“La democrazia è il governo del popolo, dal popolo, per il popolo”(Abraham Lincoln). God bless America! Martedì 6 Novembre 2012 gli Americani eleggono il Presidente degli Stati Uniti. L’evento sarà seguito in diretta Tv, via satellite e su Internet, da miliardi di persone. Molti statunitensi hanno già votato o stanno votando per posta. Pare ragionevole pensare, parafrasando l’acuta osservazione di David Letterman, che ormai negli Usa si vota tutto l’anno. Anche a Natale. Perché tutto è Politica. Chi vincerà la Presidenza degli Stati Uniti d’America? Il democratico Barack Hussein Obama, avvocato e professore di diritto costituzionale, oppure l’imprenditore repubblicano plurilaureto Mitt Romney? Chi sarà il 45mo Presidente degli Stati Uniti d’America? Chi sono i Grandi Elettori? Che cosa sono e come si svolgono le Elezioni Primarie istituzionali? Come ci si schiera liberamente nei Caucus tra Repubblicani e Democratici? Vi piacerebbe uno Stato dove sono i cittadini liberi e consapevoli, e non i segretari-tribuni dei mille partiti e movimenti, a scegliersi il capo dello Stato e del Governo? Vi piacerebbe una Repubblica Federale dove non ci sono mai crisi di governo, dove il merito è un principio costituzionale e la Federal Reserve svolge egregiamente il suo lavoro altrettanto costituzionale di prestatore di ultima istanza, dove non sono possibili ruberie di danaro pubblico ed elezioni politiche anticipate, dove la First Lady svolge un ruolo istituzionale? Sono gli Stati Uniti d’America. La Dichiarazione d’Indipendenza del 4 Luglio 1776 è la sorgente dello spirito americano. Il sistema elettorale degli Stati Uniti è piuttosto complesso. È frutto della forma federale dello Stato e della visione altamente democratica delle Istituzioni voluta dai Padri costituenti alla fine del Settecento. Occorre comprenderne i tratti principali se si vuole capire come funziona la Democrazia in America e la campagna elettorale presidenziale. Gli Americani il 6 Novembre 2012 (i militari, il personale diplomatico all’estero e molti cittadini degli States, stanno già votando!) si recano alle urne per scegliere il nuovo Presidente sulla base di un sistema elettorale che non ha subito sostanziali modifiche dai tempi della Dichiarazione di Indipendenza. La Costituzione degli Stati Uniti d’America prescrive solo tre requisiti al futuro Presidente della più grande e potente Democrazia sulla Terra: almeno trentacinque anni di età, che sia cittadino americano per nascita e che risieda negli Stati Uniti da oltre quattordici anni. Hanno diritto al voto tutti i cittadini americani che hanno compiuto diciotto anni di età. Per esercitare questo diritto, il cittadino deve iscriversi alle “liste elettorali”. Il sistema elettorale americano è “indiretto”. Non sono i cittadini ad eleggere direttamente il Presidente, ma i 538 Grandi Elettori che in un secondo momento si riuniscono nelle capitali dei singoli Stati degli Usa. I cittadini sulla scheda esprimono la preferenza per un candidato Presidente: nel farlo eleggono una lista di Grandi Elettori associati al candidato prescelto. Negli Usa è ogni singolo Stato a contare e pesare direttamente nell’elezione presidenziale. I “voti popolari” dei cittadini si contano Stato per Stato, non al livello nazionale. Colui che vince, anche di uno solo voto, in uno Stato conquista tutti i Grandi Elettori in palio in quello Stato. Con parziali eccezioni nei piccoli Maine e Nebraska che sono suddivisi in Collegi Elettorali. Chi riesce a far eleggere almeno 270 Grandi Elettori vince per quattro anni la Casa Bianca. I Grandi Elettori, per tradizione e giuramento, sono tenuti a votare per il candidato alla Casa Bianca cui sono associati nelle schede. Ma non mancano le teoriche e clamorose eccezioni. Ogni Stato, piccolo o grande, negli Usa ha diritto a due Grandi Elettori più tanti altri quanti sono i deputati inviati alla Camera dei rappresentanti. I deputati alla Camera sono attribuiti secondo la popolazione. Gli Stati più grandi ne hanno di più. I piccoli Stati sono relativamente sovra-rappresentati rispetto alla popolazione: il Vermont ha tre Voti Elettorali” e la California ne ha 55. Le ultime settimane della campagna elettorale presidenziale si concentrano sugli “Swing States”, cioè su quegli Stati dove i sondaggi danno un esito incerto e dove pochi voti possono far pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra. Negli Usa non esiste un Viminale che fornisca e certifichi i risultati a livello nazionale. La grande notte elettorale, tra il 6 e il 7 Novembre, i candidati e i loro staff la passano in attesa dei risultati dei singoli Stati. Le diverse catene televisive, i quotidiani e i loro siti web, valutano in tempo reale gli “exit poll”, le proiezioni, infine i dati reali effettivi e attribuiscono, secondo i loro calcoli, uno Stato a un contendente o a un altro, via via colorando di blu (i Democratici dell’Asinello) e di rosso (i Repubblicani dell’Elefante) le cartine delle Contee, degli Stati e del Paese. Saranno poi i 538 Grandi Elettori, il 15 Dicembre, a votare direttamente nei rispettivi Stati per il Presidente eletto dal popolo americano. Mitt Romney può vincere in Texas, Florida, Pensylvania, Ohio, e perdere in California: Obama può vincere a New York e perdere in Arizona: basta vincere, anche di un solo voto, in uno Stato per aggiudicarsi tutti i suoi Grandi Elettori in palio in quello Stato. Come già accadde nell’ultima tornata elettorale, l’Ohio risulterà decisivo. In palio anche Florida, Nevada, Colorado, North Carolina, Missouri, Indiana e Virginia. Gli Stati Uniti d’America sono una Repubblica presidenziale federale composta da 50 Stati e da un distretto, il Distretto della Columbia (DC). Washington è la capitale federale in cui si svolgono le funzioni pubbliche su due livelli, federale e statale. Le competenze delle funzioni federali e statali sono stabilite dalla Costituzione. Il Presidente degli Stati Uniti non è solo il capo dello Stato: a livello federale esercita il Potere esecutivo. Il Potere legislativo è affidato alle due Camere del Congresso (Camera dei Rappresentanti e Senato). Il numero dei Grandi Elettori, eletti su base statale, è pari alla somma dei deputati e dei senatori di ogni Stato. Per i voti popolari dei cittadini non viene fatto un conteggio generale ma singolo, Stato per Stato, con un sistema maggioritario secco chiamato “winner-takes-all”. Nel Maine e nel Nebraska, i Grandi Elettori sono suddivisi in Collegi Elettorali e vengono eletti dal popolo con il sistema proporzionale. Se nessun candidato alla carica di Presidente raggiunge il quorum, la decisione finale viene presa dalla Camera dei Rappresentanti che sceglierà fra i primi tre candidati che hanno raggiunto il maggior numero di voti. Secondo questo sistema elettorale il candidato vincente potrebbe non essere il favorito dalla maggioranza degli elettori che ha espresso il voto. Un caso di riferimento è avvenuto nelle elezioni del 2000. Al Gore, candidato democratico, ebbe mezzo milione di voti in più rispetto al repubblicano George W. Bush. I voti del candidato repubblicano erano però distribuiti in maniera più omogenea nei vari Stati, di conseguenza il numero dei Grandi Elettori vinti dai democratici furono inferiori. Negli Stati Uniti la data delle elezioni per la carica presidenziale e vice-presidenziale è fissata dalla Legge. L’Election Day (nei singoli Stati e nelle varie Contee si vota anche per le amministrazioni locali, per cui un elettore può esprimere nell’urna molte altre preferenze) deve essere il martedì successivo al primo lunedì del mese di Novembre, a quattro anni dall’ultima elezione presidenziale. Ogni due anni si indicono le elezioni per i membri della Camera dei Rappresentanti e per un terzo dei componenti del Senato. In Autunno ha inizio ufficialmente la campagna elettorale presidenziale, preceduta nel periodo estivo dai “Caucus”, dalle “Convention” e dalle Elezioni Primarie per stabilire i candidati dei principali partiti. Con il termine Caucus (parola più che magica dei Nativi Americani, i primi a creare negli States il Parlamento democratico dei capi tribù Algonquin) si intende un Incontro informale o formale fra membri e sostenitori di un partito politico, dove ci si schiera apertamente. Nel caso del processo di elezione presidenziale è la Riunione distrettuale degli attivisti locali di Partito. In questa Riunione svolta con la modalità del dibattito aperto, vengono scelti i rappresentanti delegati da inviare alle Riunioni di Contea. I rappresentanti delegati alle Riunioni di Contea sceglieranno a loro volta i delegati per le Riunioni di Stato, dove verranno votati e scelti i rappresentanti da inviare alla Convention nazionale del Partito. Questo sistema altamente democratico permette ad un maggior numero di persone non solo di partecipare alla vita politica, ma anche di indicare il candidato presidenziale preferito dal Partito in ogni Stato. Poiché le preferenze sui candidati si effettuano in ambito di Distretto Elettorale, le “Nominations” per