale che dia una copertura economica agli esuberi esistenti. Se la crisi è irreversibile l’obiettivo è quello di attenuare, il più possibile, i disagi economici conseguenti la perdita del posto di lavoro. In alcuni casi, i processi di riduzione del personale sono il risultato di un percorso industriale condiviso e finalizzato da un lato, ad accompagnare lavoratori non più giovani all’età pensionabile, dall’altro a favorire l’ingresso di nuovi lavoratori spesso giovani o che comunque hanno una vita professionale ancora lunga.
Con questi pochi strumenti le parti sociali, se vogliamo, in maniera anche un po’ grossolana, e in minima parte, hanno dato una risposta a quel patto generazionale che non ha mai ricevuto una concreta attenzione da parte dei vari Governi degli ultimi decenni

Sul punto la riforma intende dare una risposta?
Ce lo auspichiamo tutti: la legislazione sugli ammortizzatori sociali risale a più di un decennio… dunque oggi una riforma o adeguata manutenzione è ineludibile e non più rinviabile.

In breve quali sono gli obiettivi della riforma?
I principi guida della riforma sembrano essere due: in primis, razionalizzare, e in secundis farlo a costo zero e senza sprechi. Al riguardo attualmente il sistema funziona su due binari: gli ammortizzatori c.d. normali, riservati agli addetti delle Imprese industriali; e i c.d. ammortizzatori in deroga, che interessano gli addetti ad altri settori. Il primo tipo è cofinanziato dalle Imprese industriali per il secondo le risorse sono assegnate alle Regioni dall’Europa senza alcun contributo a carico dell’Impresa. Vogliamo mantenere il doppio binario ma tutti devono contribuire allo stesso modo. Inoltre, sarebbe auspicabile che venissero uniformate le procedure sindacali e amministrative previste per la concessione ed esaminate da una unica commissione di valutazione partecipata dalle parti sociali.
In materia di disoccupazione?
Su questo è mancata una vera attività Statale di assistenza per una effettiva ricollocazione del lavoratore (i CPI ricollocano il 2% dei disoccupati!!) In merito al trattamento riservato al lavoratore disoccupato, forse una parte dello stesso dovrebbe essere trasformata in una sorta di voucher da spendere presso le Imprese di outplacement. Un’altra proposta concreta potrebbe essere quella di scomputare dal trattamento di disoccupazione eventuali somme corrisposte a titolo di incentivo da parte delle Imprese, rendendo queste ultime totalmente de contribuite e deducibili. Inoltre, preso atto del destino delle Provincie, questa potrebbe essere l’occasione giusta per privatizzare i servizi per l’impiego o comunque coinvolgere le parti sociali nella gestione dei servizi offerti per adeguarli al mercato e renderli maggiormente efficaci.

Senza strumenti di ricollocazione e riqualificazione del personale, Mobilità e Cassa integrazione potranno incidere sul mercato del lavoro nero?
L’aspetto più interessante in termini pratici sta nel fatto che il datore di lavoro che assume i soggetti iscritti nelle liste apposite sconta un interessante vantaggio contributivo e fiscale. È evidente il beneficio per l’Impresa ma anche per lo Stato che ne avrebbe un risparmio indiretto non trascurabile. Ciò nonostante sovente gli ammortizzatori sociali, senza essere affiancati da altri strumenti di ricollocazione e riqualificazione del personale, generano lavoro nero determinando un danno economico per lo Stato e riducendo le possibilità di occupazione genuina. Su questo tema la riforma non sembra dare risposte adeguate. Per tentare di risolvere il problema l’unica via rimane quella dell’obbligo per i percettori delle integrazioni salariali di frequentare percorsi formativi anche realizzati congiuntamente dalle parti sociali. È evidente inoltre la necessità di un controllo più incisivo sul lavoro nero anche attraverso una riorganizzazione degli enti pubblici preposti..
E sull’art. 18 a che punto siamo?
Senza volerne approfondire, in questa sede, né la portata né eventuali proposte di modifica, resta centrale il dibattito sull’art. 18 dello statuto dei lavoratori sul quale (salvo le tutele per i casi discriminatori) una riflessione va posta da una diversa angolatura: esiste un doppio binario che consente ad alcune Imprese di poter ridurre il personale con costi ragionevoli ed ad altre di essere legate a doppio filo ad un dipendente come se quel rapporto di lavoro fosse una variabile indipendente dal mercato!!! Sul punto la riforma è assolutamente deludente in quanto si limita ad aumentare i costi per le Imprese e ad introdurre una sorta di rito processuale veloce per le controversie di lavoro i cui termini sono rimessi al giudice. Al riguardo segnalo che attualmente i processi di lavoro hanno una durata media pari a 804 giorni.
Una considerazione generale?
Interessante è il titolo del documento presentato dal Ministro del Lavoro e approvato dal CDM il 23 Marzo 2012 “La riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”: a tal proposito voglio evidenziare che tutti siamo consapevoli della necessità di una riforma del mercato del lavoro che però non avrà alcun senso se non accompagnata da strumenti che diano effettivamente una prospettiva di crescita. In questo senso i segnali non sono incoraggianti!

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