Non c’è limite al cattivo gusto e comunque, quasi sempre, oltre tale limite si situa Lady Gaga, che al Mediolanum Forum di Assiago, col suo ultimo show, ha raccontato la sua versione medioevale della eterna lotta fra il bene e il male, tra ballerini scatenati, sesso orale, sadomaso ed il clou di lei stessa, sopra un enorme pallone che riproduce una donna incinta, che si auto genera, fra gemiti e urla di dolore.
Non voglio entrare nel merito di canzoni e balletti, ma certo l’ossessione della carne e del sesso più patologico e feroce, preoccupano quando così volgarmente e ferocemente esposti. E non si tratta di perbenismo, ma di buon gusto.
Comunque il pubblico è andato in visibilio ed hanno apprezzato gli illustri ospiti, da Simona Ventura, a Giorgio Armani, a Donatella Versace, alla cantante Emma.
Mentre canta la hit “Poker Face” Lady Gaga si abbandona al feticcio della carne e come in una grande macelleria con trionfo di rosso e di sangue, grida: “La donna oggi non sia trattata come carne”, convinta che questo piacerà a tutti, essendo lei l’ icona della donna di successo, che tiene in pugno le redini del proprio destino, calcolando ogni passo, acconciatura, azione e, soprattutto marketing.
Pochi giorni fa, la rivista Rolling Stones, ha scritto che Gaga ha intenzione di occuparsi di Jazz e col celebre crooner Tony Bennett, la leggenda della musica statunitense, con cui aveva già lavorato per l’album “Duets II”, con un celeberrimo duetto in “The lady is a tramp”, di incidere un album.
Gli arrangiamenti dei pezzi saranno affidati a Marion Evans e il prodotto dovrebbe essere pronto per l’estate del prossimo anno.
Intanto, definita “il Picasso della musica”, porta in giro per il mondo il suo nuovo spettacolo: “Born This Way Ball”, un live diviso in cinque parti e con lo scopo di stupire visivamente, giunto al numero 60 con il concerto di Milano, l’unico in Italia e che si chiuderà a marzo 2013, con incassi, secondo calcoli prudenti, non inferiori ai 70 milioni di dollari.
Il tour, che ha avuto inizio il 27 aprile a Seul, racconta una favola gotica e brutale, in cui Mother G.O.A.T, sorta di alter ego mostruoso di Lady Gaga, riprodotto dentro un prisma sospeso sul palco e voce narrante dello show, si pone come obiettivo uccidere l’aliena Gaga che, dopo il brano “Paparazzi”, verrà appunto massacrata.
Complessivamente, nei 120 minuti dello show, Gaga canta 24 canzoni, fra cui le celeberrime “Telephone”, e “Alejandro” (che intona adagiata mollemente su un sofà) e la recente “The Edge of Glory”.
Ma ciò che colpisce sono le scenografie e gli atti sul palco. La prima è dominata da un castello a metà fra Disneyworld, Frankenstein junior e Blade Runner mentre, per le trovate, ve ne sono sin dall’inizio, con la popstar che si presenta in scena su un cavallo meccanico accompagnata da una parata di ballerine armate.
I costumi, pensati dal team creativo Haus of Gaga e da grandi nomi della moda mondiale, sono uno dei punti cardine del concerto.
Una quindicina di cambi, fra i più sorprendenti, con il piacere della autocitazione narcisista, attraverso una riedizione dell’abito di carne con cui si presentò agli MTV Awards del 2010.
Personalmente Gaga mi è sempre apparsa come un Narciso fetish, inguainata in un trionfo di gomma, cuoio, il latex, e PVC, uscita più dalla produzione cinematografica di Andrew Blake, che da Querelle de Brest di R. W. Fassbinder.
Non a caso, nel 2010, per l’edizione giapponese di “Vogue”, si fece immortalare da Nobuyoshi Araki, in pose decisamente bondage, fra accenni, trasparenze, topless e mezze scoperture.
Insomma Gaga, che emula Madonna nella creazione di una star fatta di musica, moda, glamour ed erotismo, ricorda più le feste fioritiane che il kitch di pronto impatto creato da altri veri e più grandi artisti di ieri e più recenti.
Infatti, come ha scritto Milan Kundera: “nel regno del Kitsch impera la dittatura del cuore e i sentimenti suscitati devono essere, ovviamente, tali da poter essere condivisi da una grande quantità di persone. Per questo il Kitsch non può dipendere da una situazione insolita, ma è collegato alle immagini fondamentali che le persone hanno inculcate nella memoria”.
