Non si può fare una graduatoria sulla qualità in senso cronologico poiché esiste il buono ed il cattivo, lo sbagliato ed il corretto fuori dalla anagrafe.
Sono le idee ad essere vincenti e non necessariamente solo quando sono innovative. Eppure il respiro (ed il pensiero) della politica italiana è così esile, da ridurre tutto, in un momento cruciale, ad una questione di rottamazione su criteri biologici.
La questione D’Alema-Renzi con il primo da rottamare è al centro della scena da più giorni, con Bersani che svincola, Veltroni che fa il bel gesto del passo indietro, Letta (Enrico) che, pur essendo giovane, fra la mossa di un pre-ritiro, in compagnia di Giovanna Melandri e Pierluigi Castagnetti ed il diniego secco e stizzito di Rosy Bindi, Piero Fassino e Anna Finocchiaro.
“Io non rottamo nessuno, ma punto a rinnovare assieme” ha detto Bersani a proposito della lettura data dai media sulla presunta rottura con D’Alema, chiarendo: “sento dire che io scaricherei questo o quel deputato. Ora chiedo che questa polemica la si chiuda per favore. Io ho detto una cosa chiara: che io i deputati non li nomino e che nell’Italia che ho in testa io i deputati non li nomina né Berlusconi, né Renzi, né Bersani”.
Un chiarimento pilatesco o a metà, perché Bersani sa bene che dietro l’attegiamento dell’ex-presidente del Consiglio, che ha raccolto la sfida di Renzi, rumoreggia un bel pezzo di gruppo dirigente, consapevole di trovarsi in condizione di essere rottamato.
Comunque, come nota Marcello Sorgi su La Stampa, se la questione dovesse veramente essere affrontata secondo le vecchie regole interne, il segretario, che non si è certo espresso a favore del ritorno di D’Alema in Parlamento, dovrebbe prendere atto che s’è aperta una crepa nella sua maggioranza interna, di cui appunto l’ex-premier è un pilastro.
Ma nel partito, ormai in corsa verso le primarie, tutte le regole sono saltate e le uniche cose che conteranno saranno le percentuali che usciranno dai gazebo del primo turno, il 25 novembre.
E, aggiunge l’acuto giornalista, a questo punto le possibilità sono solo due. Se Bersani vince, ma senza superare la soglia del 50 per cento, sarà portato a spingere ancora sul rinnovamento, per conquistare più voti al secondo turno. Se invece sarà Renzi ad arrivare primo, il precario equilibrio interno del Pd non reggerà, con tutte le debite conseguenze.
Comunque Bersani sta cercando una mediazione e si sta sforzando di fare anche un po’ di strategia politica, in mezzo a questa rissa più basata sulle singole persone che sui problemi del Paese.
A Repubblica tv ha detto che Mario Monti dovrà avere un ruolo anche dopo le elezioni e avvertito che: “Sarebbe simpatico non tirarlo per la giacca e non battezzarlo”.
A poi chiarito che, se il Pd, andrà al governo, ritoccherà la riforma delle pensioni. “Non vogliamo sbaraccare i conti ma ci sono margini di perfezionamento”, aggiungendo: “questo “non significa rivoltare la riforma ma correggere quell’elemento mancante che e’ stato un meccanismo minimo di transizione” e concludendo che bisogna “perfezionare il meccanismo per vedere se si possono introdurre elementi di flessibilità perché così e’ un po’ troppo secco, senza toccare le prospettive di risparmio”.
E siccome vede il pericolo nella crescita dello scontento popolare, rinvigorito dalla cattiva politica e dalla corruzione, attacca anche il Movimento 5 Stelle” di Grillo, che definisce “genericamente antisistema” senza destra né sinistra ma con “uno solo che comanda, con linguaggi mutuati da culture non certo di sinistra”.
Infine, resosi conto le continue rotture internarne nocciono ai propri elettori, ha chiesto ai contendenti delle primarie nel Pdl, di smetterla con i vittimismi, affermando: “Ne ne ho sentito anche troppo di vittimismo” e aggiungendo: “Si combatte ad armi pari e chi vince vince, saremo tutti li’ a sostenere il candidato che vince” e promettendo che: “se le facciamo per bene, tra comeptitori e non nemici, il giorno dopo non ci ammazza più nessuno “.
In verità, dopo la rottura con Casini, il Pd è sempre più nei guai e la fastidiosa polemica di questi giorni, dimostra quante anime divise lo attraversano, con membri che vorrebbe stare con Casini e non con Vendola, altri con Vendola ma non con Casini e chi vedrebbe bene un Monti bis, che da altri ancora è visto come il fumo agli occhi.
Sicché fra correnti, idee e rottamazioni, l’unica cosa che Bersani può fare è impedire l’implosione, mettere assieme le schegge impazzite e preparare un programma credibile per il Paese.
Impresa davvero di portata epocale, considerando che, pur essendo il segretario, la sua leadership appare, ora, fortemente ridotta.
Carlo Di Stanislao
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