la presidenza vengono democratizzate capillarmente. Nello Stato dell’Iowa i Caucus vengono definiti “Riunioni del vicinato” perché non solo si vota ma vengono anche attivati Gruppi di discussione in ben 1.784 seggi. Da alcuni decenni, l’apertura della stagione del voto viene data dai Caucus” in Iowa e dalle Primarie in New Hampshire. Le Primarie sono vere e proprie elezioni istituzionali con elettori che si recano ai seggi per votare il proprio candidato. Le Elezioni Primarie sono votazioni che non riguardano sempre un solo Partito. Vi sono due varianti di Elezioni Primarie, le chiuse e le aperte. Nelle Primarie chiuse sono ammessi esclusivamente elettori iscritti nelle liste elettorali del Partito che ha indetto le elezioni. Nelle Primarie aperte possono votare tutti gli elettori, anche simpatizzanti di altri partiti, l’importante è che siano iscritti alle Liste Elettorali. Ogni Partito ha un numero variabile di delegati da poter eleggere alle Primarie: maggiore è il numero di abitanti dello Stato dove si svolgono, maggiore è il numero dei delegati da eleggere. Negli Usa l’iscrizione alle Liste Elettorali non è un diritto che si acquisisce al compimento della maggiore età. Non esistono, infatti, liste elettorali istituzionali comunali dai quali i Partiti acquisiscono i dati degli aventi diritto al voto per fare propaganda elettorale ed intasare di pubblicità le abitazioni e i luoghi di lavoro. Negli Usa ogni volta che si vuole votare bisogna iscriversi alle Liste Elettorali di riferimento in una sezione di Partito. Inserito nella Costituzione americana dai “Founding fathers” come un elemento teso a tenere lontane dalle elezioni “le passioni popolari”, il sistema del Collegio elettorale si basa sull’idea che l’elettore, esprimendo il suo voto, in realtà non vota il candidato ma una serie di Grandi Elettori, a lui collegati, che lo voteranno per la Casa Bianca in un secondo momento. Per un sacco di buone ragioni. Soprattutto di ordine pratico. L’elezione del Presidente degli Stati Uniti e del Vice Presidente avviene mediante una procedura di secondo grado come disciplinato dall’Articolo 2 – Sezione 1 della Costituzione statunitense, modificato nel 1804 con la ratifica del 12º Emendamento e nel 1961 con la ratifica del 23º Emendamento. Poiché ad ogni Stato è concesso un numero di membri della Camera dei Rappresentanti diverso e in proporzione alla propria popolazione (almeno uno) e un numero fisso di due Senatori, il numero di Grandi Elettori varia da Stato a Stato. Ma mai meno di tre. E tre sono i Grandi Elettori che hanno diritto di eleggere gli abitanti del Distretto Federale di Washington che, fino all’approvazione del 23° Emendamento, non appartenendo ad alcuno Stato, erano esclusi da ogni procedura elettorale. Ogni Stato è libero di determinare i criteri del sistema elettorale, purché diretto, con cui eleggere i propri Grandi Elettori. Quarantotto Stati hanno optato per il sistema “winner-takes-all”. Per cui la lista di candidati che ottiene il maggior numero di preferenze viene eletta in blocco. Il criterio della data fissa per l’Election Day, è spiegabile con ragioni storiche. Gli Americani sono un popolo di lavoratori. All’epoca dei Padri Fondatori della Federazione era loro cura garantire la massima partecipazione politica degli elettori (agricoltori in massima parte) della nuova Unione, elettori che erano per la maggior parte proprietari terrieri, essendo l’accesso al voto anche legato al censo, che potevano dedicarsi solo in tardo autunno, alla vita politica. La Primavera e l’Estate, infatti, erano occupati nei lavori agricoli. Dopo gli ultimi raccolti, poco prima dell’Inverno inoltrato che avrebbe reso complicati se non impossibili i trasporti in una Nazione grande con pochi centri urbani, il tempo della politica era possibile e giusto. La Costituzione degli Stati Uniti rimanda ad una legge federale la determinazione di una data precisa che fu fissata nel 1845 nei primi giorni di Novembre, cioè in un periodo in cui si presumono compiute tutte le attività agricole, quando le condizioni meteorologiche sono ancora accettabili. La scelta di non votare di Domenica è dovuta alla volontà di non interferire con le pratiche religiose del riposo festivo, come prescrive la Sacra Bibbia, molto rispettate nell’ambiente cristiano puritano. Domenica è il Giorno del Signore. Era da escludere che gli elettori si mettessero in viaggio per raggiungere i centri urbani lontani decine di miglia, sedi dei seggi. Al viaggio a cavallo era dedicato il Lunedì e il Martedì successivi quando avrebbero potuto compiere benissimo la loro scelta. Tali ragioni religiose oggi vengono ancora rispettate in omaggio ai Padri Fondatori e, benché non siano più valide sul fronte del meteo e dei trasporti, non si è mai considerato necessario modificare la data dell’Election Day per una “moda” progressista passeggera. I Grandi Elettori così designati si riuniscono ciascuno nella capitale dei rispettivi Stati, non in un unico grande collegio, il Lunedì dopo il secondo Mercoledì di Dicembre per procedere all’elezione del Presidente e del Vice Presidente degli Stati Uniti. In pratica esprimono pubblicamente i propri voti per uno dei “ticket” candidati alla Presidenza degli Stati Uniti. Conclusa la procedura elettiva, viene redatto un puntuale verbale della Riunione Elettorale Presidenziale che viene inviato a Washington. Il 6 Gennaio il Congresso degli Stati Uniti, a Camere congiunte, procede all’apertura della busta ed al conteggio dei voti che ciascuno Grande Elettore ha espresso. I candidati che raggiungono la maggioranza dei Voti Elettorali sono eletti alla carica di Presidente e Vice Presidente. Il candidato vincente è già noto al termine dell’Election Day poiché le liste di candidati a Grande Elettore nei singoli stati della Federazione sono esplicitamente collegate ai candidati alla Presidenza e Vice Presidenza. Ogni cittadino elettore voterà per una lista che è espressione di un candidato e del suo Partito. La vittoria di quella lista garantirà che i Grandi Elettori, espressione del Partito, voteranno i candidati alla Presidenza e Vice Presidenza. In alcune elezioni si è verificata l’eventualità che un eletto in una lista di Grandi Elettori si sia poi rifiutato di votarne il candidato o addirittura ne abbia preferito l’avversario. Il “Grande Elettore infedele” è punito in 24 Stati della Federazione. I voti elettorali vengono aggiudicati all’interno di ciascun Stato con un sistema maggioritario secco, il “winner-takes-all”. Fanno eccezione per Nebraska e Maine, gli unici due Stati che hanno scelto di assegnare i loro Voti Elettorali, rispettivamente cinque e quattro, con il sistema proporzionale. In tutti gli altri Stati il vincitore prende tutto, anche se per uno scarto minimo di voti, come dimostrano le Presidenziali di George W. Bush che nel 2001 si aggiudicò, con un vantaggio di poche centinaia di voti, tutti i 27 Voti Elettorali della Florida, decisivi per la Casa Bianca, dopo la clamorosa verifica delle schede che tenne il mondo con il fiato sospeso per diverse settimane. Incidenti di percorso si verificarono anche nel 1888, ai danni del Presidente in carica Grover Cleveland che quattro anni dopo fu rieletto diventando l’unico Presidente a tornare alla Casa Bianca dopo una sconfitta; e nel 1876 quando le elezioni furono perse dal democratico Samuel Tilden che aveva vinto il voto popolare. In caso di parità tra i due candidati all’interno del Collegio elettorale, la decisione viene demandata alla Camera dei rappresentanti che sceglie il Presidente fra i tre candidati con il maggior numero di Voti Elettorali. La delegazione di ciascuno Stato alla Camera deve esprimere un solo voto e se non riesce ad avere una maggioranza al suo interno, il suo voto non verrà conteggiato. Diventa Presidente chi ottiene la maggioranza dei voti degli Stati: in questo caso estremo è 26. Le Elezioni Presidenziali furono decise due volte dalla Camera: nel 1800, quando Thomas Jefferson e Aaron Burr ottennero ciascuno 73 voti del Collegio Elettorale e Jefferson vinse solo al 36esimo ballottaggio; e nel 1824, quando Andrew Jackson ottenne 99 Voti Elettorali, John Quincy Admas (aveva avuto più voti popolari) 84, William Crawford 41 e Henry Clay 37. Poiché nessuno raggiunse la maggioranza, decise la Camera e vinse Jackson al primo ballottaggio. Certamente tra gli scenari più foschi, molto comuni nella politica italiana dei tradimenti, un po’ meno nelle Elezioni Presidenziali Usa, aleggia il fantasma del possibile tradimento da parte di un Grande Elettore del suo candidato al momento della riunione del Collegio elettorale, quando si verificano condizioni di pressoché assoluta parità tra i candidati. Nella storia americana più recente non sono mancati questi tradimenti. Nel 1988 Margaret Leach, Grande Elettrice del candidato democratico Michael Dukakis che fu nettamente sconfitto da Ronald Reagan, votò per il candidato alla Vice Presidenza, il senatore Lloyd Bentsen. Nel 1976 fu un Grande Elettore repubblicano