Intra moenia ed extra moenia: l’Aquila dentro e fuori le mura. Fino a ieri “città e contado”, oggi “città storica e periferia”, ma sempre collocata fra due realtà distinte, separate da una frontiera, che a volte si fa barriera per respingere l’altro, a volte si fa porta per incontrarlo. Aderendo ad un sano principio di coesione sociale, “le città non hanno soltanto una vocazione, ricorda Antonio Calafati, ma anche delle responsabilità nei confronti del territorio sul quale si esprimono gli effetti delle loro scelte”. E’ uno dei temi più urgenti delle città italiane ed europee quello di “prendersi cura” delle periferie e dei centri minori e di inserirli in una visione sistemica. Una città che intende candidarsi nell’agone internazionale di “capitale europea della cultura” non può esimersi dal considerare il valore strategico di questa problematica. Come è stato più volte ricordato con sottile ironia, il cittadino aquilano si trova sospeso ora qua, ora là, vivendo tra la sicurezza da una identità e centralità che gli deriva dal limite, in quanto strumento di definizione, ed una consapevolezza della precarietà di tale limite. La risposta forse sta nel varcare gli antichi limiti mentali e spaziali per tracciarne di nuovi e di più vasti e accrescere così anche la passione per superarli. Portandosi fuori le mura la periferia aquilana ha valicato i confini della città chiusa, ma non ne ha tracciato di nuovi. E’ una città in progressiva e caotica espansione, che si rifiuta di porre frontiere alla sua dilagante avanzata. Analogamente, l’autonomia di pensiero e di giudizio che il cittadino oggi esplicita nei siti internet, ha varcato le soglie che fino a ieri le avevano impedito di manifestarsi. Ciononostante questa libertà si esprime ancora con i segni propri della liquidità, che le impediscono di solidificarsi in forme concrete di democrazia partecipativa. Tra la sicurezza della identità di ieri che si alimentava del limite e l’attuale consapevolezza della inconsistenza di questi, il cittadino vive in una dimensione che oscilla tra utopia e disincanto. Credere fiduciosamente nella crescita, nel superamento dei limiti, promuovere nuove forme di complicità e di unione forse è utopico, ma ugualmente stolte sono l’idealizzazione nostalgica del passato e la solenne enfasi catastrofica. Fare come Ulisse! Senza lasciarsi irretire dalle lusinghe delle sirene l’eroe di Troia fa ritorno ad Itaca, alla sua identità, ma se ne allontana subito per andare alla ricerca di limiti più vasti, oltre le colonne d’Ercole. Andare “oltre-uomo”, suggerirebbe Nietzsche, per portarsi verso una nuova forma dell’Io, non più compatto e unitario, ma costituito da una “anarchia di atomi”, da “una molteplicità di nuclei psichici e di pulsioni non più imprigionate nella rigida corazza dell’individualità”. Questa possibile mutazione dell’io oggi si va realizzando grazie all’avanzare di una realtà sempre più “virtuale”. Una mutazione in atto che a l’Aquila è stata favorita dal sisma. Molte pulsioni e nuclei psichici si sono liberati della corazza del centro storico e dei limiti imposti da una democrazia rappresentativa. Ma questa liberazione, questa “anarchia di atomi” è da festeggiare o è una malattia da combattere? Combattere il nichilismo delle immense periferie aquilane nei loro risvolti fisici e psichici, oppure portarlo alle estreme conseguenze? Combattere i limiti della “democrazia liquida”, oppure portarla alle estreme conseguenze? E’ la frontiera che ci si para davanti. In ogni caso le soluzioni non vanno rinviate a tempi indefiniti. L’argomento merita di essere affrontato senza ulteriori rallentamenti, con l’urgenza e la gravità dell’oggi, senza attardarsi troppo sui “salotti privilegiati” del centro storico, ma neppure su quelli dei siti internet. Seppure entrambi insostituibili, potrebbero acuire quei fenomeni di insostenibile dissonanza tuttora presenti.
Giancarlo De Amicis
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