Questo Madanna lo sa, ma Gaga deve ancora impararlo. Tutto ciò che lei è (o non è), è su un video del 2010, messo in circolazione su Youtube, una clip di 15b minuti con affianco Beyoncé, con tutti i simboli della America contemporanea, dalla prigione al fast-food, dalle stragi al mito della libertà “on the road”, dall’omosessualità femminile alla bandiera degli Stati Uniti, messi alla berlina, senza nessuna remora, ma soprattutto senza una vera, genuina ispirazione.
Quando, nel 1926, Magritte disegnò l’immagine di una pipa, aggiunse la didascalia: “Questa non è una pipa”, il suo scopo era quello di negare qualcosa che si negava già da sé, e cioè che la rappresentazione di una pipa non è mai una “pipa reale” ma “solo una rappresentazione”.
E questo vorrebbe far credere la Lady, che però non fa altro che l’apologia della violenza, della pornografia o della pubblicità.
Insomma più che Gaga io la definirei una signora “queer” – strana, eccentrica, che usa l’insulto e la volgarità per fare spettacolo e spettacolarizza temi importanti come il femminismo, la libertà e l’identità di genere, per fini commerciali.
Non credo, come dicono alcuni, che Gaga spinga milioni di spettatori ad uscire dai “dispositivi culturali” dominanti e ad interrogarsi sullo spazio ognuno di noi è oggi disposto a fare alla sfrontatezza, allo sberleffo.
Credo invece sia il prodotto di una sottocultura in base alla quale le immagini e i discorsi tendono alla semplificazione estrema, dove tutto è chiaro ed esplicito, violento e sessista.
Non fraintendermi, Lady Gaga, commercialmente è un genio, come dimostra la sua pur breve biografia.
Nata a New York in un quartiere di Manhattan, da genitori entrambi d’origine italiana, Stefani Joanne Angelina Germanotta, in arte Lady Gaga, si è trasformata in breve tempo in una delle icone più stravaganti, esagitate, discusse, controverse e criticate nel panorama della musica pop degli ultimi anni.
A 4 anni già studia pianoforte e a 13 compone la prima ballata, mentre a soli 17 è una delle venti persone al mondo ad ottenere l’ammissione anticipata alla Tisch School of the Arts, presso la New York University, dove studia musica e scrive saggi a tema religioso per affinare la sua capacità di scrittura.
Assunta dall’etichetta Akon come cantautrice, scrive per artisti come Fergie, Pussycat Dolls, Britney Spears e poi debutta nel 2008, a soli ventidue anni, con The Fame, di cui pubblica la ristampa nel 2009: The Fame Monster, che oltre ai suoi successi, contiene ben otto inediti.
Nel 2011 esce il suo terzo album Born This Way e dichiara che, per la sua musica, si ispira al glam rock di David Bowie e dei Queen (di cui è grande estimatrice), al pop di Madonna e Michael Jackson, mentre per le biondissime parrucche, che sfoggia in molti dei suoi video, prende a modello Donatella Versace.
Ma, non tanto ascoltandone le canzoni, ma guardandone i video e le performance, è palese il fiorire, a scopo di puro lucro, di incitamenti alla promiscuità, senza le dovute precauzioni per prevenire gravidanze o malattie sessualmente trasmissibili, soprattutto tra i giovanissimi che sono più facilmente influenzabili perché sono continuamente tartassati da questi messaggi potenzialmente ambigui.
E quando qualcuno gli ha fatto capire che questa critica poteva essere considerata giusta, per non alienarsi nessun possibile acquirente, si è presentata al programma mattutino Good Morning America travestita da preservativo promuovendo “sesso sicuro e utilizzo dei preservativi” ed affermando di apprezzare il sesso solamente da due anni, grazie al suo fidanzato, Luc Carl e sottolineando l’importanza di avere rapporti protetti e raccontando di aver sempre fatto sesso sicuro.
Io sono fra chi, come Noel Gallagher, ex o degli Oasis, sostiene che tutto il suo lavoro si basi sullo scandalo forzato, che sia brava solo nel vendere la propria immagine e a ideare trovate pubblicitarie e, soprattutto, che a differenza di Bowie, di Madonna e dei Queen, tra vent’anni sarà stata del tutto dimenticata.
Carlo Di Stanislao
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