dello Stato di Washington (da non confondere con la Capitale) che invece di votare per lo sconfitto Gerald Ford votò, anticipando i tempi, per Reagan. Nel 2000, in segno di protesta per il modo in cui era stata condotta l’elezione un grande elettore di Al Gore votò scheda bianca. Fu una sorpresa ininfluente ai fini dei risultati. In base alla Costituzione, l’autorità ultima, politica e governativa, è affidata all’elettorato statunitense. Il popolo non esercita questo diritto direttamente, ma delega gli affari quotidiani del governo ai funzionari pubblici, sia eletti sia nominati. Solo con il 19° Emendamento del 1920 gli Usa garantirono il voto alle donne, seguendo l’esempio di Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda. Nonostante il 15° Emendamento avesse garantito il voto ai neri già nel 1870, fu solo con il Voting Rights Act del 1965 che le pratiche discriminatorie nei loro confronti cessarono completamente. Il numero di afro-americani registrati nelle liste elettorali passò dal 5 per cento nel 1960 al 60 per cento nel 1968. Secondo la Costituzione, per la candidatura a Presidente degli Usa, non è necessaria alcuna affiliazione partitica. Il Congresso è formato da Senato e Camera dei Rappresentanti. Il Senato ha 100 membri, due per ogni Stato, che restano in carica per sei anni. La Camera ha 435 membri, eletti in proporzione alla popolosità degli Stati, che restano in carica per 2 anni. Ogni 2 anni si eleggono un terzo dei Senatori e tutti i Deputati. I Grandi Elettori sono eletti su base statale e il loro numero è pari alla somma dei senatori e dei deputati dello Stato stesso. I Senatori sono 100 e i Deputati sono 435 assegnati proporzionalmente alla popolazione residente nello Stato (uno ogni 475.000 abitanti). Si aggiungono tre rappresentanti del Distretto Federale di Washington, che non fa parte di nessuno Stato e ottiene un numero di rappresentanti proporzionale alla popolazione ma obbligatoriamente non superiore a quello dello Stato meno popoloso. Negli Stati Uniti, le elezioni del Presidente, del Vice Presidente e dei membri del Congresso si tengono negli anni pari: ogni due anni sono eletti tutti i membri della Camera dei Rappresentanti e un terzo dei componenti del Senato, mentre il Presidente e il Vice Presidente sono eletti ogni quattro anni. Nella maggior parte degli Stati, si richiede che i delegati scelti nelle Primarie votino per il candidato al quale si sono impegnati a dare, durante i ballottaggi in sede di Convention nazionale, un determinato numero di voti, ma possono anche esserci delegati non vincolati (uncommitted). Una legge del 1971 e successivi emendamenti hanno posto limiti ai contributi che i candidati possono ricevere ed alle spese che possono effettuare, e ha previsto inoltre il finanziamento federale di parte delle Primarie e delle Elezioni generali in determinate condizioni. Nel 2004 i candidati alla presidenza hanno speso 1,2 miliardi di dollari nella campagna elettorale. Nonostante la Presidenza sia aperta a tutti, pochi sono effettivamente in grado di raccogliere le cifre necessarie senza attingere pesantemente dal proprio patrimonio personale. La mancanza di fondi federali rende di fondamentale importanza il contributo di enti privati quali i PACS (Political Action Committes) che fanno capo a “lobbies” di vario tipo: imprenditoriali, sindacali, ambientaliste. Dai dati si riscontra che l’indice di disproporzionalità presidenziale è aumentato a causa del distacco minimo fra i contendenti verificatosi nelle ultime elezioni. Bush nel 2000 vinse pur avendo ottenuto mezzo milione di voti popolari in meno di Gore, fatto verificatosi solo quattro volte nella storia degli Stati Uniti (1824, 1876, 1888, 1960). La Costituzione prevede che, votata dal Congresso una proposta di legge, prima di entrare in vigore, deve ottenere l’approvazione del Presidente. Questi può opporre il suo diritto di veto rinviando la proposta al Congresso e chiedendo una nuova approvazione. Franklin Delano Roosevelt esercitò questo diritto per 691 volte. Il Congresso, tuttavia, è in grado di superare il veto presidenziale, ma a condizioni non facili. La legge deve essere approvata riapprovata non più con una votazione segreta, bensì a scrutinio palese. Non basta più la maggioranza semplice (metà più uno dei presenti) ma la maggioranza dei due terzi dei presenti. Per superare il veto presidenziale bisogna che una buona parte dei parlamentari che appartengono al Partito del Presidente voti, palesemente, contro il proprio Presidente! In Italia oggi il Presidente della Repubblica deve avere almeno 50 anni. Viene eletto dal Parlamento e da una rappresentanza di consiglieri regionali. Resta in carica 7 anni. Non ci sono limiti alla sua rielezione. In caso di morte o di dimissioni il Parlamento elegge un nuovo presidente. Può sciogliere il Parlamento o anche una sola delle Camere. É capo dello stato e nomina il capo del governo. Nomina 5 dei 15 giudici della Corte Costituzionale. Al termine del suo mandato diventa, se lo accetta, senatore a vita. Per cambiare le regole fondamentali in Italia, occorre una riforma costituzionale con una maggioranza parlamentare qualificata, una doppia lettura e un referendum costituzionale. Riforme più radicali richiedono un’Assemblea Costituente per gli attuali partiti e movimenti al potere, inaccettabile. Tutto il resto è pura demagogia. Il sistema politico degli Stati Uniti d’America si regge su tre principi fondamentali: la Repubblica, la Democrazia e il Federalismo. Le funzioni pubbliche vengono esercitate a due livelli, federale e statale, secondo una ripartizione di competenze stabilita dalla Costituzione degli Stati Uniti d’America. La vita politica è dominata dai due Partiti maggiori, il Partito Democratico ed il Partito Repubblicano (conservatore). Esistono naturalmente altri raggruppamenti politici di minore importanza che raggiungono raramente risultati significativi nelle elezioni statali e federali. I documenti storici fondamentali su cui poggia il sistema politico statunitense sono quattro: la Dichiarazione d’Indipendenza, la Costituzione, la Dichiarazione dei diritti (Bill of Rights, i primi 10 Emendamenti della Costituzione), gli scritti dei Padri Fondatori come definizione dell’ispirazione politica seguita dalla Nazione. In questi documenti vengono fissati i capisaldi fondamentali dell’Unione: il Governo è responsabile davanti ai cittadini, che possono sostituirlo attraverso le elezioni; i poteri del Governo, soprattutto riguardo alla libertà di religione, alla libertà di espressione e polizia devono essere limitati per impedirne abusi; i cittadini devono essere uguali davanti alla legge e non si possono stabilire privilegi per nessuno di essi; gli individui ed i partiti si confrontano in merito all’applicazione ai casi concreti di questi principi; la Federazione creata con la Costituzione è la principale entità del sistema di governo statunitense. Ogni persona fuori dalla Capitale federale è soggetta ad almeno tre livelli di governo (Jurisdictions): federale, statale e locale nella Contea. Laddove è stata abolita, le sue funzioni sono svolte dalle autorità municipali. Nell’area amministrata da un comune (Incorporated Place) si è in presenza di un ulteriore livello di governo, quello del comune stesso (Municipality) e dei suoi distretti, se esistenti. Ogni livello ha il suo sistema politico, soggetto alle limitazioni poste dai livelli superiori. Questa molteplicità riflette la storia del Paese e non la burocratizzazione europea. Il Governo federale fu creato dalle ex colonie britanniche che erano state fondate separatamente e si erano governate indipendentemente le une dalle altre. Tra queste colonie si trovavano città e contee con diversi livelli di sviluppo e, di conseguenza, con differenti bisogni amministrativi. La Convenzione Costituzionale decise di mantenere un’ampia autonomia per gli Stati e di non rimpiazzare i diversi sistemi statali con un governo unitario. Con l’espandersi della Nazione, vennero creati ed annessi nuovi Stati, il cui ordinamento fu modellato su quello delle entità statali già federate. Prima dell’Indipendenza le colonie si governavano separatamente sotto l’autorità della Corona Britannica. Nei primi anni della Repubblica, prima della Costituzione, ogni Stato era praticamente un’entità autonoma. I delegati alla Convenzione di Filadelfia cercarono di creare un’Unione federale più forte, ma non potevano ignorare le tradizioni dei singoli Stati e neppure gli interessi dei politici locali. In generale, le materie che si esauriscono all’interno dei confini statali sono competenza degli Stati stessi. Tipiche competenze statali sono quelle relative alle comunicazioni interne, le norme che regolano la proprietà, l’industria, gli affari e i servizi pubblici, gran parte della giustizia penale, le condizioni di lavoro all’interno dello Stato. Il Governo federale richiede che i vari Stati adottino una forma di governo repubblicana e che non promulghino norme che siano in contrasto con