L’opinione pubblica dell’Occidente, distratta dalla spettacolarità delle elezioni Usa, fatica a cogliere la portata del mutamento segreto in corso ad Oriente. Il destino di tutti, in questo secolo, sarà determinato però dalle scelte che in questi giorni vengono opacamente adottate dal partito comunista cinese, decisive anche sul voto a Seul e a Tokyo. Ipotecare vent’anni, nella civiltà del web, è un’impresa disumana. La Cina è reduce da una crescita economica senza precedenti e la sua ascesa è il fatto più importante dopo il crollo dell’Urss. Anche il decennio di Hu Jintao e di Wen Jiabao, è la storia di un successo commerciale. La propaganda di Pechino l’ha battezzato “decennio d’oro”. La Cina ha superato i record di tutti in quasi tutto, ha salvato Usa e Ue dal crollo e continua a saldare i nostri debiti. Gli stessi cinesi concordano però su un punto: il modello-export è esaurito, la locomotiva frena, il sistema importa problemi e rivela che al “decennio d’oro” dell’economia è corrisposto il “decennio perduto” della politica. Hu Jintao, con il mantra del “weiwen”, il “mantenimento della stabilità”, ne è il simbolo più grigio. Per conservare la dittatura del partito si è limitato ad applicare i piani economici varati da Jiang Zemin negli anni Novanta. Il prezzo del trionfo del business è stata la stagnazione politica. La Cina ha scalato le classifiche della ricchezza, ma è precipitata in quelle della libertà, della giustizia sociale e dei diritti umani.
Fra tre giorni partiranno i lavori del 18° Congresso del Partito Comunista Cinese, che prevede il rinnovo, definito epocale, dei vertici e che ha trasformato Pechino in una città blindata, presidiata da non meno di 1,400 uomini, con controllo rigorosi, manuale oltre che automatico, di tutti i social network. Alla direzione dell’Hotel Chongqing, luogo che ospiterà i vertici della politica e, è stato imposto di chiudere il nightclub dell’albergo, ma sono entrati in vigore ben più strani divieti attivi per tutta la durata del summit, con impossibilità di acquistare aeroplani giocattoli e coltelli e i tassisti che saranno obbligati a bloccare i finestrini posteriori nel timore che qualcuno possa lanciare volantini o altro.
Inoltre, tutti gli istituti della capitale hanno bloccato le gite scolastiche, i concerti sono stati rinviati e saranno vietate le riprese cinematografiche all’aperto. Per gli automobilisti che arrivano da fuori ci saranno permessi più stringenti e i camion non potranno avere accesso alla quinta circonvallazione.
Il Congresso del Partito Comunista, si tiene di norma ogni 5 anni e si apre sempre si il discorso del presidente che, attualmente è Hu Jintao il quale, come d’abitudine, ricopre anche la carica di Segretario Generale del Partito.
Nel corso del Congresso si provvederà a rieleggere il nuovo presidente e segretario e tutti i pronostici danno per certa la nomina di Xi Jinping, mentre come premier si prevede l’elezione, al posto di Wen Jiabao, Li Keqiang.
Dovrebbe anche essere ufficializzata la riduzione da 9 a 7 dei membri dell’Ufficio Politico, altrimenti noto come Politburo e ratificate modifiche allo statuto in modo da accogliere l’eredità ideologica della classe dirigente che sta per essere sostituita.
Gli osservatori ritengono che, durante il congresso, saranno accolte le critiche all’attuale gestione del potere e si provvederà ad alcune espulsioni, necessarie dopo quella già formalizzata nei confronti di Bo Xilai, guida della la più grande metropoli nel sud-ovest della Cina, Chongqing, che nell’intera municipalità conta ben 29 milioni di cittadini, politico potente e molto ambizioso, considerato in grande ascesa per la successione alla guida del Partito stesso, fino a quando, in primavera, non è finito al centro di uno dei più grandi scandali politici degli ultimi anni.
La vicenda, davvero scabrosa per il Partito Comunista cinese, si era avviata, a febbraio, con la denuncia della’braccio destro di Bo, Wang Lijun, ex capo della polizia, poi nominato da Bo vice sindaco, che lo aveva accusato di aver ucciso l’uomo d’affari britannico Neil Heywood. Dopo questa affermazioni Wang si era rifugiato nel consolato degli Stati Uniti e si sospettava volesse fuggire dalla Cina. In seguito per l’omicidio di Neil Heywood era stata condannata a morte soltanto la moglie di Bo Xilai, Gu Kailai, con pena sospesa e tramutata in carcere a vita.
Nel corso del World Peace Forum, la prima conferenza non-governativa in tema di sicurezza internazionale svoltasi in territorio cinese il 6 e 7 luglio scorsi, organizzata dall’Università’ Tsinghua di Pechino, ha visto come ospite d’onore durante la cerimonia di apertura il Vice-Presidente in carica Xi Jinping e, con ogni probabilità futuro numero uno, si è chiaramente detto che, mentre l’Occidente sembra percepire la Cina come nuova potenza emergente nel sistema internazionale, la Repubblica Popolare Cinese (RPC) dal canto suo considera la sua attuale crescita piuttosto come un grande ritorno agli splendori di un tempo, con una strategia perseguita attraverso tre fasi: la prima che ha inteso assicurare, già dal 980, il raddoppiamento del prodotto interno lordo entro il 1980, la secondo che ha nuovamente raddoppiato il Pil, all’inizio del nuovo millennio e la terza, infine, che mira ad aumentare nuovamente il Pil, ma questa volta arrivando agli standard di un paese di medio sviluppo, garantendo quindi alla popolazione il raggiungimento di una modernizzazione vera e propria, basata sull’armonia, il benessere e perché no, in futuro persino la democrazia.
