Bike Sharing? Italia agli ultimi posti

Il bike sharing (traducibile come “condivisione della bicicletta”, talvolta indicato come servizio di biciclette pubbliche) è uno degli strumenti di mobilità sostenibile a disposizione delle amministrazioni pubbliche che intendono aumentare l’utilizzo dei mezzi di trasporto pubblici (autobus, tram e metropolitane), integrandoli tra loro (trasporto intermodale) e mediante l’utilizzo di biciclette condivise per i viaggi di […]

Il bike sharing (traducibile come “condivisione della bicicletta”, talvolta indicato come servizio di biciclette pubbliche) è uno degli strumenti di mobilità sostenibile a disposizione delle amministrazioni pubbliche che intendono aumentare l’utilizzo dei mezzi di trasporto pubblici (autobus, tram e metropolitane), integrandoli tra loro (trasporto intermodale) e mediante l’utilizzo di biciclette condivise per i viaggi di prossimità dove il mezzo pubblico non arriva o non può arrivare. È quindi una possibile soluzione al problema dell'”ultimo chilometro”, cioè quel tratto di percorso che separa la fermata del mezzo pubblico alla destinazione finale dell’utente.

Da anni il “bike sharing” presente in numerose città europee è un indispensabile sistema di trasporto urbano soprattutto in alcuni centri grandi o piccoli che siano. Ma non in tutti però. Perché una recente inchiesta a livello europeo che Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, riporta anche in Italia, ha rivelato che ancora esistono una serie di problemi ed anomalie connessi a tale tipo di mobilità in alcune città del Vecchio Continente.

Il Touring Club Svizzero (TCS) per la prima volta in Europa ha avviato unitamente a 17 altri club di 16 paesi europei una sorta d’inchiesta per esaminare a fondo i sistemi di noleggio delle biciclette, prendendo in esame 40 città di 18 stati europei. L’indagine è partita dal 20 marzo e si è conclusa il 22 maggio 2012.

Unitamente agli altri partner europei, sono stati messi sotto la lente d’ingrandimento 40 sistemi di “bike Sharing” in altrettante città di 18 Paesi d’Europa e subito sono state evidenziate grandi differenze tra i diversi sistemi europei. I criteri del test hanno riguardato la qualità della bicicletta, l’accessibilità del sistema e le informazioni a disposizione dei turisti. In particolare, la diversità dei sistemi è stata evidenziata dall’accessibilità per l’utilizzazione spontanea, soprattutto per le persone che scoprono la città per la prima volta. Sono state prese in considerazione anche la facilità d’accesso e le differenti possibilità d’utilizzo. Per completare la valutazione, sono stati esaminati la quantità e la qualità delle informazioni disponibili, l’equipaggiamento della bicicletta e i siti internet.

Una sola città ha ottenuto il voto “molto buono”. Con il suo sistema “Vélo’v”, Lione è al primo posto. Con ben 343 stazioni e 4000 biciclette, la città d’oltralpe è un esempio cui ispirarsi: le bici sono fruibili per tutti (24 ore su 24) alle fermate dei trasporti pubblici, la registrazione è rapida e gratuita, le stazioni sono completamente automatizzate e le informazioni risultano essere disponibili in varie lingue.

Mentre tre altri sistemi sono giudicati addirittura “molto insufficienti”. Per esempio all’ultimo posto si trovano Amsterdam e l’Aia. Nelle due città dell’Olanda l’iscrizione è a pagamento e solo online, l’uso immediato del mezzo è pressoché impossibile, non si può restituire la bici in una stazione di propria scelta, il pagamento deve avvenire solo tramite prelievo bancario, le informazioni sono unicamente in olandese, le biciclette non hanno il cambio marce e la collaborazione con i trasporti pubblici è inesistente.

Per il resto, il test rivela che oltre la metà delle città prese in esame ottengono la menzione “buono”.

L’Italia, com’era prevedibile quando si parla di sistemi innovativi che possono portare benefici alla collettività, si trova tra gli ultimi posti della graduatoria. Solo i “bike sharing” di Milano e Torino ottengono il voto “buono”, mentre quello di Parma deve accontentarsi di un “sufficiente” e quello di Bari addirittura “insufficiente” tra le ultime in classifica.

Infatti, nelle città italiane, l’utilizzo di queste biciclette è concesso solo dai 16 o dai 18 anni, le informazioni sono disponibili soltanto in inglese, le hotline sono a pagamento e la connessione con i trasporti pubblici non è ottimale.

E Lecce? Lecce, nonostante sia una polo d’attrazione turistica di rilevante importanza, non figura neanche negli elenchi nonostante un sistema inaugurato trionfalisticamente a settembre 2009 e quindi in notevole ritardo rispetto al resto delle città a “dimensione europea” avendone potuto mutuare le esperienze positive. È incredibile, rileva lo “Sportello dei Diritti” che ad oggi non è possibile neanche conoscerne l’effettivo indice di gradimento da parte degli utenti.

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