la Costituzione o con le leggi federali, oppure con i trattati firmati dagli Stati Uniti. Esistono molte aree di sovrapposizione tra le competenze federali e statali. Negli ultimi decenni, il Governo federale ha assunto responsabilità sempre maggiori in materie come la sanità, l’istruzione, il welfare, i trasporti, le abitazioni e lo sviluppo urbano. I programmi attraverso cui il Governo federale esercita queste competenze, sono spesso adottati in cooperazione con gli Stati e non imposti dall’alto. Come il Governo nazionale, i sistemi statali dividono i tre poteri, tenendoli distinti: esecutivo, legislativo e giudiziario, che svolgono, in linea di massima, le stesse funzioni dei loro corrispondenti a livello federale. Il capo dell’esecutivo statale è il Governatore, eletto dal popolo, in genere per quattro anni. In alcuni Stati il mandato del Governatore dura solo due anni. Il Nebraska ha un organo legislativo monocamerale ma tutti gli Stati hanno una legislatura con due camere, in cui la camera alta si chiama generalmente Senato e quella bassa Camera dei Rappresentanti, Camera dei Delegati, oppure Assemblea Generale. In alcuni Stati l’intero organo legislativo, composto dalle due camere, si chiama “General Assembly”. Le Costituzioni dei diversi Stati differiscono nei dettagli ma generalmente si basano su un modello abbastanza simile a quello della Costituzione federale. In certe materie, come gli affari, le banche, i servizi pubblici e le istituzioni di beneficenza, le Costituzioni statali sono spesso più dettagliate ed esplicite di quella federale. Ogni Costituzione statale prevede che la più alta autorità risiede nel popolo e pone certi principi a base del governo. La Contea è la prima suddivisione dello Stato e ne rappresenta il livello amministrativo immediatamente sottoposto a questo. Tutti gli Stati presentano una completa ripartizione del proprio territorio secondo contee, con le eccezioni dell’Alaska, divisa in Borough e Census Area, e della Louisiana, divisa in parrocchie. In Louisiana la differenza è solo formale, mentre in Alaska la suddivisione del territorio effettivamente è ancora in fieri in alcune aree pressoché disabitate. Le funzioni di una Contea possono variare enormemente a seconda dei casi. Nelle cosiddette “consolidated city-county” l’Amministrazione cittadina e quella della Contea coincidono. Nella maggior parte delle Contee una località svolge le funzioni di capoluogo perché in essa si riunisce la Commissione di contea o un organismo analogo. Nelle Contee più piccole, la Commissione viene eletta in un unico collegio che comprende tutto il territorio. Nelle maggiori, i Commissari (o supervisori) rappresentano i vari Distretti. La Commissione impone i tributi, assegna i fondi, fissa lo stipendio ai dipendenti dell’ente, sovrintende alle elezioni, cura la costruzione e il mantenimento di strade e ponti, amministra i programmi di welfare nazionali, statali e di contea. In parte del New England, le contee non hanno più funzioni di governo e sono unicamente divisioni del territorio utili per lo più per fini statistici. L’ultimo ma non meno importante livello amministrativo locale degli Stati Uniti è quello comunale. Nella maggior parte degli Stati le amministrazioni comunali hanno giurisdizione strettamente limitata all’area urbana e nelle sole località che hanno lo status di “incorporated places”, che rispondono allo status di “city”, “town” o “village”. Conseguentemente le aree extraurbane e le località minori, aventi status di “unincorporated places”, sono sotto il governo diretto della Contea. Tanto più sono grandi i centri abitati, quanto più le relative amministrazioni comunali forniscono alla popolazione un gran numero di servizi, indispensabili alla vita di ogni giorno: polizia (Sceriffo), vigili del fuoco, trasporti, sanità, scuole, edilizia. Le tipologie di governo comunale sono innumerevoli. Praticamente in tutti i casi si ha una qualche forma di consiglio comunale eletto dai cittadini ed un organo esecutivo, assistito da diversi capi Dipartimento, che sovraintende alle attività amministrative. Se ne possono individuare tre tipologie principali: il “mayor-council”, il “council-manager” e la Commissione cittadina. Nel sistema del Mayor-Council, la forma più antica e tradizionale, vi è un Sindaco eletto a capo dell’esecutivo locale ed un Consiglio, pure eletto, che esercita il potere legislativo. Il Sindaco nomina i Direttori dei vari Dipartimenti cittadini e gli altri dirigenti, a volte con l’approvazione del Consiglio, ha potere di veto sulle ordinanze e sugli atti normativi e spesso è pure responsabile di predisporre il bilancio. Il Consiglio approva le ordinanze, impone tributi e ripartisce il denaro tra i vari dipartimenti cittadini. Nel sistema Council-Manager, di origine più recente, si è pensato di affidare gran parte delle funzioni esecutive, compresi i servizi di polizia, ad una persona con esperienza gestionale, il cosiddetto “city manager”. Questo sistema, che viene adottato da sempre più città, prevede la presenza di un piccolo Consiglio eletto, che emana le ordinanze cittadine e determina la politica del Comune e mette sotto contratto un professionista, a cui affida l’applicazione delle decisioni politiche. Il manager redige il bilancio e supervisiona gran parte dei Dipartimenti cittadini, fin quando il Consiglio è soddisfatto del suo operato. Nel sistema basato sulla Commissione le funzioni esecutive e legislative sono svolte da uno stesso organo collegiale, di solito composto da tre o più persone, elette da tutta la cittadinanza. È tipico di realtà non troppo grandi e può o meno prevedere la figura di un Presidente della commissione, non necessariamente chiamato “sindaco”. Ai livelli dei governi federale, statale e comunale si affiancano, e in alcuni casi sovrappongono, altri soggetti responsabili dell’amministrazione di alcuni settori specifici. L’Ufficio del Censimento, dipendente dal Ministero del Commercio, nel 2002 ha identificato ben 87.576 unità di governo locale negli Stati Uniti, comprese contee, comuni, “township”, ma anche distretti scolastici e distretti con altre funzioni speciali. Questi ultimi sono in aumento e rivestono funzioni sempre più ampie andando a colmare vuoti che possono presentarsi in un quadro amministrativo frammentato e complesso quale è quello statunitense. Il diritto di voto spetta a tutti i cittadini che abbiano compiuto diciotto anni. Tutti i 50 Stati, assieme al District of Columbia, votano alle Elezioni Presidenziali. Il Distretto Federale, insieme ad altri possedimenti, come Porto Rico e Guam, non ha una rappresentanza al Congresso. Ogni “Commonwealth”, territorio o distretto può eleggere solo un delegato, senza diritto di voto, alla Camera dei rappresentanti. L’esercizio del diritto di voto negli Usa può essere limitato a seguito di una condanna per alcuni reati gravi. Le leggi dei vari Stati sul punto sono molto diverse. All’epoca dell’Indipendenza, l’economia apparteneva quasi esclusivamente al settore privato e i governi statali lasciavano l’assistenza sociale alle iniziative locali e dei singoli. Nonostante il notevole peso assunto dal settore pubblico nel corso del XX Secolo, la cultura politica degli Stati Uniti sostiene in maniera decisa il sistema dell’iniziativa privata (Repubblicani conservatori) e si oppone alla costruzione di un “welfare state” (Democratici) ovvero di un’elevata spesa pubblica a fini assistenziali di tipo europeo. In sostanza, gli Stati Uniti tendono a preferire un modello di capitalismo democratico, in contrasto con le culture politiche di Europa e Canada, più inclini a modelli socialdemocratici, alle quali si ispira il Presidente Obama. In realtà questi orientamenti di fondo subiscono diverse varianti: se in periodi come quello successivo la Grande depressione o in alcuni decenni del secondo dopoguerra e fino agli Anni Ottanta del secolo scorso, negli Stati Uniti si sono notevolmente ampliati i programmi di assistenza pubblica, negli ultimi vent’anni i paesi europei hanno in buona parte ridimensionato i loro modelli socialdemocratici, sotto l’impulso di eventi come il consolidamento del mercato comune, l’innovazione tecnologica e sociale, la necessità di mettere ordine nei bilanci pubblici, la minaccia degli “spread” e della speculazione selvaggia, e la sempre maggiore concorrenza internazionale. In Italia i cittadini partecipano alla selezione delle candidature iscrivendosi ai partiti, prendendo la tessera e votando ai congressi locali e nazionali. Negli Stati Uniti non esiste la tessera di partito. Ai Democratici, così come ai Repubblicani, non ci si iscrive. Una persona può partecipare alla riunione del locale comitato democratico e, il giorno successivo, prendere parte ai lavori del comitato repubblicano, o viceversa. Al contrario che in Italia, negli Stati Uniti non si è iscritti d’ufficio alle Liste Elettorali al compimento dei diciotto anni. Per votare alle elezioni di qualsiasi tipo, o per assumere ruoli di rappresentanza all’interno di un