Anche in questo caso, secondo la Cina, si tratterà di una soluzione su scala globale, risolutiva e multilaterale che porterà enormi vantaggi in tutto il resto del mondo: la Cina una volta raggiunta la terza fase potrà finalmente diventare un paese responsabile e farsi carico di tutti gli obblighi internazionali alla pari delle grandi potenze.
Resta da chiedersi se con il cambio di leadership previsto nel corso del prossimo congresso, si continuerà a perseguire una politica estera mirata al vantaggio comune, poiché la Cina, secondo molti, si troverebbe proprio adesso nella fase di transizione più critica dello sviluppo, dove persino il cambio di leadership potrebbe rappresentare un momento delicato per il raggiungimento degli obiettivi preposti.
Infatti, stando alle stime del Fondo Monetario Internazionale (FMI) la crescita cinese raggiungerà il picco più basso dal 1999, con l’8.2%, proprio nel 2012.
E secondo quanto dichiarato proprio al World Peace Forum dal Vice-Presidente e con ogni probabilità futuro Premier Xi Jinping, l’ideologia, se vogliamo pacifico-sviluppista, resterà però sostanzialmente la stessa: in linea con la ‘democratizzazione’ delle relazioni internazionali avanzata da Hu Jintao, in futuro le grandi potenze secondo Xi, dovrebbero abbandonare il cosiddetto ‘gioco a somma – zero’ perseguendo invece uno sviluppo comune attraverso il dialogo e la cooperazione e anziché mirare esclusivamente ai propri interessi gli stati dovrebbero contribuire a una situazione ‘vantaggiosa’ appunto per tutti. Un’affermazione consona ad un paese che d’altronde potrebbe divenire sempre più ‘responsabile’ anche nel contesto internazionale.
Divenuta seconda potenza economica nel 2010, secondo le attuali stime del Fondo Monetario Internazionale, la Cina potrebbe superare gli Stati Uniti già nel 2016. Le riforme economiche iniziate da Deng Xiaoping nel 1978, unite all’integrazione cinese nel mercato globale, hanno portato la Cina ad un livello di crescita per alcuni inaspettato, che nell’ultimo decennio ha raggiunto picchi anche intorno al 11% su base annua. Tuttavia, stando ai calcoli degli economisti, la Cina non sarebbe stata l’unica a beneficiare della propria crescita, in linea appunto con la prospettiva ‘vantaggiosa’ dello sviluppo pacifico promosso dalla Repubblica Popolare Cinese.
Secondo il rapporto ‘Cina 2030’, poi, pubblicato in occasione del trentesimo anniversario della Banca Mondiale nella Repubblica Popolare Cinese, grazie ad una maggiore accessibilità del settore manifatturiero e alla forte globalizzazione del mercato cinese, gli investimenti stranieri diretti (FDI) in Cina avrebbero portato ingenti guadagni anche nel resto del mondo, contribuendo l’aumento della ricchezza su scala mondiale (pensiamo inoltre al beneficio per i consumatori dei Paesi industrializzati, con prezzi molto bassi dei beni di largo consumo prodotti in Cina). In molti però sarebbero gli scettici circa l’irrefrenabile crescita economica della Cina.
Insomma, già dai lavori e dalle tendenze che scaturiranno dal prossimo Congresso del Partito Comunista, sarà possibile vedere se, come sostengono i cosiddetti “idealisti”, il futuro ruolo della Cina, vedrà, nella sua crescita inarrestabile, un fattore positivo in grado di aiutare i paesi più poveri nella strada allo sviluppo sostenibile e verso un processo di modernizzazione; oppure se la volontà della RPC è quella di acquisire sempre più una posizione predominante nella situazione mondiale da un punto di vista politico-economico e come unica alternativa agli Stati Uniti.
Come ha scritto Giampaolo Visetti su Repubblica, il Congresso è stato preparato con cura ma fra molti affanni, con vari scandali politici e il dilemma tra capitalismo di Stato e liberismo sfrenato, che rende la necessaria transazione un vero e propria enigma, sicché, per i futuri “principi rossi” vi sarà un solo imperativo: riforme e cambi di vertice per salvare l’impero.
La cosa certa è che, per la prima volta, un importante documento ufficiale di due settimane fa, promulgato dalla attuale leadership, si è dimenticato di Mao Ze Dong: il grande timoniere che ormai è caro solo al popolo: una icona defunta in un mausoleo sempre affollato, ma la cui politica è stata scientificamente sconfessata e demolita nell’ultimo trentennio.
Comunque, chiunque conosca davvero la Cina sa che, in quel Paese, come nel mausoleo di Mao, le apparenze celano la realtà. La propaganda è impegnata ad imporre l’idea di una “transizione pacifica e armoniosa “, sostenuta da una massa soddisfatta. I fatti rivelano invece un partito e un sistema-Cina in frantumi, divisi dalle scelte sul futuro e dalla valutazione del presente, tra la trincea del collettivismo e l’abbandono al liberismo. L’unico dato certo è che il congresso sancirà, a partire da marzo, il pensionamento del presidente Hu Jintao, del premier Wen Jiabao e di sette su nove dei leader che dal 2002 hanno guidato la Cina. Tutto il resto è un enigma e gli stupefacenti scandali scoppiati a partire da febbraio contribuiscono ad accrescere la debolezza dei mercati finanziari e l’allarme della comunità internazionale.
Carlo Di Stanislao
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