Sei infilato dentro una scatola. La scatola può essere colorata. Oppure grigia e pesante. Può anche essere diroccata e puntellata. Ma sei infilato dentro una scatola.
Tu non decidi per te. Ci sono altri che lo fanno, e ti sollevano dalla fatica. Qualcuno insegue i tuoi gusti e gli istinti per spiegarti cosa deve piacerti. E te lo offre pronta consegna, come se avesse letto nel fondo dei tuoi occhi. Qualcuno ti impone i gesti, i percorsi e le strade. Forse lo fa per il tuo bene. O forse lo fa per il suo profitto, che però è un bene superiore. E certe volte ti premia, quando gli cade una briciola dalla tovaglia. O quando ti lascia spiare nel suo mondo dorato. Mentre dentro di te sedimenti, come un fiume che non si ferma, che quello è il modo giusto di essere. Dalla taglia delle mutande, alla marca della pistola.
Qualcuno ti spreme il tempo.
Mentre sei confortato in automobile dalla musica, dal condizionamento dell’aria, dalla protesi telefonica. E ti rechi dalla tua quasi-casa al tuo indispensabile appuntamento con l’acquisto. Lontano, in una terra straniera di capanne cementificate industriali con le vetrine. Mentre devi ripetere in serie i gesti del tuo lavoro efficientandoli produttivamente sotto le urla silenziose del ricatto. Mentre non ti è chiesto di comprendere quel che fai, ma solo che devi farlo. E come ti viene detto di farlo. Per pensare hai tempo. Dopo.
Mentre rincorri nomi invisibili che devono esprimere un parere sulla tua ricostruzione, o sulla tua preparazione ad un concorso. E il tempo diventa denaro. E anche impossibilità di vivere, dentro spazi che non puoi scegliere.
Ci sono i sogni pret à porter.
La bellezza che devi avere la puoi comprare da un manifesto sulla strada. Iniettandoti abbronzature invernali e botulini estivi. O puoi comprare armi allo scopo di avere viaggi in regalo, quelli dei tuoi sogni, ovvio. E poter scrivere, sulla giusta app del cellulare, quante città hai toccato in fuga. Tra uno scalo e l’altro mentre acquisti nei free shop una confezione di salmone thailandese. Ma, di certo, puoi anche sognare che riapra il cinema in centro. Purché la prima proiezione sia “Gli amici del bar Margherita”.
E se sognavi di partecipare ad una discussione che decidesse del tuo qualunque futuro, e non ci sei riuscito perché hai sbattuto contro le Ordinanze, contro le Zone Rosse, contro la deresponsabilizzazione finalizzata all’anestesia, contro il Comando e Controllo scritto su tutti i cartelli, puoi sempre consolarti con le classifiche della razza. Abruzzese forte e gentile, ma non operoso come l’Emiliano, certo non camorrista come fu il Campano. Sogna che il male sia solo d’importazione. E che la televisioni ti nomini quando una velina dirige l’orchestra Wagner dall’auditorium del Palladio. Così sogni d’essere ancora notizia. Quelle che il giorno dopo servono ad incartare il pesce. E se sei giovane, ti spiegano anche che hai l’obbligo di sognare, ma solo i sogni che non disturbano il manovratore e mettono da parte qualche anziana idea terribilmente attuale.
E, soprattutto, sogna una scuola migliore, che esca dal musp e torni in casa dove finalmente “ il marchesino d’alto ingegno perché d’alto lignaggio”, abbia il giusto premio con una laurea odoris causa.
Qualcuno spiega che ti sbagli.
Mentre stendi la memoria ad asciugare accanto ai calzini. La tua memoria ti racconta la città dove non sei mai stato e quella che non avrai mai. Perché leghi la tua memoria alle mani che camminavano accanto a te, e non al tramonto di una città già devastata e tradita. E ti annodi ad un passato che altri hanno riscritto a loro uso e consumo. E dalla memoria scacci tutte le doppiezze mentre non riconosci nulla di quel che hai intorno, recintato d’arancione cantiere. E cammini senza vedere quello che non c’è più, quello che non c’è mai stato e quello che ti raccontano sorgerà all’alba. Ma ti sbagli, comunque ti sbagli. Perché il tuo domani qualcuno l’ha già trovato, e a te non resta che adeguarti. E non fa nulla, se hai smarrito il senso dell’orientamento. Segui le luci al neon, e vedrai che non sbagli strada.
Sei in una scatola. Del computer, della televisione. Di una C.A.S.A., di una S.C.U.O.L.A o di un Ufficio di Collocamento. Sei in una scatola, alla fabbrica e nel tuo ufficio. In una Chiesa.
Il problema è che fin quando non vedi i nastrini colorati che ti legano graziosamente penserai anche che sono prigionieri. Gli altri.
Siamo tutti a termine, ma qualcuno più degli altri.
Per questo, ci dobbiamo riconoscere. E non avere più paura.
Luigi Fiammata
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