Partito, bisogna invece “registrarsi al voto” come elettore di uno dei due partiti, o come Indipendente. Questa auto-definizione non impedisce però di votare in modo opposto il giorno delle elezioni. I Partiti americani non sono organizzati in correnti, né si riuniscono periodicamente in congressi, come in Italia. I Partiti americani sono una coalizione informale di varie anime, di diversi gruppi di pressione e di istanze sociali e culturali organizzate nella Nazione e senza paragoni altrove. La burocrazia è ridotta al minimo. Gli statuti dei Partiti sono leggeri e succinti. Chi sbaglia paga e non viene più rieletto. Perché ciò che conta è la Nazione, il bene comune della Federazione. Chi si ricorda dei candidati presidenti e vice presidenti non eletti? Bisogna tenere in considerazione un fatto, spesso sottovalutato. Il Partito statunitense è connotato da un maggiore individualismo rispetto a quelli di altri Paesi. In genere gli eletti sostengono le linee politiche del Partito a cui appartengono (“toe the line”) ma spesso non esitano a votare contro, schierandosi con l’opposizione (“cross the aisle”) se ritengono che una determinata proposta sia contraria agli interessi del loro collegio elettorale o, più semplicemente, se non approvano una determinata politica. Esempi recenti si possono trovare in determinate materie molto controverse, come la riforma della sicurezza sociale, il bilancio federale ed alcune politiche sull’energia e sull’ambiente. L’identificazione partitica si formalizza nelle elezioni i cui candidati sono presentati dai Partiti (“partisan elections”). In gran parte degli Stati i Partiti scelgono i propri candidati in base al risultato di vere Elezioni Primarie a cui si presentano tutti coloro che intendono ottenere la candidatura del Partito (“nomination”). Anche se il Partito spesso appoggia uno dei candidati alla nomination, in definitiva l’ultima parola spetta sempre agli elettori delle Primarie. Anche il diritto di voto alle Primarie varia a seconda degli Stati. Nella maggior parte dei casi, I Partiti americani si affidano direttamente allo strumento popolare. Entrambi i due maggiori Partiti hanno un Presidente, ma questi non è un vero e proprio leader che si ponga alla guida e ne determini la linea politica, come in Italia. In genere, i capi dei rispettivi Partiti sono coloro che rivestono le cariche più alte a livello federale: la Presidenza, oppure la direzione dei gruppi parlamentari (congressuali) alla Camera dei Rappresentanti ed al Senato. Ma questa leadership è solo nominale: i membri del Partito possono decidere di seguirla o di andare per conto proprio. Il compito centrale dei due Partiti maggiori, infatti, è quello di organizzare le Elezioni Primarie come sistema democratico di selezione delle candidature. A livello federale, entrambi i Partiti maggiori dispongono di un organo direttivo, chiamato Comitato nazionale (il “Democratic National Committee” e il “Republican National Committee”) che ha quattro compiti fondamentali: organizzare le Elezioni Primarie che scelgono il candidato; convocare il congresso (Convention) che presenta il leader al Paese; assistere alle elezioni il candidato; raccogliere i fondi per finanziare le campagne elettorali. I congressi nazionali si tengono alla fine dell’Estate dell’anno elettorale. Il Presidente degli Stati Uniti è considerate formalmente il capo del proprio Partito ed esercita il potere di scegliere il presidente del Comitato nazionale. Lo stesso, nell’anno elettorale, si può dire per il candidato alla presidenza del Partito avversario. L’esatta composizione dei Comitati nazionali è diversa a seconda del Partito, ma in generale i comitati sono formati da rappresentanti dei Partiti statali e di altre organizzazioni affiliate, oltre che da personalità importanti nel Partito. I Comitati nazionali non hanno il potere di dirigere le attività politiche dei singoli membri del Partito. Il presidente o il candidato sono sempre impegnati a discutere le attività legislative e l’agenda politica con i leader di Partito al Congresso, i quali hanno una propria organizzazione politica autonoma e indipendente dal Comitato del partito. I due maggiori Partiti hanno distinti Comitati elettorali, che gestiscono le campagne ad ogni livello: locale, statale e federale. I più importanti sono gli “Hill committees” che curano l’elezione dei candidati ad entrambe le camere del Congresso. Le filosofie politiche dei due Partiti maggiori non sono sempre state le stesse, ma nel tempo hanno subito una complessa evoluzione. Fino agli Anni Cinquanta e i primi Sessanta del XX Secolo, entrambi i Partiti esprimevano negli Usa essenzialmente una politica nazionale di Centro. In entrambi esistevano correnti “liberal” moderate e conservatrici, che avevano praticamente la stessa influenza. All’interno del Partito Democratico, liberal e conservatori convissero fino al 1972, quando la candidatura di George McGovern segnò la vittoria dell’ala liberal. La prevalenza dei conservatori nel Partito Repubblicano può farsi risalire alla candidatura ed alla successiva ampia vittoria di Ronald Reagan nel 1980, Presidente nei due mandati. Da allora, i due Partiti hanno cominciato ad essere identificati con il loro orientamento dominante. Il partito Repubblicano continua ad avere esponenti liberal e i Democratici seguitano ad annoverare molti neoliberali, che spesso si riconoscono nel “Democratic Leadership Council”, e conservatori. Questi politici eccentrici rispetto all’orientamento maggioritario dei rispettivi Partiti, hanno una notevole importanza in quanto favoriscono gli accordi tra Democratici e Repubblicani. Spesso aiutano il loro Partito a vincere elezioni in zone storicamente avverse: è il caso dei Repubblicani Rudolph Giuliani, George Pataki, Richard Riordan e Arnold Schwarzenegger. Nelson W. Polsby, professore di Scienze politiche, nel libro “Federalist Papers: Essays in Defense of the Constitution” sostiene che “in America le stesse etichette politiche — Democratici e Repubblicani — occupano virtualmente tutti gli uffici elettivi e gli elettori si mobilitano ovunque per gli stessi due partiti. Ma Democratici e Repubblicani non sono ovunque gli stessi. Le variazioni, talvolta quasi impercettibili, altre volte clamorose, nelle culture politiche dei 50 Stati portano a notevoli differenze tra coloro che votano o sono eletti nello stesso partito. Queste differenze potrebbero far sostenere, in maniera non del tutto ingiustificata, che il sistema americano dei due Partiti ne nasconda uno di cento partiti”. Un altro fattore che ha favorito l’affermarsi dei due maggiori Partiti negli Usa è stato determinato dalle modalità di voto. In origine, gli elettori andavano ai seggi e dichiaravano pubblicamente il nome del candidato preferito. Poi si cominciarono ad usare schede elettorali, stampate a cura dei Partiti, che venivano inserite nell’urna dagli elettori. Alla fine del XIX Secolo il voto segreto iniziò a diventare d’uso comune nel Paese per ostacolare il frequente malcostume dei Partiti che tendevano a far assumere nei vari enti pubblici gli elettori più fedeli. La stampa della scheda elettorale divenne quindi responsabilità dei singoli Stati. Gli organi legislativi statali erano già dominati da Repubblicani e Democratici e così i due maggiori Partiti ebbero l’opportunità di ostacolare i concorrenti minori. A partire dalla “paura rossa” che colpì il Paese dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, furono promulgate diverse leggi restrittive che aumentavano il numero di firme necessarie per presentare un candidato, diminuendo nel contempo il periodo legale di raccolta delle stesse. Di conseguenza le candidature dei partiti minori divennero più difficili. Altri ordini di ragioni traggono origine dallo stesso ordinamento statunitense. Mentre le democrazie moderne sono caratterizzate, pur in forme diverse, dalla presenza di un vincolo fiduciario tra esecutivo e legislativo (i governi ricevono la fiducia da almeno una camera), negli Stati Uniti il potere esecutivo è esercitato da un Presidente eletto direttamente dai cittadini che non ottiene la fiducia dal potere legislativo. Ciò avviene sia a livello federale (Presidente) sia a livello statale (Governatore) e non è necessario ricorrere alla formazione di coalizioni in Parlamento per sostenere un Governo. In altri Paesi, al contrario, il ruolo del Parlamento nella fiducia al Governo esalta il ruolo dei Gruppi parlamentari e, quindi, dei partiti che li esprimono. In Italia tutto questo si traduce con la superfetazione dei partiti e dei movimenti. Ma anche con la doppia “carica” esecutiva e legislativa di figure come il Presidente della Regione e il Capo del Governo. Gran parte delle cariche pubbliche statunitensi sono elette mediante il sistema uninominale maggioritario a turno unico. Anche se alcune città e lo Stato dell’Illinois avevano sperimentato il sistema elettorale proporzionale, nel 1967 il Congresso degli Stati Uniti ha proibito l’utilizzo di questo sistema per le elezioni legislative federali. E questo incoraggia e potenzia il Bipartitismo. Negli Stati Uniti, oltre ai due maggiori Partiti, sono esistite e attualmente esistono numerose formazioni politiche minori, i cosiddetti “partiti terzi”. Alcuni di questi, come il Partito Socialista, il Partito Populista, il Partito Libertario, il Partito Verde, il Partito Proibizionista e il “Partito del lavoro contadino” (Farmer Labor Party) hanno avuto e continuano a ricevere un certo seguito che però non si è mai tradotto in sufficienti successi elettorali. I “partiti terzi” hanno spesso richiamato l’attenzione su politiche che sono state alla fine fatte proprie dai due Partiti maggiori: la storica abolizione della schiavitù con il Presidente Abramo Lincoln (conservatore) e le leggi sul lavoro minorile, nonché le politiche proibizionistiche che hanno avversato tra l’Ottocento e il primo Novecento la liberalizzazione dell’alcool. In ogni Stato esistono partiti statali, le cui strutture differiscono in funzione delle normative dello stesso Stato. Porto Rico ha propri partiti, diversi da quelli statunitensi. I principali sono: il Nuovo Partito Progressista, il Partito Popolare Democratico e il Partito Indipendentista Portoricano. I Partiti americani non sono finanziati dallo Stato ma dai cittadini: privati, imprese ed associazioni. Le dimensioni del territorio e della popolazione statunitensi, oltre che la loro varietà, rendono la politica molto costosa, soprattutto quella a livello federale. Mitt Romney e Barack Obama hanno speso finora tre miliardi di dollari per la campagna presidenziale. Anche se in anni recenti i Repubblicani e Howard Dean (il secondo grazie a Internet) hanno avuto un certo successo nella raccolta di fondi tra la gente comune, solo una minima parte dei finanziamenti alla politica provengono dalla raccolta di offerte dei sostenitori. Entrambi i Partiti dipendono dalle donazioni effettuate dai grossi soggetti economici. Se tradizionalmente i Democratici si affidavano ai sindacati e i Repubblicani alle imprese ed alla finanza, gli ultimi vent’anni hanno determinato diversi cambiamenti. Dal 1984 le imprese hanno superato i sindacati nel ruolo di maggiori finanziatori delle campagne democratiche. La dipendenza dai donatori è molto controversa e ha portato ad una serie di leggi che hanno in parte regolamentato il fenomeno, nel rispetto della libertà di parola, garantita dal Primo Emendamento. I due Partiti maggiori si avvalgono dell’apporto indipendente dei vari Gruppi di Pressione (lobbies) sociale, etnica ed economica presenti nella società americana. L’ossatura dei Democratici è formata dai sindacati, dalle associazioni per il diritto di scelta della donna, dal movimento pacifista e dei (nuovi?) diritti civili e, più recentemente, dal movimento ambientalista. I Repubblicani possono contare sulle organizzazioni cristiano-evangeliche, sui gruppi di pressione in difesa del diritto a portare armi, sul movimento anti tasse, sui difensori cattolici e protestanti della famiglia naturale, sulla difesa della vita fin dal concepimento. Questi gruppi sono strutture indipendenti, separate dal Partito in sé e organizzate autonomamente, ma contribuiscono con le loro battaglie su temi circoscritti (“single-issue”) a plasmare la piattaforma politica del Partito, a influenzare le scelte politiche e a selezionare i candidati alle Primarie per il Congresso o per la presidenza federale. Da parte loro, i Partiti americani risentono dell’influenza dei pensatoi (“think tank”) cui si rivolgono per qualsiasi tipo di consulenza, e organizzano anche il palese sostegno delle grandi imprese che sono presenti nelle aule del Congresso attraverso attività legali di lobbismo. Un gruppo d’interesse che è cresciuto in numero e influenza negli ultimi anni fa capo ai Comitati di azione politica (“Political Action Committees” o PACS). Esistono limitazioni legali alla quantità di fondi che i PACS possono versare direttamente per i candidati nelle elezioni federali. Non ci sono, tuttavia, restrizioni sull’ammontare che i PACS possono spendere indipendentemente per difendere un punto di vista o per convincere la comunità ad eleggere un candidato. I PACS oggi sono migliaia. “I partiti politici sono minacciati dalla crescita esponenziale dei gruppi d’interesse, dalla crescita dei loro uffici operativi a Washington, e dal fatto che si relazionano direttamente al Congresso e alle Agenzie federali – scrive Michael Schudson nel suo libro, pubblicato nel 1998, “The Good Citizen: A History of American Civic Life” – molte organizzazioni che guardano a Washington cercano aiuti finanziari e morali dai cittadini comuni. Siccome molti di questi si focalizzano su un ristretto numero di questioni o anche solo su un singolo problema, generalmente di enorme peso emotivo, questi competono con i partiti per i dollari, il tempo e la passione dei cittadini”. Prima della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti portarono avanti una politica estera isolazionista, non prendendo parte ai conflitti tra le potenze straniere europee ed asiatiche. Il Paese abbandonò questo orientamento politico quando divenne una superpotenza, ma rimase abbastanza diffidente nei confronti dell’internazionalismo. Gli Stati Uniti oggi partecipano a molte organizzazioni internazionali per la promozione della Pace. Consigliamo la lettura dei libri di Claudio Lodici (“Governare l’America – Enciclopedia della politica USA”, il glifo, Roma, 2011), Luca Stroppiana (“Stati Unit”, Il Mulino, Bologna, 2006) e Massimo Teodori (“Il Sistema politico americano”, Newton & Compton, Roma, 1996) per capire gli Americani. Il modo di vivere dei primi statunitensi ha favorito la Democrazia. I coloni abitavano una terra selvaggia: dovettero lavorare insieme per trovare un riparo, procacciare gli alimenti ed attrezzare il territorio per le dimore. Questa esigenza di cooperare ha rafforzato l’opinione secondo la quale, nel Nuovo Mondo, la gente doveva collocarsi sullo stesso piano, senza che nessuno avesse privilegi speciali. Lo stimolo dell’uguaglianza influenzò i rapporti delle Tredici Colonie con la madre terra, l’Inghilterra. La Dichiarazione d’Indipendenza del 4 Luglio 1776 affermò che tutti gli uomini sono generati uguali, e che tutti hanno diritto a “vita, libertà e perseguimento della felicità”. La Dichiarazione d’Indipendenza, e poi la Costituzione, unirono insieme l’esperienza coloniale americana con il pensiero politico di filosofi inglesi come John Locke, per produrre il concetto di una Repubblica democratica. I poteri del Governo sarebbero derivati dal popolo e sarebbero stati esercitati attraverso i rappresentanti scelti dal popolo. Durante la Guerra d’Indipendenza, le colonie avevano formato un Congresso nazionale per presentarsi di fronte all’Inghilterra con un fronte unito. Con un accordo conosciuto come gli “Articoli della Confederazione”, dopo la guerra il Congresso fu incaricato di occuparsi soltanto delle materie che andassero oltre le capacità dei singoli Stati. Gli “Articoli della Confederazione” fallirono nella loro qualità di documento governativo per gli Stati Uniti, perché gli Stati non cooperarono come si era previsto. Quando venne il momento di pagare la propria quota relativa al finanziamento dell’esercito nazionale continentale o del debito di guerra nei confronti della Francia, alcuni Stati rifiutarono di contribuire. Per sanare questa debolezza, il Congresso chiese ad ogni Stato di inviare un delegato che facesse parte di una convenzione. La cosiddetta Convenzione Costituzionale si riunì a Philadelphia nel maggio del 1787 con George Washington come Presidente. I delegati trovarono un compromesso tra coloro che volevano un forte governo centrale e coloro che non lo volevano. Il documento risultante, la Costituzione, diede vita ad un sistema in cui alcuni poteri venivano concessi al Governo nazionale o Federale, mentre altri erano riservati agli Stati. La Costituzione divise il Governo nazionale in tre rami: il legislativo (il Congresso, che consiste nella Camera dei Rappresentanti e nel Senato), l’esecutivo (guidato dal presidente) ed il giudiziario (le Corti Federali). Questa divisione, detta “separazione dei poteri”, diede ad ogni ramo determinate funzioni ed una sostanziale indipendenza dalle altre. Inoltre diede a ciascun ramo una certa autorità sopra gli altri attraverso un sistema “di controlli e di equilibri”. Se al Congresso viene approvata una proposta di legge (Bill) che il Presidente non condivide, quest’ultimo può porre il veto. Ciò significa che la proposta di legge non diverrà legge, a meno che i due terzi dei membri sia della Camera che del Senato votino per promulgarla malgrado il veto del Presidente. Se il Congresso vota una legge che poi viene firmata anche dal Presidente, essa può essere dichiarata nulla dalle Corti Federali qualora su quella legge venga sollevata presso di esse l’eccezione di incostituzionalità: le Corti Federali non possono esprimere pareri consultivi o teorici. Tuttavia, la loro giurisdizione è limitata alle dispute reali. Il Presidente ha il potere di stipulare trattati con altre nazioni e decidere le nomine nelle diverse posizioni federali, compresi i giudici. Il Senato, tuttavia, deve approvare tutti i trattati e confermare le nomine prima che il loro iter possa essere concluso. La Costituzione scritta a Philadelphia nel 1787 non entrò in vigore fino a che in nove degli allora tredici Stati non fu ratificata dalla maggioranza dei cittadini aventi diritto. Durante questo processo di ratifica sorsero dubbi. Molti cittadini ritenevano che il documento non riusciva a garantire esplicitamente i diritti degli individui. Furono dunque apportati Dieci Emendamenti alla Costituzione, conosciuti collettivamente come “Bill of Rights”. Il “Bill of Rights” garantisce agli americani la libertà di parola, di religione e di stampa. I cittadini americani hanno il diritto di riunirsi in assemblee da tenersi in luoghi pubblici per contestare l’azione del governo e chiedere un cambiamento. Essi hanno il diritto di possedere armi. Secondo il “Bill of Rights”, né gli ufficiali né i poliziotti possono perseguire ed arrestare una persona senza un valido motivo, né possono perquisire l’abitazione di alcuno senza il mandato di un giudice. Il “Bill of Rights” garantisce un processo rapido a chiunque sia accusato di un crimine. Il processo deve prevedere una giuria di pari quando richiesto ed all’imputato deve essere garantita la possibilità di essere difeso da un avvocato e di poter produrre testimoni a proprio favore. Sono proibite pene eccessivamente severe o inusuali. Con l’aggiunta del “Bill of Rights”, la Costituzione è stata ratificata da tutti i 13 Stati ed è entrata in vigore nel 1789. Da allora altri 17 Emendamenti sono stati aggiunti alla Costituzione. I più importanti di essi sono il Ttredicesimo ed il Quattordicesimo, che dichiararono fuorilegge la schiavitù e garantirono a tutti i cittadini uguale protezione da parte della legge, ed il Diciannovesimo, che introdusse il diritto di voto per le donne. La Costituzione può essere emendata sulla base a due differenti procedure. Il Congresso può proporre un emendamento, a condizione che i due terzi dei membri sia della Camera sia del Senato votino per esso. In alternativa, i rami legislativi di due terzi degli Stati possono indire una Convenzione per proporre gli emendamenti (questo secondo metodo non è stato mai usato). In entrambi i casi un emendamento proposto non entra in vigore fino a quando non sia stato ratificato dai tre quarti degli Stati. Per trasformarsi in legge, una proposta di legge deve essere approvata sia alla Camera sia al Senato. Quando la proposta di legge viene presentata in uno dei due rami, essa viene esaminata da uno o più comitati, viene emendata, votata dal comitato ed è discussa dalla Camera o dal Senato. Se la proposta è votata da uno dei due rami, essa passa all’altro ramo per essere analizzata. Quando una proposta di legge viene modificata nel passaggio tra Camera e Senato (o viceversa), membri rappresentativi di entrambi i rami si riuniscono per cercare di appianare le differenze. I gruppi che cercano di persuadere i membri del Congresso a votare a favore o contro una proposta di legge sono chiamati “lobbies”, e possono esercitare la loro influenza durante l’intero processo legislativo. Una volta che entrambi i rami hanno approvato la stessa versione di una proposta di legge, essa viene sottoposta al presidente per la sua approvazione. A capo del ramo esecutivo degli Stati Uniti vi è il Presidente che insieme al Vice Presidente ha un mandato di quattro anni. Come conseguenza di un emendamento costituzionale entrato in vigore nel 1951, un Presidente non può guidare la Nazione per più di due mandati quadriennali. Salvo il caso di sostituzione del Presidente per morte o infermità, l’unico compito ufficiale del Vice Presidente è quello di presiedere il Senato. Il Vice Presidente può votare in Senato solamente in caso di assoluta parità tra i senatori. I poteri del Presidente sono molto estesi ma non illimitati. Come responsabile principale della politica nazionale, il Presidente propone le leggi al Congresso. Può porre il veto su proposte di legge che abbiano passato il vaglio del Congresso. Il Presidente è il comandante delle Forze Armate ed ha il potere di nominare i giudici federali quando vi sono posti vacanti, ivi compresi i giudici della Corte Suprema. Come capo del suo partito politico, con accesso diretto ai mezzi d’informazione, il Presidente può influenzare facilmente l’opinione pubblica mondiale. All’interno del ramo esecutivo, il Presidente ha molti poteri di indirizzo e regolamentazione del lavoro dei dipartimenti e delle agenzie che compongono il governo federale. Il Presidente nomina i responsabili ed i funzionari di questi dipartimenti e di queste agenzie. I capi dei dipartimenti principali, chiamati “Segretari”, fanno parte del gabinetto del Presidente. La maggior parte dei funzionari e responsabili federali, tuttavia, è selezionata in base al merito, non alla politica. Il ramo giudiziario vede sul gradino più alto la Corte Suprema degli Stati Uniti, che è l’unica Corte specificamente prevista dalla Costituzione. In più, il Congresso ha creato tredici Corti d’Appello federali e, sotto di loro, circa 95 Corti di Distretto federale. La Corte Suprema si riunisce a Washington D.C. e le altre Corti Federali sono situate in varie città degli Stati Uniti. I giudici federali sono nominati a vita o fino a quando non si dimettono volontariamente; possono essere rimossi soltanto mediante una laboriosa procedura di “impeachment” e processo da parte del Congresso. Le Corti Federali si occupano dei casi che non riguardano articoli della Costituzione, leggi federali o trattati internazionali, diritto marittimo, casi che coinvolgono cittadini o governi stranieri e casi in cui il governo federale è parte in causa. La Corte Suprema è composta da un presidente e da otto giudici associati. Con alcune eccezioni minoritarie, i casi sottoposti alla Corte Suprema provengono dalle Corti Federali o Statali. La maggior parte di questi casi riguarda dispute sull’interpretazione circa la costituzionalità delle azioni intraprese dal ramo esecutivo e delle leggi approvate dal Congresso o dagli Stati: come le leggi federali, anche le leggi dei diversi Stati non possono andare contro la Costituzione. Anche se i tre rami istituzionali sono paritari, la Corte Suprema ha spesso l’ultima parola su un procedimento. Le corti possono dichiarare una legge incostituzionale e così renderla nulla. La maggior parte di tali decisioni sono assunte dalla Corte Suprema che è così l’arbitro finale circa l’interpretazione della Costituzione. I giornali pubblicano comunemente le opinioni dei giudici della Corte Suprema sulle questioni più importanti e le decisioni della Corte Suprema sono spesso argomento di dibattito pubblico. Le decisioni della Corte Suprema possono risolvere controversie di lunga durata e possono avere effetti sociali ben oltre il risultato immediato. A tale riguardo, due famosi esempi sono Plessy v. Ferguson (1896) e Brown v. Board of Education of Topeka (1954). Nel primo esempio, il quesito riguardava la possibilità che a uomini e donne di colore fosse lecito imporre di viaggiare in treno in scompartimenti differenti da quelli in cui sedevano uomini e donne di pelle bianca. A questo proposito la Corte deliberò la dottrina “separati ma uguali”, che fece da base all’interpretazione della Costituzione in merito. Il caso ha trasmesso la sensazione che la Corte stava interpretando rigidamente il Tredicesimo ed il Quattordicesimo Emendamento e che di conseguenza tutto il sistema di leggi e di costumi che in quel momento riguardavano le relazioni tra persone di colore e persone di pelle bianca non sarebbe stato intaccato dalla decisione della Corte. Un giudice, John Marshall Harlan, dissentì dalla decisione, sostenendo che la Costituzione era indifferente ai colori. Quasi 60 anni più tardi, la Corte cambiò idea. Nel secondo esempio, la Corte decise che le scuole pubbliche che deliberatamente prevedevano ed applicavano la segregazione violavano la clausola di eguale protezione contenuta nel Quattordicesimo Emendamento. Anche se la Corte non rovesciò esplicitamente la decisione presa nel caso Plessy v. Ferguson, l’opinione del giudice Harlan fu inevitabilmente rivalutata. La decisione del 1954 trovava diretta applicazione solamente nei confronti delle scuole nella città di Topeka (Kansas) ma il principio articolato raggiunse poi ogni “public school” della Nazione. Soprattutto, la decisione minò l’applicazione della segregazione in tutte le attività governative e indirizzò il Paese su un nuovo corso che prevedesse un eguale trattamento per tutti i cittadini. La decisione “Brown v. Board of Education of Topeka” produsse costernazione in alcuni cittadini, specialmente nel sud, ma alla fine fu accettata come legge. Altre controverse decisioni della Corte Suprema non hanno ricevuto lo stesso grado di accettazione. In parecchi casi fra il 1962 ed il 1985, ad esempio, la Corte ha deciso che prevedere che gli studenti delle scuole pubbliche preghino o assistano alle preghiere altrui viola la Costituzione nella parte in cui si proibisce di stabilire una religione di Stato. Coloro che criticano queste decisioni ritengono che l’assenza di preghiera nelle scuole pubbliche ha contribuito ad un declino nei principi morali americani; pertanto, essi hanno provato a trovare il modo di reintrodurre la preghiera nelle scuole pubbliche senza violare la Costituzione. Nella decisione Roe v. Wade (1973), la Corte ha garantito il diritto delle donne ad abortire in determinate circostanze, una decisione che continua ad offendere quegli Americani che considerano l’aborto come omicidio. Poiché la decisione Roe v. Wade è basata su un’interpretazione della Costituzione, coloro che la avversano stanno provando ad emendare la Costituzione per capovolgerla. Nello spirito della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America che afferma:“Quando nel corso di eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto ad un altro popolo ed assuma tra le potenze della terra lo stato di potenza separata ed uguale a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni dell’umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione. Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e la ricerca della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità. Certamente, prudenza vorrà che i governi di antica data non siano cambiati per ragioni futili e peregrine; e in conseguenza l’esperienza di sempre ha dimostrato che gli uomini sono disposti a sopportare gli effetti d’un malgoverno finché siano sopportabili, piuttosto che farsi giustizia abolendo le forme cui sono abituati. Ma quando una lunga serie di abusi e di malversazioni, volti invariabilmente a perseguire lo stesso obiettivo, rivela il disegno di ridurre gli uomini all’assolutismo, allora è loro diritto, è loro dovere rovesciare un siffatto governo e provvedere nuove garanzie alla loro sicurezza per l’avvenire. Tale è stata la paziente sopportazione delle Colonie e tale è ora la necessità che le costringe a mutare quello che è stato finora il loro ordinamento di governo. Quella dell’attuale re di Gran Bretagna è storia di ripetuti torti e usurpazioni, tutti diretti a fondare un’assoluta tirannia su questi Stati. Per dimostrarlo ecco i fatti che si sottopongono all’esame di tutti gli uomini imparziali e in buona fede. Egli ha rifiutato di approvare leggi sanissime e necessarie al pubblico bene. Ha proibito ai suoi governatori di approvare leggi di immediata e urgente importanza, se non a condizione di sospenderne l’esecuzione finché non si ottenesse l’assentimento di lui, mentre egli trascurava del tutto di prenderle in considerazione. Ha rifiutato di approvare altre leggi per la sistemazione di vaste zone popolate, a meno che quei coloni rinunziassero al diritto di essere rappresentati nell’assemblea legislativa, diritto di inestimabile valore per essi e temibile solo da un tiranno. Ha convocato assemblee legislative in luoghi insoliti, incomodi e lontani dalla sede dei loro archivi, al solo scopo di indurre i coloni, affaticandoli, a consentire in provvedimenti da lui proposti. Ha ripetutamente disciolto assemblee legislative solo perché si opponevano con maschia decisione alle sue usurpazioni dei diritti del popolo. Dopo lo scioglimento di quelle assemblee si è opposto all’elezione di altre: ragion per cui il Potere legislativo, che non può essere soppresso, è ritornato, per poter funzionare, al popolo nella sua collettività, mentre lo Stato è rimasto esposto a tutti i pericoli di invasioni dall’esterno, e di agitazioni all’interno. Ha tentato di impedire il popolamento di questi Stati, opponendosi a tal fine alle leggi di naturalizzazione di forestieri rifiutando di approvarne altre che incoraggiassero la immigrazione, e ostacolando le condizioni per nuovi acquisti di terre. Ha fatto ostruzionismo all’amministrazione della giustizia rifiutando l’assentimento a leggi intese a rinsaldare il potere giudiziario. Ha reso i giudici dipendenti solo dal suo arbitrio per il conseguimento e la conservazione della carica, e per l’ammontare e il pagamento degli stipendi. Ha istituito una quantità di uffici nuovi, e mandato qui sciami di impiegati per vessare il popolo e divorarne gli averi. Ha mantenuto tra noi, in tempo di pace, eserciti stanziali senza il consenso dell’autorità legislativa. Ha cercato di rendere il potere militare indipendente dal potere civile, e a questo superiore. Si è accordato con altri per assoggettarci a una giurisdizione aliena dalla nostra costituzione e non riconosciuta dalle nostre leggi, dando il suo assentimento alle loro pretese disposizioni legislative miranti ad: acquartierare tra noi grandi corpi di truppe armate; proteggerle, con processi da burla, dalle pene in cui incorressero per assassinii commessi contro gli abitanti di questi Stati; interrompere il nostro commercio con tutte le parti del mondo; imporci tasse senza il nostro consenso; privarci in molti casi dei benefici del processo per mezzo di giuria; trasportarci oltremare per esser processati per pretesi crimini; abolire il libero ordinamento di leggi inglesi in una provincia attigua, istituendovi un governo arbitrario, ed estendendone i confini sì da farne nello stesso tempo un esempio e un adatto strumento per introdurre in queste Colonie lo stesso governo assoluto; sopprimere le nostre carte statutarie, abolire le nostre validissime leggi, e mutare dalle fondamenta le forme dei nostri governi; sospendere i nostri corpi legislativi, e proclamarsi investito del potere di legiferare per noi in ogni e qualsiasi caso. Egli ha abdicato al suo governo qui, dichiarandoci privati della sua protezione e facendo guerra contro di noi. Egli ha predato sui nostri mari, ha devastato le nostre coste, ha incendiato le nostre città, ha distrutto le vite del nostro popolo. Egli sta trasportando, in questo stesso momento, vasti eserciti di mercenari stranieri per completare l’opera di morte, di desolazione e di tirannia già iniziata con particolari casi di crudeltà e di perfidia che non trovano eguali nelle più barbare età, e sono del tutto indegni del capo di una nazione civile. Egli ha costretto i nostri concittadini fatti prigionieri in alto mare a portare le armi contro il loro paese, a diventare carnefici dei loro amici e confratelli, o a cadere uccisi per mano di questi. Egli ha incitato i nostri alla rivolta civile, e ha tentato di istigare contro gli abitanti delle nostre zone di frontiera i crudeli selvaggi indiani la cui ben nota norma di guerra è la distruzione indiscriminata di tutti gli avversari, di ogni età, sesso e condizione. Ad ogni momento mentre durava questa apprensione noi abbiamo chiesto, nei termini più umili, che fossero riparati i torti fattici; alle nostre ripetute petizioni non si è risposto se non con rinnovate ingiustizie. Un principe, il cui carattere si distingue così per tutte quelle azioni con cui si può definire un tiranno, non è adatto a governare un popolo libero. E d’altra parte non abbiamo mancato di riguardo ai nostri fratelli britannici. Di tanto in tanto li abbiamo avvisati dei tentativi fatti dal loro parlamento di estendere su di noi una illegale giurisdizione. Abbiamo ricordato ad essi le circostanze della nostra emigrazione e del nostro stanziamento in queste terre. Abbiamo fatto appello al loro innato senso di giustizia e alla loro magnanimità, e li abbiamo scongiurati per i legami dei nostri comuni parenti di sconfessare queste usurpazioni che inevitabilmente avrebbero interrotto i nostri legami e i nostri rapporti. Anch’essi sono stati sordi alla voce della giustizia, alla voce del sangue comune. Noi dobbiamo, perciò, rassegnarci alla necessità che denuncia la nostra separazione, e dobbiamo considerarli, come consideriamo gli altri uomini, nemici in guerra, amici in pace. Noi pertanto, Rappresentanti degli Stati Uniti d’America, riuniti in Congresso generale, appellandoci al Supremo Giudice dell’Universo per la rettitudine delle nostre intenzioni, nel nome e per l’autorità del buon popolo di queste Colonie, solennemente rendiamo di pubblica ragione e dichiariamo: Che queste Colonie Unite sono, e per diritto devono essere, Stati liberi e indipendenti; che esse sono sciolte da ogni sudditanza alla Corona britannica, e che ogni legame politico tra esse e lo Stato di Gran Bretagna è, e deve essere, del tutto sciolto; e che, come Stati liberi e indipendenti, essi hanno pieno potere di far guerra, concludere pace, contrarre alleanze, stabilire commercio e compilare tutti gli altri atti e le cose che gli stati indipendenti possono a buon diritto fare. E in appoggio a questa dichiarazione, con salda fede nella protezione della Divina Provvidenza, reciprocamente impegniamo le nostre vite, i nostri beni e il nostro sacro onore”. Dio benedica l’America.
© Nicola Facciolini
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